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Rita Svandrlik

Rita Svandrlik, I teatri viennesi

Data di pubblicazione su web 02/05/2008
il Theater an der Wien

Lo slesiano Heinrich Laube, giornalista, scrittore e autore di opere teatrali, negli anni trenta del diciannovesimo secolo compì un viaggio che lo portò anche a Vienna. Secondo la moda del tempo diede alle stampe le sue memorie di viaggio, in cui si può trovare una colorita, spiritosa e macchiettistica descrizione della meridionale e cattolica Vienna, dedita ai piaceri della vita e contrapposta al Nord protestante; e per quanto riguarda la cultura della città egli traccia un quadro molto vivace della vita teatrale: «Il teatro costituisce il centro della vita viennese», «per i viennesi i cartelloni sono ciò che per i parigini sono i giornali. Li studiano, li imparano a mente, li commentano. Per un attore l’Austria è ancora il paese delle fiabe. Nessuno deve criticare gli attori. La loro immacolatezza artistica è protetta dalla censura. Se il teatro non fosse già stato inventato, lo inventerebbero gli austriaci. Quotidianamente ci sono spettacoli in cinque teatri. Nessuno di essi è vuoto nemmeno nella più bella giornata estiva». Laube non poteva certo immaginare che alcuni decenni più tardi sarebbe diventato uno dei più famosi direttori del Burgtheater e successivamente di un nuovo teatro, lo Stadttheater. Il ritratto della vita teatrale che Laube ci dà di quella che allora era la capitale dell’Impero d’Austria, ma anche la sede politica della Restaurazione, si ritrova nei resoconti di numerosi altri viaggiatori; nell’ambito di lingua tedesca Vienna è stata infatti fino alla fine dell’Ottocento il centro più importante per la vita teatrale in tutte le sue manifestazioni, una città dei teatri, come nello stesso periodo a livello europeo furono solo Parigi e Londra; la peculiarità viennese sta nel rapporto stretto tra la popolazione cittadina e i suoi teatri, quale risulta anche dalle osservazioni di Laube; per i viennesi è sempre stato più importante il come si rappresentava piuttosto del cosa andava in scena, ecco perché gli attori e i cantanti hanno goduto di tanto prestigio. Quando Laube frequenta il Burgtheater loda in modo sperticato sia i suoi attori che il pubblico, che «è il migliore che si possa trovare».

Quali erano dunque i cinque teatri ricordati da Laube e come mai si era arrivati a questa centralità del teatro nella vita culturale viennese?

Durante il Seicento Vienna è uno dei centri europei del teatro barocco di corte, che significa specialmente teatro musicale, di origine italiana, con fastose messe in scena. Per gli spettacoli il sovrano (in particolare Leopoldo I) fa costruire appositamente edifici in legno da architetti italiani, per esempio nelle adiacenze del palazzo imperiale, là dove oggi si trova il Josefsplatz; in seguito vengono adattati a teatro spazi già presenti all’interno o in prossimità del palazzo imperiale stesso.  

