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Sara Mamone

Sara Mamone Introduzione a La locandiera di Carlo Goldoni

Data di pubblicazione su web 20/09/2007
Carlo Goldoni, "La locandiera" (Atto I,V - ed. Antonio Zatta e figli, Venezia, 1788)

Pubblichiamo due paragrafi (pp. 13-25) dall'Introduzione di Sara Mamone al volume C. Goldoni, La locandiera, a cura di S. Mamone e T. Megale, Venezia, Marsilio, 2007, pp. 9-91.


2.  Al culmine di una consuetudine
Quella che sarebbe diventata la più importante (e rappresentata) opera del teatro italiano nasce apparentemente senza troppo rilievo e senza troppo strepito, nel continuum dell’operosa frenesia dell’autore che rispetta i termini del contratto e la incastona senza troppo avvedersi negli scritti per la densa stagione da portare a termine: I due Pantaloni (poi divenuti I mercatanti), La locandiera, Le donne curiose, Il contrattempo, La donna vendicativa[1] vengono scritti in consecuzione. E sono il risultato quasi routinier di un esperimento iniziato da lontano ma certo ben concretizzato nell’attività e negli affanni del rapporto con l’impresario Medebach e con la sua compagnia. Gioverà forse qui ricordare che la storiografia, di forte impronta letteraria fino agli ultimi vent’anni, avendo estrapolato dalla complessa attività goldoniana solo quella testuale, ne ha confermato la grandezza drammaturgica ma non ha certo fatto un buon servizio alla storia dello spettacolo. E a quei personaggi transeunti ma non minori senza i quali, per ammissione stessa dell’autore, il coraggioso tentativo di riforma non sarebbe stato possibile. Medebach e i suoi attori sono in questa vicenda in primo piano e, al tempo de La locandiera, ormai ciascuno ben edotto delle proprie potenzialità e, quel che più conta, ben presenti nell’orizzonte d’attesa degli spettatori, quanto meno di quelli veneziani. Trascorsa felicemente la stagione delle sfide (l’anno delle sedici commedie nuove) e in fondo con la piena coscienza di un metodo di lavoro nuovo e foriero di sempre maggiori risultati, anche le polemiche con il Chiari, le riflessioni sopra il teatro di Maffei, Muratori, Riccoboni, Bianchi e perfino le drammatiche e contemporanee considerazioni del domenicano Daniele Concina nel convento delle Zattere[2], non sono altro che il segno di una vitalità che si esalta nella libera concorrenza di cui la competizione tra gli attori è l’esempio ultimo ma non meno importante[3]. Si tratta di tensioni che non sembrano scalfire il rapporto fiduciario con il pubblico, vero arbitro del moderno teatro commerciale.

La locandiera si insinua in questa situazione, con l’autore nel pieno della coscienza dei suoi mezzi: la compagnia è solidamente assestata, il rapporto con gli attori è fatto di consuetudine personale, di verificate capacità interpretative e di totale conoscenza delle possibilità espressive di ciascuno (lascerei perdere le pur suggestive indagini d’alcova e di sentimenti); a queste si aggiungano il riconosciuto ruolo di direttore di compagnia in tournée, una provata capacità “registica” e un lusinghiero contratto in tasca, garante di promozioni future. Goldoni conosce a perfezione anche la struttura del teatro in cui si trova a operare, la sua acustica, la sensazione di intimità che si può instaurare col pubblico, tutte componenti paritarie di un sistema che non è sprovvisto di proficua organicità. In questo sistema[4] vive e opera, decisivo protagonista ma non forse cosciente appieno, immerso nella necessità di metterlo a frutto. La coscienza (e forse un iniziale rimpianto) verranno poi dalle prime delusioni e rettifiche del San Luca[5]:

dirò a questo proposito un’osservazione che ho fatto con la pratica e con il tempo: nella scelta delle azioni, sieno tragiche, sieno comiche o musicali, conviene avere un riguardo alla qualità del Teatro, cioè alla sua grandezza. In un Teatro picciolo riescono bene alcune azioni leggere, familiari o critiche, ma in un Teatro grande colpiscono difficilmente, e conviene scegliere azioni grandiose, strepitose, massicce. Così la musica in un Teatro picciolo si serve felicemente di modulazioni più delicate, d’accompagnamenti meno sforzati, ma in un Teatro grande è necessario lo strepito, tanto nella parte vocale, quanto nella istrumentale. In fatti alcune Commedie che mi sono riescite mirabilmente nel Teatro di Sant’Angiolo, non farebbono lo stesso effetto in quelle di San Luca [6].

