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Sara Mamone

Sara Mamone, Caterina e Maria: due Artemisie sul trono di Francia

Data di pubblicazione su web 11/11/2008
Artemisia (Francesco Furini, ca. 1630)

Pubblichiamo il saggio di Sara Mamone incluso nel volume Caterina e Maria de' Medici donne al potere, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 24 ottobre-8 febbraio 2009), a cura di Clarice Innocenti, Firenze, Mandragora, 2008, pp. 31-41).

A ben guardare, la vicenda degli arazzi del ciclo di Artemisia assurge quasi a livello esemplificativo dell’intera vicenda di Caterina e Maria de’ Medici, fiorentine regine di Francia, chiamate dal destino a vicende molto più rilevanti di quanto prevedibile al momento del loro insediamento coniugale ed entrambe capaci di far fruttare nella patria acquisita le strategie di una politica culturale che si fa politica tout court. Ed entrambe capaci di sfruttare con accorta prontezza un identico evento personale che avrebbe potuto cancellarle per sempre dallo scacchiere politico: la morte del consorte regnante. Straniere non amate avrebbero potuto essere spazzate via da corti parzialmente xenofobe e da favorite ben piazzate. Eppure proprio dal momento di maggior debolezza entrambe trassero la forza per una lunga e proficua ascesa. In forme diverse e con differenti esiti seppero approfittare degli appigli istituzionali per rivestirli di forme artistiche ed autoelogiative che potessero sostituire nell’immaginario collettivo, e ancor più in quello degli influenti ministri, l’immagine sfocata di consorte trascurata con quella, risplendente e rassicurante, di vicaria del sovrano defunto. E nella ricca galleria di modelli identificatori, quale precedente più illustre e garante di quello della vedova di Mausolo re di Caria, quasi eucaristicamente congiunta allo sposo nell’ingestione delle sue ceneri? Ma anche attivamente impegnata a ricordarne la memoria e ad eternarne la fama nel più importante edificio funebre dell’antichità, così celebre da essere una della sette meraviglie del mondo antico e da diventare antonomastico?

Artemisie del loro tempo (come non leggere sotto questa luce il grandioso e avversatissimo mausoleo della cappella funebre dei Valois voluto da Caterina nella basilica dei re di Francia a Saint Denis, progettato circolarmente come nei disegni di Caron?) le due regine non sono dimentiche di un concreto empirismo fiorentino [Fig. 1 e Fig. 2]. Ben sanno però (per prima, evidentemente, lo sperimenterà Caterina che lascerà alla seconda un cammino ben indicato) che il ruolo di consorte non ha valore e che ogni diritto cessa se la regina non ha adempiuto ai suoi compiti, trasformando il consorte in padre e assicurando così la continuità dinastica. Ed ecco affiancarsi, in una proficua confusione, all’antica vicenda della vedova di Mausolo l’omonima seconda Artemisia di Caria, regina guerriera brevemente ricordata da Erodoto e, soprattutto, reggente in nome del figlio Ligdami. E’ questo a rendere veramente proficua, perché inattaccabile, la posizione della regina, non solo vedova fedele ma insostituibile garante del futuro del regno: madre, educatrice, memoria vivente del defunto re nella costruzione della personalità del nuovo. Nulla chiede per sé, ma ha diritto di esigere “in nome di”. Proprio dalla funzionalità al discorso di autorizzazione dinastica delle due reggenti fiorentine la sintesi delle due regine di Caria deve la sua fortuna.

La reggenza è, per definizione, un ruolo provvisorio e sostitutivo, ruolo vicario che trae la sua forza dall’assenza e la sua legittimità dall’intenzione, più o meno esplicitamente dichiarata dall’assente, di farsi sostituire; è una presa del potere provvisoria in attesa che l’erede prenda “naturalmente” il posto che gli pertiene per diritto. Sovente, però, non è regolata da precise leggi, è il frutto di un’accelerazione istituzionale imprevista, che prende quasi l’aspetto di un colpo di stato e che deve quindi giustificare continuamente se stessa, la corretezza dei propri atti e soprattutto il cammino che la porterà al passaggio di poteri all’erede legittimo; indipendentemente dalla sua durata, non è un regno ma è un interregno. Deve appoggiarsi alla legittimità del defunto per stabilire la propria, deve quindi, allo stesso tempo, accentuare il senso dell’assenza e del vuoto di potere lasciato dal defunto (o dal minore non ancora in grado di esercitare il potere) ed esibirsi nell’attesa come garante di un processo che il futuro re non ha ancora potuto formulare. Si tratta quindi di un ruolo estremamente variabile poiché, da un punto di vista istituzionale, si pone sul terreno, sempre scivoloso, del cambiamento. Ma si tratta anche del momento esaltante (e sovente risarcitorio) in cui il vicario, nel caso che qui trattiamo in particolare (le due reggenze medicee sul trono di Francia) la regina, esce dal cono d’ombra in cui, a causa della legge salica che stabiliva una sorta di incapacità genetica della donna a governare [1], era costretta a valere esclusivamente in funzione del ruolo che il re le assegnava e comunque sempre senza alcuna prospettiva di governo.