Accanto al teatro di corte bisogna ricordare che dalla metà del Seicento sono attive anche numerose compagnie girovaghe: il loro repertorio, di origine per lo più italiana, è caratterizzato da opere musicali molto semplificate; per quanto riguarda la commedia o gli intermezzi comici sono presenti figure che hanno delle radici locali, fatto questo non trascurabile per lo sviluppo di quello che diventerà il teatro popolare viennese (Wiener Volkstheater). Il Hans Wurst viennese, più tardi Hanswurst e poi Kasperl, Thaddädl, Staberl, è all’inizio un rozzo contadinotto, in panni che lo caratterizzano come proveniente dal Salisburghese, che pensa solo a mangiare e che usa un linguaggio pieno di oscenità; diventò famoso nell’interpretazione di colui che legò il suo nome anche al primo teatro permanente viennese, Josef Anton Stranitzky (1676-1726). Il teatro è quello presso il Kärntnertor, da principio un teatro per il popolo che si differenziava da quello di corte: era di proprietà della città di Vienna, aperto all’inizio del ‘700 con una compagnia italiana, poi preso in concessione da Stranitzky, e dopo di lui da Prehauser; in seguito, come si vedrà, divenne anch’esso di corte e riservato soprattutto alle opere musicali e al balletto. A differenza di ciò che avvenne in Germania, la figura di Hanswurst e il teatro di improvvisazione non vennero cacciati “platealmente” dal palcoscenico, anche se i riformatori illuministi, con in testa Joseph von Sonnenfels, diedero vita a una battaglia culturale contro l’improvvisazione e contro la rozzezza rappresentata da Hanswurst. Dagli anni settanta del Settecento il teatro di improvvisazione si spostò nei teatri fuori le mura; Hanswurst in seguito gradualmente si affinò, fino ad imborghesirsi, ma lasciò un’eredità fondamentale nel teatro popolare viennese. Gli anni settanta segnano comunque una fase basilare nello sviluppo del teatro viennese, allorché gli sforzi dei riformatori illuministi che volevano un teatro basato su testi scritti originali, non su adattamenti di modelli italiani e francesi, incominciarono a concretizzarsi: nel 1761 il Kärntnertortheater (chiamato anche Deutsches Theater, Teatro tedesco) era stato distrutto dal fuoco, la compagnia fu temporaneamente ospitata dal teatro di corte (Burgtheater), Maria Teresa fece ricostruire l’edificio come teatro d’opera e da quel momento anche il Kärntnertortheater fu maggiormente controllato dai sovrani. Il Teatro di Corte (Theater nächst der Burg, o semplicemente Burg, più tardi Burgtheater) si trovava dal 1742 proprio in un edificio adiacente al palazzo imperiale, come dice il nome stesso (sul Michaelerplatz), e gli spettacoli venivano quasi sempre onorati dalla presenza della famiglia imperiale, fatto che imponeva un controllo severo sul repertorio. Comunque attorno al 1770 sono proprio i riformatori illuministi, avanti a tutti Sonnenfels, a introdurre la censura a scopi pedagogici, visto che il teatro deve essere una scuola di buone maniere e di gusto (la censura che viene invece nominata da Laube nei suoi ricordi ha perso del tutto la sua intenzione riformista). Nel 1776 Giuseppe II promulga due editti, uno decreta che il Burgtheater diventi il Teatro Nazionale Tedesco e che i suoi attori ottengano lo status di impiegati della Corte Imperiale (Beamte); il secondo introduce la libertà di aprire nuovi teatri fuori le mura (la cosiddetta Spetakelfreiheit, libertà di spettacolo).

Negli anni di Giuseppe II ebbero luogo al Burgtheater le prime di tre opere mozartiane (Die Entführung aus dem Serail, Le nozze di Figaro, Così fan tutte), perché non c’era ancora una netta distinzione fra teatro di prosa e teatro musicale: anche quando si trattava di Sprechtheater (teatro di parola) il pubblico richiedeva canzoni e intermezzi musicali, e nonostante gli sforzi dei riformisti in direzione di un teatro tedesco, l’opera musicale italiana avrà la meglio ancora per lungo tempo; Die Zauberflöte (Il flauto magico) di Mozart, la prima grande opera in lingua tedesca (1791), che rappresenta l’acme della migliore cultura illuminista in ambito austriaco, fu rappresentata in uno dei nuovi teatri fuori le mura. Come è noto, mentre dalla cultura protestante nel Settecento nasceva l’epoca d’oro della letteratura e della filosofia tedesca, nella cultura cattolica controriformata dei territori meridionali fiorisce la grande musica di Haydn (che tra l’altro scrive anche la musica per testi del teatro popolare, per esempio per una delle commedie di Joseph Felix von Kurz centrate sulla figura di Bernardon, una figura comica portata a grande fortuna da Kurz) e di Mozart, ma non esiste produzione letteraria davvero degna di nota, a parte i testi del teatro popolare, fino ai primi decenni dell’Ottocento: è proprio come autore di teatro che si impone colui che viene considerato il grande classico austriaco, Franz Grillparzer (1791-1872). Nel 1818, dopo il successo della sua seconda tragedia Saffo, Grillparzer ottiene un contratto di cinque anni quale autore del Burgtheater; è l’unico autore “ufficiale” e molto rappresentato di quel periodo della letteratura teatrale in lingua  tedesca che sia entrato stabilmente nel canone letterario e drammaturgico, collocato tra i massimi autori dell’Ottocento. Grillparzer scrive soprattutto tragedie, rielaborando motivi provenienti da tradizioni molto diverse, mai dall’attualità; dalla Saffo in poi le sue opere avranno la prima al Burgtheater, con l’eccezione di due tragedie dal lascito, Die Jüdin von Toledo (L’Ebrea di Toledo) e Bruderzwist in Habsburg (Dissidio tra fratelli in Casa d’Asburgo); per la prima del Dissidio (settembre 1872), la “massima tragedia storica dei tedeschi” nel giudizio di Hofmannsthal, Heinrich Laube, in quel momento direttore dello Stadttheater, e Franz von Dingelstedt, direttore del Burgtheater, ingaggiano una gara che sarà vinta da Laube; il Burgtheater seguirà con la propria messa in scena alla distanza di quattro giorni.