Per ora, benché una certa sistemazione postuma del suo operare accentui da un lato la sua progettualità riformistica e dall’altro le difficoltà frapposte dai rivali e anche dalla vita di compagnia, l’autore si trova in una condizione creativa di privilegio che nemmeno le difficoltà organizzative e di relazione da lui ben sottolineate possono intaccare. Il ricordo della genesi de La Locandiera è nei Mémoires abilmente avviluppato nella mitopoiesi del racconto a lieto fine oltre che nelle sempre affascinanti coulisses del teatro. Ed è diventato, appunto, riferimento di qualunque storiografia goldoniana. Cosa di più aneddoticamente felice e suggestivo di questa nascita per accidente, di questo parto sulle tavole del palcoscenico, con l’autore salvifico che in un miracoloso sforzo dell’ingegno rimedia alla catastrofe imminente di una compagnia alla deriva con una primadonna inagibile?

Madame Medebac [la primadonna] étoit toujours malade ; ses vapeurs devenoient tojours plus gênantes et plus ridicules; elle rioit et elle pleuroit tout à la fois; elle faisoit des cris, des grimaces, des contorsions. Les bonnes gens de sa famille la croyoient ensorcelée: ils firent venir des exorcistes; elle étoit chargée de reliques, et jouoit et badinoit avec ces monumens pieux comme un enfant de quatre ans[7].

La celeberrima messinscena della crisi di Teodora Medebach prepara il capovolgimento, il coup de théâtre magistrale e risolutivo: «voyant la première Actrice hors d’état de s’exposer sur la scène, je fis, à l’ouverture du Carnaval une Comédie pour la Soubrette»[8]. Et voilà nata la più famosa commedia del teatro italiano. Ed ecco confermata la strepitosa novità e, a posteriori, l’importanza dell’operazione del drammaturgo. Per simmetria narrativa la “sostituta” di Madama Medebach avrebbe dovuto essere presentata con il suo nome anagrafico e, invece, drasticamente viene presentata con il suo ruolo, la soubrette, addirittura senza neanche  la definizione onomastica della celebre, all’epoca già non meno di madama Medebach, Maddalena Raffi Marliani, in arte Corallina. Corallina verrà nominata subito dopo: «quand elle sut qu’on avoit affiché pour le lendemain la Locandiera, pièce nouvelle faite pour Coraline»[9], ma è evidente che il riconoscimento che l’autore reclama non è ad personam, ma fa riferimento – a vantaggio di un pubblico allora intendentissimo in materia – al sistema dei “ruoli” su cui tutto il teatro si fondava. E’ un riconoscimento talmente fermo nei suoi desideri da spingere l’ottuagenario, nella sintesi per la posterità, a un vertiginoso raccourci del suo procedimento drammaturgico, col presentare la soubrette come giunta intatta dal passato mentre invece, a quest’altezza cronologica, è già passata non meno degli altri al vaglio del riassetto dei ruoli.

Riassetto di cui la pièce è forse la punta estrema ma la cui elaborazione aveva toccato negli anni conclusivi del Sant’Angelo la sua sistematica attuazione. Il teatro infatti, o per lo meno quello che vive di rapporti col pubblico, non fa e non accetta rivoluzioni. Ama “novità” e sorprese ma sempre nell’ambito di una riconoscibilità. Il pubblico non ama le avanguardie. La locandiera infatti non era di avanguardia. Era semmai il culmine felice di un rapporto, il risultato di una conoscenza e di una consuetudine[10]. L’autore conosceva i suoi attori, loro conoscevano lui, il pubblico (si parla qui di quello costante e fedele della piazza veneziana) conosceva la compagnia, ne conosceva le precedenti opere (pur non avendo evidentemente chiara consapevolezza di un itinerario drammaturgico), ne conosceva anche probabilmente quelle vicende biografiche e pettegole che potevano aggiungere godibili allusioni.