Caterina e Maria de’ Medici, pur non separate da una ragguardevole distanza cronologica, operano tuttavia in contesti diversi: l’una nella complessa e dolorosa fase delle guerre di religione che sconvolgeranno la Francia fino alla sua morte nel 1589 (l’editto di Nantes sarà promulgato dal successore dei suoi tre figli, nonché sposo della figlia Margherita, Enrico di Navarra), l’altra nel contesto dinasticamente più solido che, dopo il definirsi della teoria assolutista, riaffermava il potere regale di fronte alla sua contestazione. Benché lontane anche per modalità di accessione al trono (Caterina a seguito della non prevista intronizzazione del marito Enrico II, Maria giunta in Francia come moglie di un sovrano regnante) sia l’una che l’altra (forti anche dei precisi progetti di autorizzazione dinastica concepiti nella madrepatria [2]) sapranno cogliere con grande talento l’occasione (nel caso di Caterina si tratta di occasioni plurime) fornita dalla storia. La sfrutteranno con un uso straordinario, intelligente e spregiudicato, degli strumenti a disposizione giungendo a sovvertire, attraverso l’uso sempre più politico del cerimoniale, le istituzioni fondanti della monarchia. Sarà infatti proprio con le due fiorentine sul trono di Francia che il cerimoniale diventerà veicolo istituzionale anzi addirittura a volte prefigurazione dei nuovi assetti istituzionali [3].

Più articolate furono le reggenze di Caterina, sostanzialmente continua quella di Maria [4]. Per quattro volte Caterina dovette sostituirsi vicariamente al sovrano incarnato volta a volta nel consorte Enrico, nel figlio Carlo (poi IX) e nel terzogenito Enrico (poi III). La prima volta fu nel 1551, con il conferimento ufficiale della reggenza del consorte in guerra, congiunta con il giovane Delfino; due anni dopo, ancora in nome del marito in guerra, la reggenza sarà sempre congiunta, ma la sovrana, alla quale il re conferirà la funzione attraverso una lettera ufficiale, reggerà le sorti del regno insieme al consiglio privato del re. Nel 1560, dopo l’accessione al trono e la precoce morte del figlio Francesco II, l’imprevista carica si fonda sui precedenti e su un accordo del Consiglio privato dei grandi di Francia ed è conferita congiuntamente alla regina e al principe Antonio di Navarra, luogotenente del regno. Nel 1574, in base alla designazione del figlio Carlo IX, la madre attenderà come reggente, alla morte di questi, il ritorno di Enrico III, effimero re di Polonia, sullo sguarnito trono di Francia. A vario titolo e con differenti modalità (prima reggente, poi sovrintendente dello Stato e infine, a fianco del regnante Enrico III come madre del re e presente ai consigli di stato) Caterina governerà dunque il regno per quasi un quarantennio.

Più definita e compatta la vicenda di Maria che si svolge tutta in nome del figlio destinato a salire al trono in quanto primogenito tra i legittimi del defunto re Enrico IV (e poi effettivamente regnante, per circa un trentennio). La morte del re, a seguito dell’attentato compiuto dal fanatismo cattolico che aveva armato la mano di Ravaillac, era stata improvvisa, e quindi la reggenza non programmata, anche se la posizione di Maria si era rafforzata proprio nei giorni precedenti, a seguito di due episodi intenzionalmente volti a darle autorevolezza: una provvisoria delega al governo formulata dal sempre combattivo consorte in vista della partenza per la guerra dei Grigioni e la consacrazione a regina con l’unzione nella basilica di Saint Denis. Quest’ultimo atto di omaggio, negatole per dieci anni e nonostante l’adempimento, più che compiuto, di una consistente discendenza regale [5], era soprattutto significativo anche dal punto di vista dell’esibizione pubblica, manifestando anche a livello popolare la maestà che si intendeva attribuire, finalmente, alla consorte regina [6].