Agli inizi dell’Ottocento il Burgtheater era diventato un teatro esclusivamente di prosa, mentre il Theater am Kärntertor era ormai riservato all’opera; la differenziazione delle funzioni, almeno tra i due teatri di corte, era compiuta. Per un breve periodo, dal 1798 al 1799, il direttore della Burg è Kotzebue, poi gli succede (dal 1802 al 1804, e dal 1814 al 1832) Joseph Schreyvogel, che a Weimar aveva conosciuto Schiller; egli mette in scena sia le opere dei weimariani e di Kleist, quindi finalmente di contemporanei, sia opere del teatro spagnolo, in particolare Calderón, oltre a Shakespeare. Schreyvogel viene ricordato per il ruolo eminente che sotto la sua direzione il Burgtheater assunse nel contesto dei teatri europei, ma anche come mentore di Grillparzer, di cui accetta appunto la Saffo.

Gli altri tre teatri nominati nei ricordi di Laube sono quelli fuori le mura, i cosiddetti Vorstadttheater, che, sorti là dove si trovavano già palcoscenici provvisori delle compagnie girovaghe, hanno fatto davvero la storia del teatro popolare viennese: il Theater in der Leopoldstadt (dal 1781), legato alla figura di Kasperl e considerato dai contemporanei il Volkstheater per eccellenza, il Theater an der Wien (prima Theater auf der Wieden, il teatro della prima del Flauto Magico nel settembre del 1791; ed è proprio Schikaneder, l’autore del libretto dell’opera mozartiana, a trasformare il teatro nel 1801) e il Theater in der Josephstadt (dal 1788), che è l’unico a trovarsi ancora oggi esattamente nello stesso luogo. Già dal punto di vista spaziale, con la loro collocazione al di fuori delle mura, questi altri tre si contrappongono al teatro di corte e alle sue norme; sono teatri privati, che non vengono sovvenzionati e che quindi dipendono dai favori del pubblico; in certi periodi almeno due sono nelle mani dello stesso impresario che li ha in concessione. Un altro scrittore in visita a Vienna negli stessi anni di Laube, proveniente da Berlino, Willibald Alexis, sottolinea come solo in questi teatri i viennesi nel loro insieme potessero esercitare “la sovranità della libertà di pensiero”. Accanto ai tre Vorstadttheater, che nonostante le crisi finanziarie e i fallimenti degli impresari non hanno mai chiuso, c’erano sino alla fine del Settecento numerosi altri più piccoli e dalla vita più precaria, i teatri dei sobborghi, in cui spesso andavano in scena parodie delle grandi opere classiche. L’impresario più famoso di questo periodo fu Karl Carl, il quale, dopo un lungo periodo alla direzione del Theater an der Wien, fa demolire il Theater in der Leopoldstadt per poterlo ricostruire più capiente e moderno: dalla riapertura nel 1847 si chiamerà Carltheater. Il repertorio dei Vorstadttheater è vario, comprende opere musicali italiane (molto amate nell’epoca Biedermeier) e tedesche, balletti, testi di Iffland, Kotzebue, Birch-Pfeiffer, adattamenti francesi e da Shakespeare, anche qualche classico tedesco, come i Masnadieri di Schiller, ma soprattutto i testi della tradizione del locale Volksstück, che negli anni intorno al Congresso di Vienna era rappresentato dall’attività della triade Karl Meisl, Josef Alois Gleich, Adolf Bäuerle e che giungerà a dignità veramente letteraria con Ferdinand Raimund (1790-1836), il quale rappresenta insieme a Nestroy la fase culminante di questo teatro: le sue opere non sono numerose (abbiamo otto titoli), ma di grande successo, anche al di fuori di Vienna, fino a Berlino. Questo tipo di teatro si avvale della lunga tradizione che mescolando elementi eterogenei – il teatro dei gesuiti, l’opera musicale barocca italiana, la commedia dell’arte, il teatro delle compagnie girovaghe -  ha dato origine appunto a quel genere originale che ha trovato ingresso nella storia letteraria con il nome di “Wiener Volkstheater”, teatro del/per il popolo. Più che altrove a Vienna è stretto il legame del teatro di prosa con quello musicale; il teatro popolare segue una tradizione, che aveva plasmato un certo gusto del pubblico, il quale non voleva rinunciare, nemmeno nel caso del teatro di prosa, a intermezzi musicali e canzoni, fino ai famosi couplets di Nestroy, in cui l’autore/interprete dava i massimi esempi della sua creatività, improvvisando ogni sera (almeno nel periodo del Vormärz, dopo il ’48 non sarà più possibile). Un’opera che viene citata spesso dagli autori del teatro popolare nei loro testi è quel Flauto magico che può essere considerato un paradigma per vari aspetti: l’intreccio del mondo umano con la sfera soprannaturale magico-fiabesca, elemento tipico dello Zauberstück, il percorso etico di miglioramento o ravvedimento (Besserungsstück), la presenza del Kasperl-Hanswurst nella figura di Papageno, la dimensione allegorica.