3. La drammaturgia per l’attrice
Da tempo ormai per lui Corallina era ben più che una soubrette come erano ben più che la semplice e meccanica incarnazione del loro ruolo tutti i membri della compagnia Medebach, ormai rodata nei quattro anni e stabile almeno da due, da quando cioè proprio Maddalena Raffi Marliani era entrata, ma sarebbe più esatto dire rientrata, in compagnia. Si trattava di un acquisto di cui già si conosceva la bontà e come tale Goldoni lo aveva presentato a suo tempo in una lettera all’Arconati Visconti: «Questa compagnia ha cambiato l’Arlecchino, e sarà Ferdinando Colombo. Ha cambiato parimenti la Serva e sarà la moglie di Brighella, che fu assai buona e si spera tale tuttoché sei anni sia stata in riposo, avendo dello spirito e dell’abilità»[11].

Effettivamente la Maddalena Raffi aveva fatto parte di quella compagnia di ballerini di corda diretta dal fratello Gasparo Raffi di cui faceva parte anche la di lui figlia Teodora e che lo scrittore aveva visto a Venezia al debutto  degli anni ’40. Insieme a loro Giuseppe Marliani, che faceva il Pagliaccio,  «era Saltatore e danzatore di corda, il più bravo, il più comico, il più delizioso del mondo»[12]. Questo è il nucleo fondatore della futura compagnia Medebach [13] come la rivedrà Goldoni spettatore a Livorno nel 1747: Giuseppe Marliani faceva Arlecchino e poi «La Teodora faceva la Prima donna, e la Maddalena facea la servetta; il Medebach era il primo amoroso; e qualche altro personaggio avean preso per eseguir le loro commedie»[14]. I veneziani dunque avevano dimestichezza con la Maddalena fin dalla prima metà degli anni ‘40 da quando «era una copia fedele della Teodora»[15], cioè «ballava sulla corda passabilmente ma danzava a terra con somma grazia»[16] a meno che l’informazione del testimone vada presa soltanto come dato fisiognomico. La zia e “copia” della prima amorosa, nel frattempo, aveva anche sposato Giuseppe Marliani che dopo l’impresario era, di tutta evidenza, il membro più importante della nuova combriccola, quasi il fautore della fusione, cioè della promozione della compagnia di saltimbanchi di Gasparo Raffi a compagnia di Commedie:

Il Marliani, non so se stanco di quel pericoloso mestiere, o eccitato dal genio Comico, avea gran voglia di recitare delle Commedie. Capitò il secondo anno a Venezia il Medebac accennato e unitosi co’ Ballatori suddetti, avendo egli cognizione bastante dell’arte Comica, gl’instruì, fornì loro i soggetti e, preso il piccolo Teatro di San Moisé [...] recitavano delle Commedie le quali sostenute principalmente dalle apparenze, dai giochi e dalle grazie del Marliani, che facea l’ Arlecchino, non lasciarono di attirare un buon numero di spettatori[17].

Dopo una sosta che Goldoni considera di sei anni ma che forse è più breve Maddalena ritornò in compagnia per la stagione d’autunno del 1751[18]. Sia pure con intermittenza i veneziani conoscevano dunque l’attrice da circa un decennio. Era già «assai buona» prima dell’interruzione sulla quale lo scrittore si sofferma più diffusamente nei Mémoires, fornendoci un dato che per una volta appare più attendibile di quello riferito nella lettera del febbraio ‘51[19] e, cioè, appunto la durata dell’assenza. Infatti se l’intervallo di tempo fosse stato così lungo, dovremmo ipotizzare una fuga immediata dell’attrice dal recentissimo talamo coniugale, azione  non del tutto coerente con un matrimonio che aveva per lei anche delle ottime valenze di promozione professionale:

Marliani, le Brighella de la Compagnie, étoit marié; sa femme qui avoit été Danseuse de corde comme lui, était une jeune vénitienne[20], fort jolie, fort aimable, pleine d’esprit et de talens, et montroit d’heureuses dispositions pour la comédie; elle avoit quitté son mari pour des étourderies de jeunesse; elle vint le rejoindre au bout de trois ans, et prit l’emploi de Soubrette, sous le nom de Coraline, dans la Troupe Medebac[21].