Sia l’una che l’altra sovrana possono così superare attraverso la reggenza il ruolo istituzionalmente privo di prerogative di regina moglie, caratterizzato dall’estraneità alle pratiche di governo. Nella sottolineatura di un’assenza che allontana e scolorisce il dato quotidiano di tradimenti e trascuratezze esse possono incuneare pratiche e cerimonie che ne definiscono ed esaltano il doppio nobile stato (suffragato dalla stessa autorizzazione già in epoca feudale) di vedova e tutrice dei figli minorenni del re assente. Il ruolo di madre (con il suo opportuno trattamento cerimoniale ed encomiastico) prende vigore poiché riesce a conciliare con una realtà politica segnata dall’intraprendenza femminile la teoria salica dell’incapacità “naturale” della donna a governare. Questa intraprendenza si esercita in tutti i campi del vivere politico ma è più marcata in quello cerimoniale e della spettacolarità di corte che erano già territori nei quali veniva consentito alla sovrana di avventurarsi con qualche autonomia e in cui non venivano soffocate le competenze tecnico-artistiche. L’amor materno, che si erge a baluardo della tutela della dinastia così come la fedeltà coniugale ne aveva assicurato la purezza, garantisce un buon servizio per il regno e trova un immediato valore cerimoniale e iconico nella nuova composizione regnante che stabilisce una nuova identità binaria: quella della madre e del figlio. Tutelata così da ogni eventuale accusa di protagonismo la regina esalta la propria funzione di servizio: ancilla domini si piega al suo destino “mariano” di intermediazione.

L’associazione, che viene vista come essenziale al processo di legittimazione, trova nelle arti figurative e dello spettacolo il veicolo più efficace di trasmissione e diffusione. Ostentatamente vedove nel loro abbigliamento, ispirate con evidenza (si direbbe programmatica) alla ritrattistica dinastica fiorentina, segnata dal doppio ritratto della madre col figlio (celebri i precedenti del Pontormo e del Bronzino), Caterina e Maria moltiplicano le loro apparizioni accanto al giovane sotto tutela. Questa “identità regnante”, impostata da Caterina e portata a opulenta maturazione da Maria, è il viatico per il futuro re. Ripresa con rinnovato vigore dopo il precedente fondante di Bianca di Castiglia e del figlio Luigi, l’esibizione delle due persone reali associate nell’esercizio del governo fa parte della valorizzazione della reggenza materna [7]. Questa valorizzazione passa attraverso la messa in scena del potere nelle cerimonie dinastiche e nei trattenimenti privati. Ricordiamo come le feste dei Valois a Chenonceaux nel 1563 [8], a Fontainebleau nel 1564 [9] e soprattutto quelle di Bayonne nel 1565 [10] e quelle per il ricevimento degli ambasciatori polacchi nel ’73 [11], costituiscano un discours del potere ricco e articolato destinato, più che alla posterità, ai contemporanei ed influenti interlocutori della corte, primi fra tutti gli inquieti ed esigenti principi del sangue.

Anche il lungo viaggio di intronizzazione popolare, vero tour de France royal compiuto nel 1564-66 con il figlio re Carlo, intende ripercorrere e quasi citare con le sue entrées la gloriosa entrata di Caterina con il consorte Enrico a Lione nel 1548, sostituendo nell’immaginario collettivo il re nuovo al defunto, restando però sempre la regina perno e garanzia della continuità dinastica. Il potere della sovrana è assai più forte, accresciuto dall’intronizzazione del figlio l’anno precedente, quando, in occasione dell’accorto lit de majorité da lei organizzato, aveva rimesso nelle mani del nuovo re tutto il suo potere, ricevendo da questo atto spontaneo di spoliazione, rifiutato dal re, ulteriore legittimazione alla sua permanenza al centro del potere. La più compiuta incarnazione del discorso politico si avrà nell’intrattenimento di Bayonne offerto il 24 giugno del 1565 con l’intento di celebrare l’amore tra Francia e Spagna siglato dall’unione tra il sovrano iberico Filippo II ed Elisabetta, figlia di Caterina e sorella del re francese. Le più importanti di queste feste saranno immortalate in uno dei più rilevanti cicli di arazzi della storia francese: quelle tappezzerie dei Valois tessute verso gli anni Settanta del secolo che costituiranno poi un bene dotale per la nipote di Caterina, Cristina di Lorena, quando andrà sposa al granduca Ferdinando I. Benché oggi purtroppo non visibili, questi arazzi costituiscono uno dei grandi lasciti patrimoniali della regina alla madrepatria.