Per quanto riguarda il repertorio del Volkstheater, ai testi spesso pensano elementi della compagnia stessa, cosicché molti registi e attori sono anche autori; dal punto di vista delle modalità di produzione si possono riscontrare elementi che ricordano il teatro dell’epoca elisabettiana. Raimund, per esempio, inizia come attore, e di grande successo; quando poi incomincerà a scrivere sarà anche interprete delle proprie opere, rammaricandosi che gli venissero richieste sempre commedie: avrebbe voluto cimentarsi anche nella tragedia ed andare in scena al Burgtheater, ma a Vienna le sue opere vennero rappresentate solo nei tre teatri fuori le mura. Il suo primo grande successo fu Das Mädchen aus der Feenwelt oder Der Bauer als Millionär. Romantisches Original-Zaubermärchen mit Gesang in drei Aufzügen (Il contadino milionario o La fanciulla dal mondo delle fate. Romantica fiaba originale con canto in tre atti, 1826) che già nel titolo fa riferimento ai due mondi, quello magico e quello umano. Johann Nestroy (1801-1862) inizia come cantante, nel ruolo di Sarastro nel Flauto magico, ma il grande successo gli arriderà come attore e interprete delle proprie opere ad iniziare dal Lumpazivagabundus del 1833 e dalla Lokalposse (farsa locale) Zu ebener Erde und erster Stock oder die Launen des Glückes (Pianoterra e primo piano ovvero I capricci della fortuna, 1835), fino ad arrivare alla parodia della Judith di Friedrich Hebbel nel suo testo Judith und Holofernes (1849); la parodia delle opere rappresentate nei due teatri di corte era un genere molto amato negli altri teatri viennesi. Nel teatro di Nestroy l’attualità, con i conflitti provocati dal nascente capitalismo, ha un ruolo molto importante: non è più la contrapposizione tra campagna e città a fornire gli spunti comici, bensì quella tra i vari ceti sociali della città, dove spesso sono i nuovi ricchi e gli speculatori a fare la figura degli stupidi, anche se ciò non sminuisce certo il potere rappresentato da queste figure messe in ridicolo, vale a dire il potere che riveste il denaro. Il marchio di fabbrica di Nestroy è la sua spumeggiante inventiva linguistica che porta il vecchio armamentario della tradizione, anche l’obbligato lieto fine, all’assurdo. I suoi personaggi pieni di tic e di frasi fatte, che sembrano anticipare le maschere acustiche di Canetti, rendono evidente la discrepanza tra la retorica dei buoni sentimenti e il loro comportamento.