In un bouquet di non innocenti inesattezze forse i tre anni di assenza sono l’informazione più attendibile. Per il resto il sagace vegliardo ha dimenticato che quella che si ripresentava ai veneziani dopo sei (ma forse soltanto tre[22]) anni di assenza e «montroit d’heureuses dispositions pour la Comédie» non era certo una debuttante, aveva fatto parte della compagnia che lui aveva trovato «ben formata e in credito»[23] a Livorno nel ‘47 e lui  stesso l’ aveva definita come «assai buona» prima della rentrée veneziana del ‘51.

Probabilmente già non più copia conforme della Teodora negli anni per noi oscuri dell’esperienza pregoldoniana della Compagnia di Commedie Medebach l’attrice doveva essersi ulteriormente allontanata dal modello della dolce prima amorosa Rosaura negli anni delle étourderies ed era verosimilmente una donna più sicura e volitiva, pronta, certo grazie a Goldoni, ma non soltanto, a divenire quella che per giudizio unanime venne considerata la miglior attrice del suo tempo:

Nelle commedie all’improvviso riuscì spiritosa, e gran parlatrice aggiustata e concettosa. Motteggiatrice vivace qual’era, ogni comico la temeva sicuro di restar seco perdente nell’aringo delle scene. Bravissima recitante nelle cose studiate riuscì poi [24].

Il giudizio di Bartoli che le fu contemporaneo e la cui opera fu pubblicata a Padova  nel 1781-82, dunque non viziato dall’aura dei Mémoires usciti in prima stampa nella primavera del 1787, rileva immediatamente il carattere di fondo di questa donna, che porta in scena (e lo confermerà ampiamente anche nella successiva e non meno felice, dal punto di vista del successo scenico, fase postgoldoniana) il proprio carattere volitivo, la dialettica spiritosa, la prontezza retorica che rendevano ogni sua apparizione una gara, ogni sua performance un’occasione di mortificazione per qualunque compagno. Ovviamente non mortificazione di ruolo ma, ben peggio, di prestazione. Praticamente imbattibile nell’agone scenico trasformerà questa sua forza  in energia drammaturgica, incontrata la troupe e il compagno giusti. Questa energia che i veneziani conoscevano probabilmente dalla prima fase del San Moisè e che le vicende biografiche non avevano evidentemente leso, è l’energia giusta in una compagnia ormai solida e assestata praticamente in tutti gli altri ruoli: la Teodora è un’innamorata ormai largamente nota e amata nell’estensione dei ruoli che vanno dal brio della vedova scaltra alla dolcezza tenera e toccante di Pamela, è stata finta ammalata, dama prudente o volubile,  moglie buona o saggia, figlia obbediente etc.[25]; Medebach spazia, nel ruolo di Ottavio, da quello canonico di innamorato a quel che è più utile volta a volta alla compagnia; il Brighella Marliani è una certezza;  le coppie di innamorati Francesco e Vittoria Falchi, Luzio e Caterina Landi sono presenze consolidate. Anche il bravo Collalto si è pienamente inserito nel gruppo, come Pantalone, dopo il training soddisfacente e forzoso al quale lo ha sottoposto lo scrittore nell’estate del ’50, mettendo a punto quel metodo che consentirà al nuovo attore di inserirsi in una compagnia già ben rodata per la quale l’autore stava stendendo, in parallelo, oltre che in contemporanea, il manifesto de Il teatro comico:

Cet homme, qui avait eu de l’éducation, et ne manquoit pas d’esprit, ne connoissoit que les anciennes Comédies de l’art, et avoit besoin d’être instruit dans le nouveau genre que j’entroduisois. Je m’y attachai; je pris soin de lui, il m’écoutoit avec confiance; sa docilité m’engageoit toujours davantage, et je suivis la compagnie à Bologne et a Mantoue pour achever de former mon nouvel Acteur qui étoit devenu mon ami. Pendant les cinq mois que nous passames dans ces deux villes de la Lombardie, je ne perdis pas mon temps; je travaillai jour et nuit [26].