Poco tempo prima si era fatta ritrarre in un quadro-emblema [Fig. 3] che è un vero e proprio manifesto del suo potere: circondata dai figli non ancora sposati (e quindi non ancora assurti alla forza simbolica della continuità dinastica), dietro ad essi, vestita del nero abito vedovile che sarà la sua divisa (da segnalare che il nero è all’epoca segno di ricchezza e raffinatezza), regina e madre, posa la mano, insieme protettrice e possessiva, sulle spalle del nuovo re, da cui trae la sua autorità ma che si indovina destinato ancora per lungo tempo a dipendere dalla sua saggezza e dalla sua prudenza. Proprio in questo decennio prende avvio l’impresa (non si sa bene se direttamente commissionata dalla regina, ma certo fedele interprete delle sue esigenze propagandistiche) di Nicolas Houel, iconologo e poeta che concepisce per lei due serie di composizioni elogiative che, su disegni di Antoine Caron, avrebbero dovuto essere la base per due cicli imponenti di arazzi: L’histoire françoise de notre temps [12] e l’Histoire de la reine Artémise [13]. Benché pienamente coerenti con il disegno di autorizzazione della regina [14] i due cicli, destinati probabilmente l’uno alla prevista galleria del castello di Fontainebleau, l’altro alla privata reggia urbana delle Tuileries restarono, come molti dei progetti cateriniani, allo stato progettuale e non videro mai la trasformazione nelle forme apparatorie alle quali erano stati destinati.

Ben più sontuosa sarà la messa in scena del potere da parte di Maria che vorrà celebrare più tardi i fasti della sua gloria a vicenda conclusa, nell’apoteosi storiografica del ciclo commissionato a metà degli anni venti a Peter Paul Rubens per il palazzo del Lussemburgo, la sua dimora de retraite, vera e propria autocelebrazione programmatica [15] [Fig. 4 e Fig. 6]. I quadri, che avrebbero dovuto rivestire le pareti di uno dei saloni di rappresentanza del palazzo costruito su modello dell’indimenticata reggia fiorentina di Palazzo Pitti, erano destinati a celebrare le complementari biografie del defunto sovrano e della superstite regina, con un’accorta serie di rinvii. Se nell’impaginazione della biografia del re il campo dell’agiografia trovava i suoi episodi naturali nella rappresentazione del sovrano energico e pacificatore (ennesima e quasi paradigmatica incarnazione dell’evemerismo) per la regina il discorso autocelebrativo era inevitabilmente più sottile e complesso.

L’elaborazione consuntiva è infatti più una difesa ed una esplicazione di un disegno politico che un’apoteosi individuale: la vicenda della regina è l’esibizione di un destino nel quale si definiscono le tappe di un percorso istituzionale in cui il mostrare e il mostrasi sono la cifra esplicita di un imperativo interiore di servizio dinastico. Il valore politico del ciclo è già stato ampiamente dimostrato e non ci soffermeremo quindi più su di esso, se non per sottolineare la inequivoca, quasi didattica, evidenza del quadro ideologicamente più importante della serie: La remise de la Régence che vede il giovane Luigi XIII posto sotto la protezione della madre mentre tutti i simboli del potere convergono non verso di lui ma verso di lei [Fig. 5] . Istruita dall’esempio accorto, anche se non proprio sempre fortunato, della lontana cugina fiorentina, Maria prenderà le redini dello stato per quella che sarà una reggenza lunga e proficua, anche se non incontrastata.

L’assenza del re e la pratica vicaria avevano peraltro avuto un prologo anticipatore già agli inizi della sua vicenda matrimoniale, quando durante il percorso di avvicinamento alla città di Lione, destinata ad accogliere l’incontro tra i sovrani, l’entrée ad Avignone l’aveva vista complementare destinataria del Labyrinthe Royal de l’Hercule Gaulois triomphant, offerto dai gesuiti avignonesi in absentia del reale destinatario, appunto lo sposo Enrico. Già allora l’omaggio alla regina non era avvenuto per via diretta ma elevandola al rango di intermediaria, assegnataria di una missione politica di grande valore quale la speranza di una riammissione dei Gesuiti stessi in Francia [16]. L’evento era stato debitamente enfatizzato ed eternato nella ricchissima (e assai ben “distribuita”) edizione a stampa della descrizione, affidata al dottissimo padre André Valladier. L’accuratezza della descrizione e la ricchezza dell’apparato iconografico, affidato alle cure del rinomato Matteo Greuter, erano sicura garanzia di conservazione memoriale.