Quando negli anni cinquanta arrivò a Vienna dalla Francia l’operetta di Offenbach, riscuotendo un enorme successo, il fatto accelerò la crisi in cui si trovava il teatro popolare, così legato al colorito e al dialetto locale da non corrispondere alle esigenze della popolazione di più recente immigrazione che da ogni parte dell’Impero stava confluendo a Vienna e trasformando il tessuto sociale, rendendolo più cosmopolita. L’operetta era stata preceduta dal vaudeville, dal quale lo stesso Nestroy aveva spesso attinto dei soggetti. Anche al Burgtheater, in quegli anni sotto la direzione di Laube (1849-1867), i testi francesi contemporanei andavano per la maggiore. All’inizio degli anni sessanta vengono costruiti nuovi teatri, per lo più dalla vita breve, come il Harmonie-Theater (1866-68) e il Theater am Franz-Josefs-Kai (1860-63). Quest’ultimo e il Theater an der Wien diventano in questa fase i teatri più importanti per l’operetta, di Offenbach, di Suppé e Millöcker; più tardi arrivano i grandi successi di Johann Strauss il Giovane, primo fra tutti Die Fledermaus (Il pipistrello, 1874, Theater an der Wien, con Marie Geistinger, che in molte operette farà coppia con Alexander Girardi), che ben rappresenta la combinazione del nuovo genere con elementi del teatro popolare.

Con l’imponente ristrutturazione architettonica della città, l’abbattimento delle mura e la creazione della Ringstraße, alla nuova costruzione dei due teatri di corte viene riservata una posizione prominente: al Burgtheater (1888) la collocazione di fronte al municipio, al Teatro dell’Opera (Hofoper, 1869) l’incrocio tra Ring e Kärntnerstraße, vicino a dove si trovava prima il Kärntnertortheater. All’Opera una delle prime rappresentazioni furono i Meistersinger (Maestri cantori) di Wagner (1870); Wagner stesso vi diresse il suo Lohengrin nel 1876 e nel 1879 diede il permesso per la prima messa in scena del Ring des Nibelungen (Anello del Nibelungo) al di fuori di Bayreuth.

Ma gli anni settanta e ottanta vedono la fondazione di molti nuovi teatri, che cercano di coprire i vari distretti e tra i quali vale la pena di ricordare soprattutto quello che vuole costituire un’alternativa al Burgtheater, offrendo un repertorio di buon livello per la classe media: nel 1872 per iniziativa del principale editore della Neue Freie Presse, Max Friedländer, nasce nel centro della città il Wiener Stadttheater, il cui primo direttore sarà Laube; come teatro musicale viene fondata invece la Komische Oper, più tardi Ringtheater. L’impresa dello Stadttheater risente molto della crisi finanziaria dovuta al crollo della borsa del 1873, le rappresentazioni di opere di Ibsen o il Giordano Bruno di Wilbrandt non fanno cassetta, in un’epoca di acuta instabilità sociale il pubblico preferisce un repertorio di evasione; Laube rassegna per ben due volte le dimissioni, ma dopo un breve periodo viene richiamato alla direzione, perché lo Stadttheater è tanto legato al suo nome da venir chiamato Laubetheater. Nel 1884 una gran parte degli interni viene distrutto da un incendio: l’edificio leso viene venduto ad Anton Ronacher che lo ricostruisce e lo riapre come teatro di varietà Ronacher, esistente ancora oggi e recentemente restaurato; dopo il 1945 ospitò il Burgtheater, in attesa che l’edificio sul Ring venisse ricostruito e riaperto.

Al momento della chiusura dello Stadttheater si incomincia a sentire una crisi nella vita teatrale, soprattutto perché i biglietti costano troppo, a causa anche dei compensi molto alti previsti per gli attori; in questa fase Vienna ha meno teatri di Berlino. Per il pubblico mediamente abbiente viene aperto nel 1889 il Deutsches Volkstheater (oggi Volkstheater) che avrà un ruolo rilevante nella presentazione di importanti opere moderne, realiste e poi naturaliste; ma negli anni novanta anche il Burgtheater mette in repertorio opere moderne, per esempio nel 1895 la Liebelei (Amoretto) di Schnitzler.