Ancor più solida è la compagnia al rientro della Marliani e ben lontani i tempi in cui la fragilità dell’autore e il suo disorientamento professionale avevano mescolato, negli anni del suo servizio presso Sacchi, inesperienze d’autore[27] e confusioni personali[28]. Anche se ci sono interferenze personali non c’è dubbio che il metodo di Goldoni, ormai sperimentato, si applica con modalità analoghe a quelle messe a punto con il Collalto: le professioni sono molto ben definite, non ci sono più principianti. Tutto è solido, pratico, funzionale:

Elle était gentile; elle jouoit les rôles de Soubrette; je ne manquai pas de m’y intéresser; je pris soin de sa personne, et je composai une pièce pour son début […]. Madame Marliani vive, spirituelle, et naturellement accorte, donnoit un nouvel essor à mon immagination, et m’encourageait à travailler dans ce genre de Comédies qui demande de la finesse et de l’artifice[29].

Le intensissime stagioni seguenti avevano visto l’autore impegnato in equilibri di compagnia, allenatore quasi più che regista, preoccupato di dare ad ognuno dei pilastri della troupe giusta visibilità pur nell’alternanza delle gerarchie drammaturgiche: «J’avois fait briller l’ancienne Actrice et l’Actrice nouvelle; il ne falloit pas oublier Collalto, Acteur aussi excellent, aussi essentiel que ses deux camarades»[30].

L’autore aveva sperimentato le potenzialità della Marliani in un numero notevole di messe a punto, ora assegnandole il primo posto, ora affiancandola o subordinandola alla prima amorosa o al vecchio Pantalone, cioè riportandola al suo ruolo naturale. Sotto vari nomi e con alterno impegno la creazione di Corallina era già stata messa alla prova una mezza dozzina di volte: nel 1751 ne Il Molière (nel ruolo di Foresta, servente di Molière),  ne La gastalda (prima opera scritta per lei protagonista, mantiene il nome del ruolo, castalda nei poderi di Pantalone), ne L’amante militare (mantiene il nome del ruolo, cameriera di Rosaura). Nel 1752 era stata la volta de: Il tutore (mantiene il nome del ruolo, cameriera di Beatrice), La moglie saggia (mantiene il nome del ruolo, cameriera della contessa Rosaura), Il feudatario (recitata col nome del ruolo, come moglie di Lelio, così registrata nella ed. Bettinelli, trasformato in Ghitta, moglie di Cecco dalla Paperini in poi), Le donne gelose (siora Lugrezia vedova), La serva amorosa, (col nome del ruolo, vedova; serva nata ed allevata in casa di Ottavio), I puntigli domestici (col nome del ruolo, cameriera della contessa Beatrice), La figlia obbediente (Olivetta, ballerina, figlia di Brighella), I due Pantaloni (col nome del ruolo, cameriera di Beatrice; l’opera, recitata poi al San Luca, prenderà con molte varianti il titolo I mercatanti).

Alle soglie de La locandiera, nel 1753 dunque la servetta Marliani, l’attrice Marliani, aveva al suo attivo un buon numero di prove. Poi verranno Le donne curiose (col nome del ruolo, cameriera di Beatrice e di Rosaura), Il contrattempo (o sia Il chiacchierone imprudente col nome del ruolo, serva), e la “postuma” La donna vendicativa (col nome del ruolo, serva, amante di Florindo)[31]. Dopo qualche incertezza l’autore aveva progressivamente fissato in modo sempre più nitido i contorni delle potenzialità interpretative dell’attrice, rassicurato ormai dalle capacità espressive garantite dagli altri attori già in compagnia da maggior tempo. L’autore a chi legge de La castalda, pubblicato nel 1755 nel VIII volume dell’edizione Paperini, riassume con chiarezza il progressivo definirsi della conoscenza e conferma con lucidità maggiore di quanto avverrà poi nei Mémoires il meccanismo della sua creatività che non è soltanto invenzione geniale ma poggia su un solido e sperimentato mestiere. Pubblicando un’edizione molto riveduta rispetto alla commedia andata in scena e anche rispetto a quella stampata dall’editore Bettinelli nel ‘53 (col titolo La gastalda) Goldoni esamina (a esperienza Medebach conclusa) le ragioni di quello che era stato un insuccesso:

pochissimo incontro ha fatto sopra la scena, quantunque la Parte principale della Castalda sostenuta fosse dalla celebre Corallina, tanto ne’ fogli miei decantata e tanto universalmente applaudita. Fu quella la prima volta che io ebbi il piacer di scrivere per la brava Attrice; pochissimo io l’aveva veduta recitare per avanti, onde non aveva ancor bene il suo carattere rilevato, come in appresso poi mi riuscì di colpirlo nella Serva amorosa, nella Locandiera ed in tante altre[32].

L’autore descrive qui un itinerario creativo che è soprattutto un itinerario di conoscenza del carattere personale e delle potenzialità espressive dell’attrice. Mette in posizione eminente nella sua gerarchia di riuscita La serva amorosa e La locandiera (valutando sia la resa artistica delle opere sia il riscontro avuto presso il pubblico). Non si limita però ad indicare solo le opere di maggior riuscita e non dimentica di sottolineare l’esistenza di «tante altre». Nel bilancio della sua attività con la compagnia di Girolamo Medebach, Goldoni non isola le opere più riuscite ma fa una chiara scelta di drammaturgia complessiva d’attore che nella storiografia successiva spesso la preminenza delle due opere citate fa trascurare. Se può infatti avere un senso raggruppare le opere che vedono la Marliani protagonista e quindi estrapolare la cosiddetta trilogia di Corallina (Castalda, Serva amorosa, Locandiera, ma perché l’arbitrio di trascurare l’interessantissima Donna vendicativa?)[33] deve però essere ben chiaro che è più vicina alla conoscenza dell’officina goldoniana la valutazione dell’arte dell’attrice nell’intera drammaturgia che la vede presente, abbia o non abbia il ruolo del titolo: «per me ho sempre detto essere la Prima donna quella che sulla Scena si fa più onore d’un’altra, onde siccome è accidentale l’incontro, così dovrebbe essere alternativa la preminenza»[34].

La drammaturgia dell’attrice è dunque significativa nell’alternanza e non solo nella preminenza. Questo continuo movimento di ruoli e spostamento di gerarchie era del resto evidente agli occhi degli spettatori del Sant’Angelo. Quindi Mirandolina è da valutare non come un punto di arrivo definitivo ma come momento felice di un’alternanza. Stiamo parlando di un metodo di lavoro che si applica sistematicamente, non stiamo qui valutando la qualità di un’opera che di questo metodo è frutto. Anche se chiarito ed esposto proprio in un’opera che si riferisce alla Marliani il metodo non riguarda solo le prime donne ma è fermamente rivolto ad una drammaturgia di ensemble:

Io ebbi sempre nello scrivere, e ho tuttavia, un precetto asprissimo […] quello cioè di adattare la Commedia alla compagnia di Attori, e non potergli scegliere per la rappresentazione delle Opere mie. Da ciò ne avviene che, conosciuto il valore d’un Personaggio, rade volte m’inganno, e poco felici riescono alcune scene, quando incerto sono di chi le debba rappresentare. Per me nessun Personaggio è inutile. Ciascheduno ha qualche carattere particolare, che può servire al Teatro; chi più che meno, egli è vero, ma i mezzi caratteri son necessari ancora, come le mezze tinte ai Pittori. […] Chi va al teatro e spende il suo denaro per aver piacere, non è impegnato a sostenere il grado degli Attori ma il merito[35].