L’esperienza della madrepatria innerverà tutto l’operato della regina, in un accorto gioco di reciproche nobilitazioni, in quel perfetto controllo delle alternanze tra pubblico e privato che costituisce l’essenza stessa della spettacolarità fiorentina ma in cui durante la reggenza si farà più marcata l’impronta cerimoniale, in linea con le esigenze di consolidamento dell’autorità regnante. Le dinamiche rappresentative ed autorappresentative del suo governo sono ormai note; mi limito qui a ricordare i due più felici episodi di sintesi tra forma spettacolar-cerimoniale e contenuto politico negli anni della reggenza (dalla morte del re nel 1610 all’assunzione del potere di Luigi nel 1617): il primo, forse l’episodio più grandioso (e in certa misura definitivo per l’adozione delle modalità politiche della spettacolarità fiorentina alla corte di Francia), il Carrousel de la place Royal nel 1612 per l’annuncio del doppio fidanzamento tra l’erede al trono di Francia Luigi con Anna di Spagna e della secondogenita di Francia Elisabetta con il futuro re di Spagna Filippo [Fig. 7] ; il secondo, ad esso legato e carico di un pesante compito di politica interna, fu il Ballet de Minerve del 1615 in occasione della partenza dei due fidanzati per l’incontro ai confini del regno con i promessi principi di Spagna [17]. Attraverso questi episodi l’antico sogno di giovinezza della figlia del granduca Francesco e della “imperiale” Giovanna d’Austria, che si era vista destinata a un trono accanto ad uno sposo regale, si esalta nell’individualizzazione di un vero e proprio regno personale.

Il capolavoro politico-diplomatico si era situato comunque nei giorni sovraccarichi ruotanti attorno all’improvvisa morte del re nel maggio del 1610. In vertiginosa successione era passata attraverso i ruoli di: regina consacrata nella basilica dei re a saint Denis, vedova, reggente ufficiale in nome del figlio minorenne Luigi. Negli anni precedenti l’alterna personificazione encomiastica di Minerva e Giunone l’aveva vista protagonista di ritratti e sculture, oltre che dei celebrati arazzi di Sully, non immemori della grande tradizione delle manifatture fiorentine [18]. A queste si era andata affiancando progressivamente e giustificatamante (visto lo scorrere fecondo del tempo che l’aveva resa madre di ben sei figli del sovrano) quella di Berecinthia-Cibele. Il re si confermava (sia pur con un affiancamento dell’emblema apollineo-solare di cu resta testimonianza anche nel ritratto-pendant della sposa nelle tappezzerie di Sully [19]) nei ruoli consolidati di Ercole e Marte. Quest’ultimo di viva attualità, dati i preparativi per la partenza sul campo di battaglia della coalizione antiasburgica che lo vedeva protagonista nella guerra dei principi tedeschi per la successione di Clèves et Juliers. Anzi proprio questo nuovo impegno militare, insieme forse alla percezione di un declinare delle forze e ad una progressiva apertura di credito nei confronti della consorte da cui lo aveva sempre diviso una profonda dissonanza di caratteri, aveva indotto Enrico, finalmente, alla consacrazione del suo ruolo di regina, che le avrebbe consentito di esercitare con piena autorità quel ruolo di reggenza che intendeva affidarle di lì a poco in vista della sua assenza.

Non vorremmo citare inutilmente Machiavelli ma certo i tumultuosi eventi videro Maria prontissima nell’afferrare il “riscontro di fortuna” che le permise di capovolgere fulmineamente la situazione passando dal consistente rischio dinastico generato dall’assassinio del re (sul quale la storiografia ha da tempo allontanato le nubi di un coinvolgimento coniugale) alla piena legittimazione di una reggenza solida e dagli ampi poteri. Riassumiamo qui brevemente lo svolgersi degli avvenimenti che acquisteranno il senso di un ciclo unitario di assunzione di quel potere lungamente atteso e mai neppure sfiorato negli anni della tumultuosa convivenza col sovrano: il 13 maggio del 1610 Enrico, dopo aver ordinato i festeggiamenti per l’intronizzazione della regina, assiste alla cerimonia del sacre et couronnement di questa in Saint Denis (episodio che darà poi vita al più imponente dei quadri rubensiani dimostrando anche nella valutazione postuma quale importanza gli attribuisse la regina dal punto di vista della sua legittimazione).