L’aggettivo ‘tedesco’ nel nome del Volkstheater rimanda al movimento di opinione nato in quegli anni per rendere più popolare e più tedesco il teatro; idee queste che sono alla base anche del nuovo Raimundtheater, aperto nel 1893 nei pressi del Westbahnhof (Stazione ferroviaria Ovest) con l’intenzione di fare rivivere la tradizione del teatro popolare, come già evidente dal nome scelto. Ma non basta, un numero consistente di opinionisti chiede addirittura che il teatro diventi più cristiano, il che nel linguaggio dell’epoca significa libero da elementi ebraici. Alla fine dell’Ottocento l’antisemitismo diventa virulento e ha un grande seguito, soprattutto nel partito cristiano-sociale. Questi sviluppi sono ben documentati dalla fondazione del Kaiserjubiläums-Stadttheater nella Währingerstraße (nel 1898, cinquantesimo anniversario della salita al trono dell’imperatore Francesco Giuseppe, giubileo al quale fa riferimento il nome del teatro), di cui fu direttore per cinque anni il pangermanico antisemita Adam Müller-Guttenbrunn, una figura che fa da catalizzatore per le  forze dell’ideologia razzista nella vita teatrale, negli stessi anni della fioritura della Wiener Moderne, il modernismo viennese, e di un teatro che d’altra parte diventava sempre più cosmopolita, con una settimana dedicata a Ibsen nell’aprile del 1891 e ospitando le tournées di grandi stelle internazionali, come Eleonora Duse e Sarah Bernhardt, o da Berlino la compagnia di Max Reinhardt. Più tardi il Kaiserjubiläums-Stadttheater diventerà teatro musicale, con il nome di Volksoper. Nel periodo precedente la guerra l’operetta ha una fortuna enorme, basta pensare alla Lustige Witwe (La vedova allegra, al Theater an der Wien nel 1905) e alla Czárdásfürstin (La principessa della czarda) di Lehár, tanto che tutti i nuovi teatri fondati all’inizio del secolo si danno all’operetta: Johann-Strauss-Theater, Apollotheater, Wiener Bürgertheater; e l’operetta è anche il genere più seguito durantela Prima guerra mondiale.

Il Burgtheater di questi anni è caratterizzato dalla tensione tra conservatorismo e innovazione; un segnale in direzione di quest’ultima è l’acquisizione nella compagnia dell’attore Joseph Kainz, che aveva precedentemente lavorato anche con la compagnia dei Meininger e al Deutsches Theater di Berlino. Nel far conoscere il moderno teatro internazionale, accanto al Burgtheater e al Deutsches Volkstheater, dal 1899 assumono inoltre grande importanza sia il Theater in der Josefstadt, sotto la direzione di Josef Jarno (fino al 1923), sia un teatro non grande di fondazione recente, la Neue Wiener Bühne, e i Kammerspiele nella Rotenturmstraße.

Nel modernismo viennese affondano le radici anche i due più importanti cabaret di inizio secolo, lo Jung-Wiener-Theater e il Fledermaus, con arredamenti disegnati da Josef Hoffmann e realizzati dalla Wiener Werkstätte; l’autore e interprete più famoso fu Egon Friedell.

Anche per quanto riguarda il teatro musicale questi sono gli anni dell’innovazione: il Teatro dell’Opera vive un periodo brillante sotto la direzione di Gustav Mahler, dal 1897 al 1907, anche lui tormentato dagli attacchi antisemiti; le opere di Schönberg e Alban Berg vi saranno eseguite negli anni dopo la guerra, ma non si tratterrà più di prime mondiali.