[1] Quest’ultima, a seguito della impermalita reazione dell’attrice a cui era destinata, che mal aveva sopportato l’abbandono della compagnia da parte del drammaturgo, verrà rappresentata solo nell’autunno successivo non ricadendo più sotto il diretto controllo anche allestitorio dell’autore.  Come sempre l’abilità memoriale di Goldoni riveste di garbo il ricordo nella testimonianza dei Mémoires: «est un petit trait de vengeance de l’Auteur lui-même. Coraline très piquée de me voir partir, en voyant l’inutilité de ses démarches pour m’arrêter, me jura une haine éternelle. Je lui fis la galanterie de lui destiner le rôle de la Femme vindicative; elle ne le joua pas; mais j’étois bien aise de répondre à la vivacité de sa colère par une douce et honnête plaisanterie ». C. Goldoni, Mémoires, II, cap. XVI, in C. Goldoni, Tutte le opere, a cura di G. Ortolani, Milano, Mondadori [d’ora in poi MN],  vol. I, p. 316.  Ma sulla questione si veda più avanti, passim.

[2] Sugli scritti del padre Concina e in particolare sul De spectaculis thetralibus e sull’eventuale influenza sulla  contemporanea stesura de La locandiera  si vedano le pagine chiarificatrici di P. Vescovo, “La peinture des faiblesses”. Libertà e “delicatezza insidiosa” nella “Locandiera”, in «Problemi di critica goldoniana» [d’ora in poi PCG], 3, 1994, pp. 299-317.

[3] «E in un paese poi, come questo, dove si vedono in attuale confronto i migliori comici che girino per l’Italia». La battuta è di Lelio, amoroso della compagnia del San Luca, pronunciata nell’Introduzione per l’apertura del teatro Comico, detto di San Luca, la sera de’ 7 ottobre 1753, MN, vol. V, p. 4. Insieme a La donna di testa debole doveva in qualche misura servire come presentazione al pubblico dell’ assetto della nuova compagnia e delle sue possibilità espressive.

[4] E’ l’autore stesso, pur nell’inattendibilità dei Mémoires, a usare il termine «divisai di formar questa donna [la Baccherini, nel 1742] secondo il sistema ch’io aveva in capo». C. Goldoni, Prefazione al tomo XVII dell’edizione Pasquali, ora in MN, vol. I, p. 749. Anche se più limitatamente a proposito dell’analisi di singole opere la critica più avveduta si è già rifatta all’individuazione di un procedimento sistematico. Si vedano: M. Baratto, Il sistema dei “Rusteghi”, in La letteratura teatrale del Settecento in Italia (studi e letture su Carlo Goldoni), Vicenza, Neri Pozza,1985, pp. 164-175, R. Alonge, Il sistema di Mirandolina  in Goldoni. Dalla commedia dell’arte al dramma borghese, Milano, Garzanti, 2004, pp. 55-93, e C. Goldoni, Gl’innamorati, a cura di S. Ferrone, Venezia, Marsilio (C.G., Le opere, Edizione Nazionale [d’ora in poi EN]), 2002, Introduzione, pp. 9-39.

[5] C. Goldoni, L’autore a chi legge de Il geloso avaro: «questa  è la prima Commedia mia che fu rappresentata in Venezia nel teatro che dicesi di San Luca, della nobilissima casa de’ Vendramini. Non ebbe, per dir il vero, molto felice incontro», MN, vol.V, p. 19. L’ autore a chi legge de La donna di testa debole: «mi fu rotto il dissegno; si fece in un tempo che il teatro era stracco, e non bastò per farlo risorgere» , MN, vol. V, pp. 107-108.

[6] L’interessante osservazione, per quanto uscita nel 1757 nel tomo I dell’edizione Pitteri è affidata a L’autore a chi legge della prima opera scritta per il San Luca e quindi al presumibile choc (non solo drammaturgico dunque, ma legato anche alle condizioni della sala e quindi all’allestimento) dei due primi “fiaschi” consecutivi.

[7] C. Goldoni, Mémoires, II, cap. XVI, MN, vol. I, p. 312-313.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] E’ evidente che le grandi opere hanno un valore in sé e che la grandezza di un’opera sta soprattutto nella sua ambiguità, nel suo valore assoluto che la rende permeabile ad ogni suggerimento del tempo, insomma, come si dice per i capolavori, sempre attuale. La fortuna de La locandiera conferma questa regola ma non la sradica da un preciso contesto rendendone comunque interessante, al di là dell’assolutezza del capolavoro, la conoscenza.