La città si predispone a godere per due giorni della metamorfosi festosa a cui l’hanno sottoposta gli artisti per l’accoglienza della regina consacrata. Il 14 invece il re verrà assassinato dall’estremista cattolico Ravaillac. Il 15, coraggiosa e ben consigliata, Maria si presenta in abiti vedovili, con il figlio al fianco presso il Parlamento della città, dal quale ottiene, sull’onda di un’emotività ben indirizzata, la proclamazione di Luigi a re dei francesi e il, potremmo dire contestuale, mandato di reggenza. Un mandato pieno, dunque, in nome di un re già riconosciuto nella pienezza dei suoi poteri. Dieci giorni di operosissima pausa e il doppio spettacolo della purificazione dal regicidio e dell’assunzione del sovrano all’empireo della santificazione si realizza nella contiguità anche cronologica dell’esecuzione del “parricida” il 27 maggio e nelle esequie solenni del re in Saint Denis il 29 del mese. Il primo giugno anche il cuore del re troverà riposo e spettacolare ostensione nel trasferimento al collegio gesuitico de La Flèche. L’estate sospende ogni manifestazione cerimoniale ma non i complessi preparativi per il sontuoso omaggio settembrino nella basilica medicea di San Lorenzo nella madrepatria della regina. Il 17 ottobre, infine, Luigi re dei francesi, “tredicesimo del nome”, con il sacre di Reims avrà concluso tutto il complesso itinerario di autorizzazione dinastico-cerimoniale.

Non riprenderemo qui le osservazioni sul capovolgimento dei riti legati alla majesté royale né sul fatto che proprio dal mutamento dell’ordine consueto (sacre et couronnement, funerailles, entrée, lit de justice) deriveranno i mutamenti istituzionali che di fatto segneranno il passaggio alla monarchia assoluta (con il prevalere del diritto di sangue su quello affidato ai rituali di intronizzazione). Vorremmo invece soffermarci sul rilievo che la figura e il ruolo di Maria assumono in questi giorni attraverso la visualità cerimoniale, sul modo in cui la rappresentazione del ruolo diventa parte integrante, e non certo minoritaria, di questa assunzione, su come l’immagine della reggente balzi prepotentemente sul proscenio, non solo della storia, ma appunto, della sua rappresentazione. La lezione granducale fa evidentemente parte del DNA della sovrana. Naturalmente alla base di questo protagonismo c’è sempre un patto fiduciario: la regina non rappresenta se stessa, ma l’istanza superiore della monarchia, la delega è sempre, in ogni momento, ben presente sotto gli occhi di tutti, anzi è proprio questa delega che la regina mette in scena.

La vicenda degli arazzi di Artemisia si inserisce perfettamente in questo progetto anzi ne marca la coerenza e al tempo stesso l’evoluzione: Caterina aveva tenuto i disegni nel suo scrittoio fino alla morte; Maria, attraverso il tramite fattivo del regale consorte, ne sfrutta gli echi spettacolari ed esibitori. Nella serialità produttiva il progetto autoelogiativo acquista la più ampia risonanza. Enrico affronta l’impresa della trasformazione dei cartoni della defunta regina da privato discorso in pubblica intrapresa, per quanto ricca di rimandi confirmatori: l’omaggio alla prima regina Medici (madre tra l’altro della prima moglie di Enrico) è atto di omaggio alla seconda appena giunta sul trono di Francia. E’inoltre occasione economica per dare slancio ad un’industria fino ad allora appannaggio dei fiorentini e, a questa altezza cronologica, dei fiamminghi.

Il sogno autoconfirmatorio dell’ultima dei Valois si materializza nella realizzazione virile del re Bourbon, che accoglie soprattutto i soggetti guerreschi [20], [Fig. 8] e, poi, nelle rinnovate necessità vedovili di Maria, che infatti farà portare a compimento gli arazzi di più immediata riconoscibilità identificatoria: quali l’incoronazione del giovane re Ligdami, la sua istruzione, la consegna del libro e della spada, tutti fortemente marcati dalla sua presenza di madre garante. E come escludere che questi soggetti, sfruttati a dovere nel periodo della reggenza, non siano stati in qualche misura anch’essi alla base della grande storicizzazione rubensiana, quando il gusto ormai mutato delle élites aveva trasformato l’arazzo in sogno delle classi emergenti levandone in parte l’appeal? Il segno del mutamento è reso evidente sia dallo scarso interesse che la regina sembra dimostrare per il soggetto sia dalla trasmigrazione del soggetto stesso nell’iconografia barocca dove la regina, spogliata il più delle volte dal contesto narrativo e politico, ridiventa eroina del sentimento, individualizzata nella sua vicenda amorosa, più facilmente inseribile nella scena del melodramma che in quella della politica vera [21].