Alla fine della guerra, con la caduta della monarchia i due teatri di corte passano sotto il controllo dello stato e dell’amministrazione socialista della città (la Hofoper d’ora in poi si chiamerà Staatsoper); quindi non si vuole più che siano i teatri dei privilegiati, ma si cerca di dare vita a un progetto che possa coinvolgere anche le classi meno abbienti, con serate riservate a loro, a prezzi ridotti. Ma negli anni venti tutti i teatri viennesi (e ne sorgono anche di nuovi, come l’Akademietheater) sono attanagliati dalla pessima situazione finanziaria del paese durante la Prima Repubblica, alcuni vengono chiusi o trasformati in sale cinematografiche. D’altra parte dal punto di vista culturale si tratta di anni effervescenti per i teatri viennesi: al Teatro dell’Opera era attivo Richard Strauss, che in collaborazione con Hofmannsthal dà vita nel 1920 al Festival di Salisburgo: (sulla Piazza del Duomo viene rappresentato il Jedermann di Hofmannsthal, con la regia di Max Reinhardt, opera che da allora sarà in programma in ogni edizione del Festival). Ai Kammerspiele nel 1921 si ebbe uno dei maggiori scandali nella storia del teatro: in occasione della rappresentazione del Reigen (Girotondo) di Schnitzler, una sera gruppi di attivisti cristiano-sociali aggredirono il pubblico; ulteriori rappresentazioni vennero sospese. Al Raimundtheater sotto la direzione di Rudolf Beer andarono in scena i drammi degli espressionisti, anche se la Vienna dell’epoca non era un terreno così favorevole agli espressionisti come Berlino; si deve sempre a Beer anche l’unica rappresentazione viennese di un’opera di Horvath durante la vita dell’autore, Italienische Nacht (Notte italiana, 1831), e la prima rappresentazione viennese di Mahagonny di Brecht (1932; nel 1938, dopo essere stato aggredito dalle SA, Beer si toglierà la vita, come in circostanze simili fece pure Egon Friedell, gettandosi dalla finestra per sfuggire all’arresto).

Nel 1924 per iniziativa del governo della città venne realizzato un festival di musica e teatro. Intanto al Burgtheater, di cui era allora direttore Anton Wildgans, alcune rappresentazioni furono realizzate dalla compagnia di Max Reinhardt, formatosi a Vienna, ma attivo a Berlino, e autore di frequenti puntate nella capitale austriaca, fin dai primi anni del secolo; queste regie occasionali di Reinhardt sono l’episodio più noto del continuo scambio di attori e registi tra Vienna e Berlino che si ebbe in quei decenni. Nel 1923, in seguito a difficoltà finanziarie di Jarno, Reinhardt rilevò il Theater in der Josefstadt, che dalla riapertura nel 1924 fino al 1938 (anche se Reinhardt vi rimase stabilmente solo fino al 1926) si chiamò, coerentemente all’importanza che per Reinhardt avevano i suoi attori: “Die Schauspieler im Theater in der Josefstadt unter der Führung von Max Reinhardt” (Gli attori al Theater in der Josefstadt sotto la direzione di Max Reinhardt). Una delle prime produzioni di Reinhardt nel suo nuovo teatro fu Der Schwierige (Un uomo difficile, 1924) di Hofmannsthal. Un avversario accanito di Reinhardt fu Karl Kraus, che con le sue seguitissime letture pubbliche di opere teatrali voleva contrastare un teatro di grande scenografia e tecnologia, da lui bollato come puramente commerciale e disattento alla lettera e allo spirito delle opere.

Mano a mano che la situazione politica diventava sempre più virulenta, con la sconfitta dei socialdemocratici, la chiusura del Parlamento e lo scioglimento dei sindacati e dei partiti, anche la situazione della vita teatrale diventò stagnante con un processo di ‘arianizzazione’ strisciante e di evoluzione verso il conservatorismo nazionalista in atto già prima dell’Anschluß. Il teatro alternativo poté sopravvivere nei piccoli teatri e cabaret con non più di 49 posti - come il Theater ABC dove vennero rappresentate le opere di Jura Soyfer - perché per tali sale non c’era la censura. Durante il Nazismo le produzioni teatrali furono quantitativamente considerevoli, il repertorio di autori classici tedeschi e austriaci venne messo al servizio della propaganda e del divertimento disimpegnato. In gran parte gli attori si adattarono per opportunismo alla nuova situazione; nell’orchestra dei Wiener Philarmoniker, rispetto a quella dei Berliner Philarmoniker, ci furono molti più membri del Partito Nazionalsocialista (anche quando questo era stato illegale in Austria, dal ’33 al ’38). Alla fine della guerra i responsabili per la cultura delle truppe sovietiche di occupazione non perseguirono una seria politica di denazificazione, il loro scopo era quello di ristabilire quanto prima la normalità, e la grande tradizione soprattutto musicale doveva servire a questo. Così anche le persone di spettacolo più compromesse con il regime nazista poterono riprendere la loro attività quasi senza soluzione di continuità, nei casi più eclatanti ci fu per lo più solo la limitazione (Berufsverbot) di qualche mese, e nessuno dei personaggi più famosi, come Paula Wessely, Attila e Paul Hörbiger, Werner Krauss, Elisabeth Schwarzkopf, Karl Böhm, Herbert von Karajan chiesero mai scusa. Molto più tardi Paula Wessely fu indotta a dire “mi dispiace”, in  seguito alle polemiche suscitate dalla pièce Burgtheater di Elfriede Jelinek, che attaccava appunto la continuità nella vita culturale durante e dopo il nazismo, ma che non fu messa in scena a Vienna, bensì nella lontana Bonn (1985).