[1] La regina “non può governare” . Si veda F. Cosandey, La reine de France. Symbole et pouvoir XV-XVIIIe siècles, Paris 2000, in particolare il cap. I, pp. 19-54.

[2] Non si può però stabilire un’identità progettuale poiché Caterina lascia la patria fiorentina senza troppo conoscerla (a quattordici anni e dopo molto tempo trascorso alla corte papale dello zio Giulio) prima della presa del potere da parte di Cosimo, in una fase quindi in cui i progetti di controllo politico attraverso la cultura non sono ancora messi in campo, mentre Maria quando va sposa nel 1600 ha ormai alla spalle oltre settant’anni di solidi intrecci tra potere e spettacolo e può quindi farsi sicura portavoce dell’europeizzazione del modello assolutistico attraverso la cultura della rappresentazione, cioè dello spettacolo. Cfr. S. Mamone, Firenze e Parigi, due capitali dello spettacolo per una regina: Maria de’ Medici, Cinisello Balsamo 1988 e, più recentemente, a proposito della particolare “fiorentinità” di Caterina si veda Ead., Caterina de’ Medici regina di Francia e lo spettacolo fra due patrie, in Il mecenatismo di Caterina de’ Medici. Poesia, feste, musica, pittura, scultura, architettura, a cura di S. Frommel e G. Wolf, Venezia 2008, pp. 113-134.

[3] L’inversione dei tempi e delle precedenze cerimoniali seguite alla morte di Enrico IV costituì, con l’anticipazione del conferimento della reggenza a Maria da parte del Parlamento e con il successivo lit de justice, il fondamento del potere assoluto. F. Cosandey, La reine de France, cit., ha assai ben dimostrato i meccanismi di accessione al potere delle due principesse fiorentine; a lei rimandiamo per ogni altra precisazione giuridico-istituzionale.

[4] Anche se una concreta riappacificazione tra Maria e il figlio ormai maggiorenne Luigi XIII segnò un ritorno delle regina alla concreta gestione degli affari del regno la vera reggenza di Maria fu coerente e continua dalla morte di Enrico IV nel 1610 fino alla ribellione del figlio nel 1617.

[5] Maria, al contrario di Caterina, sarà anche fortunata nella trasmissione dinastica che, a parte la perdita del quartogenito Nicolas Henri, le consentirà un’estensione di potere materno straordinario che la vedrà nei decenni successivi madre del re di Francia, della regina di Spagna, di quella d’Inghilterra e della duchessa di Savoia, restando in patria e senza trono solo il prediletto Gastone d’Orleans, garanzia comunque di legittima (e non certo denegata) successione nella lunga attesa dell’erede di Luigi XIII e di Anna d’ Austria.

[6] E’ il segno dell’ accresciuta influenza della energica fiorentina nei confronti del sovrano e anche la chiave di volta di quel processo autodifensivo che, solo teorico con il re vivente, diventa di fatto necessario alla sua morte nei confronti delle diverse e non del tutto destituite di fondamento, rivendicazioni dinastiche dei figli primogeniti di Gabrielle d’Estrées e di Henriette d’Entragues.

[7] Si veda il volume Il mecenatismo di Caterina de’ Medici, cit.

[8] Primo esperimento di ciclo spettacolare organizzato da Caterina de’ Medici, che prevedeva un corteggio di satiri e ninfe, un divertimento nautico, dei fuochi d’artificio, un banchetto all’aperto e, a conclusione, la rappresentazione di uno spettacolo allegorico. Cfr. T. Wanegffelen, Catherine de Médicis. Le pouvoir au féminin, Paris 2005, p. 171. Sul valore politico delle magnificences dei Valois si veda F. Yates, The Valois tapestries, London 1975, passim.

[9] Le rejouissances di Fontainebleau, la prima occasione per Caterina di estrinsecare la sua politica spettacolare come regina e reggente e modello sperimentale per le occasioni spettacolari successive, compresero una battaglia navale, un combattimento a cavallo e un torneo. Cfr. F. Yates, The Valois tapestries, cit., pp. 53-54.

[10] I festeggiamenti di Bayonne furono organizzati nel giugno del 1565 da Caterina stessa ed ebbero come momenti culminanti lo spettacolo sull'acqua e il torneo a cavallo, mentre la conclusione, il 29 giugno, fu solennizzata da una corsa all'anello in costume. Cfr. F. Yates, The Valois tapestries, cit., pp. 55-60.