Nel 1945, in parte già il 1 maggio, molti teatri ripresero dunque la loro attività dopo la sospensione forzata nell’ultima fase bellica; quando i loro edifici erano inagibili, come l’Opera e il Burgtheater, le produzioni avvenivano in altri teatri. Il reinizio, favorito anche dal rientro dall’esilio di alcuni attori, avvenne all’insegna della tradizione specificatamente austriaca, vale a dire con Mozart, Beethoven, Grillparzer, Nestroy, Hofmannstahl, Raimund, Schnitzler. Tale politica, al servizio della fondazione di uno stato austriaco che fosse ben consapevole della sua peculiarità rispetto alla Germania, portò con sé il pericolo di provincialismo, soprattutto per il Burgtheater, mentre la Staatsoper, dopo la sua fastosa riapertura nel 1955, per la stessa natura del teatro musicale e sotto la direzione di Karajan e l’apporto di grandissime star internazionali, non correva questo rischio, anche se pure in campo musicale si può constatare una certa resistenza a mettere in programma i moderni, per esempio Schönberg viene eseguito appena dopo il 1970. Dagli anni sessanta in poi Vienna diventa anche un centro internazionale del musical, che va a sostituire l’operetta.

Nel dopoguerra alcuni vecchi teatri furono demoliti, altri piccoli e sperimentali, dalla vita più effimera, vennero fondati: molti si concentrarono su testi di autori contemporanei o sul cabaret, di cui l’autore e interprete maggiore fu Helmut Qualtinger; l’esempio più interessante è il Neues Theater in der Scala (nel vecchio Johann-Strauss-Theater), dal 1948 al 1956, in cui venne rappresentato anche Brecht, altrimenti assente negli anni cinquanta e sessanta dai teatri viennesi, i quali, data anche la posizione geografica della città, risentivano dell’atmosfera della Guerra fredda. Il Neues Theater in der Scala perseguiva una politica di prezzi molto bassi, in modo da attrarre il pubblico meno abbiente e i giovani: memorabili rimangono sia le messe in scena non addomesticate (come era successo invece durante il Nazismo) di Nestroy che le prime viennesi di Brecht: Mutter Courage nel 1948, con Therese Giehse, Die Mutter (La madre, da Gorki) nel 1953, con Helene Weigel, e gli spettacoli della compagnia del Berliner Ensemble.

Il problema dello svecchiamento del teatro era evidentemente presente anche ai responsabili del Burgtheater, quando dopo decenni non molto brillanti chiamarono alla direzione Claus Peymann nel 1986, tra forti polemiche, accentuate dopo la prima di Heldenplatz di Thomas Bernhard, proprio in occasione del centenario dell’edificio sul Ring (1988), una celebrazione questa ben diversa rispetto al momento della riapertura postbellica: nel 1955 infatti era stata una edizione tradizionalmente ideologica della tragedia di Grillparzer König Ottokars Glück und Ende (Fortuna e fine di re Ottokar) a inaugurare la prima stagione teatrale nel Burgtheater risorto dalle macerie. In seguito, sempre sotto la direzione di Peymann, si ebbero anche rappresentazioni più innovative del classico Grillparzer, oltre che di autori contemporanei, come Turrini e Jelinek (vale la pena ricordare in particolare Sportstück, di Jelinek, per la regia di Einar Schleef, nel 1998), messi in scena in parte nel teatro collegato al Burgtheater, l’Akademietheater. E anche il Volkstheater negli ultimi venti anni ha inserito in cartellone gli autori contemporanei affermati, mentre le opere degli esordienti vanno in scena in piccoli teatri dalla vita più o meno breve: nel complesso si può constatare che la vitalità della vita teatrale viennese non è venuta meno, a tre secoli dalla fondazione del suo primo teatro per il popolo, il Theater am Kärntnertor.

 

Bibliografia.

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