[11] Il Ballet des Polonais, culmine dei festeggiamenti per l’arrivo in Francia degli ambasciatori polacchi giunti a offrire il trono di Polonia al terzogenito della reggente, Enrico. Cfr. F. Yates, The Valois Tapestries, cit., pp. 67-72.

[12] N. Houel, L’Histoire françoise de nostre temps, Comprenant en brief les faictz et gestes du grand Roy Francòys premier, de Henri second, de Françoys second et de Charles IXe, Roys de France. Plus un petit recueil de leurs Généalogies et lignées, avec les figures et Pourtraictz des plus illustres Roys de France et Hommes vertueux de la maison de Medici. Le tout par Cartons de peincture de blanc et noir, façonnez par les plus excellentz Peintres de France et d’Italie ; ausquelz ont ésté adioustez plusieurs Sonnetz pour l’intelligence de l’Histoire. Par Nicolas Houel. Parisien. A la Royne de France Mère du Roy (Paris, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, RF 29722 e ss.).

[13] N. Houel, Histoire de la reine Artémise, Paris 1562 (Paris, Bibliothèque National de France, Cabinets des Manuscrits, Ms. Fr. 306 e Est., Rés. Ad. 105 ; Paris, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, RF 29728bis [1-4] e RF 29752 [1-7]).

[14] Cfr. B. Gaehtgens, Cathérine de Médicis et l’«Histoire Françoise de nostre temps». Des tapisseries au service de la Régence, in Il mecenatismo di Caterina de’ Medici, cit., pp. 149-167.

[15] Si veda J. Thuillier – J. Foucart, Rubens. La galerie Médicis au palais du Luxembourg, Paris 1969, S. Mamone, Firenze e Parigi, cit., pp. 193-226, e F. Cosandey , La reine de France, cit., pp. 333-360.

[16] Per l’episodio cerimoniale e la sua valenza politica rinviamo a quanto a suo tempo da noi scritto in S. Mamone, Viaggio di nozze in Ead. Firenze e Parigi, cit., pp. 105-144.

[17] Per entrambi rinviamo a S. Mamone, Il palazzo della felicità e Regina, madre, impresaria, in Ead., Firenze e Parigi, cit., pp. 227-246; 247-273.

[18] Sulla ricchezza della tradizione arazziera del granducato e quindi sul patrimonio di memorie della regina si veda il cospicuo contributo di L. Meoni, Gli arazzi nei musei fiorentini. La collezione medicea. Catalogo completo, 2 voll., Firenze 1998, vol. I.

[19] Si veda a questo proposito il sempre utilissimo F. Bardon, Le portrait mythologique à la cour de France sous Henry IV et Louis XIII, Paris 1974, pp. 46-49.

[20] Enrico voleva rinnovare la tradizione francese degli arazzi, per portare entro i confini nazionali la lavorazione delle tappezzerie che era sempre stata appannaggio dell’industria estera fiamminga; per questo il sovrano decise di supportare con privilegi finanziari alcuni tessitori autoctoni, come Maurice Dubout a Parigi, e nel 1601 chiamò a lavorare in Francia due tessitori fiamminghi, François de la Planche e Marc de Comans, stabilendo i loro laboratori nei confini della capitale. I temi scelti da Enrico dal lavoro di Houel furono tre, presi dalla quarta fase della storia di Artemisia: la processione funebre per Mausolo; la reggenza di Artemisia e l’educazione del giovane Ligdami; la campagna militare contro Rodi. Da Houel, per quanto riguarda il tema dell’educazione di Ligdami, Enrico scelse soltanto le scene che si riferivano alla formazione militare del principe: l’addestramento come cavaliere, come guerriero d’armi, l’educazione tattica alla guerra e all’uso delle armature. L’ideologia ispiratrice del sovrano prevedeva la celebrazione della sua nuova alleanza con i Medici (attraverso il matrimonio con Maria, che fra l’altro era cugina di quinto grado di Caterina) e l’enfatizzazione dei suoi legami con la precedente dinastia dei Valois (di cui Caterina era stata la dedicataria del ciclo di Houel e l’ispiratrice della figura di Artemisia).

[21] Si veda il saggio di Contini nel presente catalogo.



 









 

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Caterina e Maria de' Medici donne al potere
(Firenze, Palazzo Strozzi, 24 ottobre - 8 febbraio 2009)


 
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