[11] Lettera di Carlo Goldoni a Giuseppe Antonio Arconati Visconti del 27 febbraio 1751, MN, vol. XIV, cit., p. 175.

[12] Prefazione al tomo XVII dell’edizione Pasquali, ora in MN, vol. I, pp. 752.

[13] Ivi, pp. 752-753 in cui lo scrittore descrive l’organico della compagnia.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] C. Goldoni, La castalda/La gastalda, a cura di L. Riccò, EN, 1994, Nota ai testi, pp. 72-73.

[19] Lettera di Carlo Goldoni a Giuseppe Antonio Arconati Visconti del 27 febbraio 1751, MN, vol. XIV, cit., p. 175.

[20] In quanto sorella di Gasparo Raffi, romano, è probabile che anche lei provenisse dalla capitale anche se evidentemente la lunga pratica veneziana le fa attribuire dallo scrittore anche una nascita lagunare.

[21] C. Goldoni, Mémoires, II , cap. XIV, MN, vol. I, cit., p. 303.   

[22] Anche L. Rasi, I comici italiani, Firenze, Bocca 1897, vol. III, p. 92, accetta pianamente l’assenza di «un triennio».

[23] Prefazione al tomo XVII dell’edizione Pasquali, ora in MN, vol. I, cit., pp. 752.

[24] F. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, Conzatti, Padova, 1782, vol. II, p. 29 ad vocem.

[25] Devo alla cortesia di Anna Scannapieco la segnalazione del ruolo ­­– del tutto in controtendenza con le caratterizzazioni dominanti dell’attrice-personaggio – della figlia “cattiva e ipocrita” nel Padre di famiglia in A. Scannapieco, Commento ed. Bettinelli, cfr. C. Goldoni, Il padre di famiglia, a cura di A. Scannapieco, en, 1997, pp. 288-289.

[26]  C. Goldoni, Mémoires, II, cap. VII, MN, vol. I, p. 267.

[27] «Les Comédiens me demandoient de l’ouvrage […]. Mais Sacchi  étoit parti; la moitié de ses camarades l’avoit suivi. Le Pantalon Golinetti s’étoit retiré, et les Acteurs les plus essentiels étoient tous nouveaux pour moi». C. Goldoni, Mémoires, I, cap. XLIII, MN, vol. I, cit.,  p.197.

[28] Il fastidio per l’arrivo parassitario e frustrato del fratello militare, la sospensione delle rendite presso la banca ducale di Modena a causa della guerra che era scoppiata tra francesi e spagnoli, ma soprattutto la non ben gestita affaire amorosa con Anna Baccherini soubrette ingaggiata per riempire il vuoto lasciato dalla sorella di Sacchi, cfr. C. Goldoni, Mémoires, I, cap. XLIII e XLIV,  MN, vol. I, cit., pp. 197-199.

[29] C. Goldoni, Mémoires, II, cap. XIV, MN, vol. I, cit., p. 303.

[30] Ivi, p. 305.

[31] La lista, stilata anche in G. Herry, Goldoni e la Marliani, ossia l’impossibile romanzo di Corallina, in «Studi goldoniani», a cura di N. Mangini, quaderno n. 8, Venezia, 1988,  è integrata da  convincenti precisazioni in L. Riccò, Commento, in La castalda/La gastalda, EN, 1994, cit., p. 208, alla quale si rinvia anche per le osservazioni a proposito della sorprendente presenza di due serve (Colombina e Corallina) nella commedia La donna volubile che cronologicamente appartiene al periodo in cui la Corallina non era ancora rientrata in compagnia. Curiosa compresenza da attribuire forse ad una successiva ripresa in un breve lasso di tempo in cui la compagnia potrebbe avere avuto entrambe le attrici. 

[32] La Prefazione alla Castalda/Gastalda (edita nel 1755 nell’VIII tomo dell’edizione Paperini qui si cita dall’edizione a cura di L. Riccò, EN, 1994, cit., pp.117-121) contiene alcune tra le più importanti pagine di riflessione sul mestiere del teatro che Goldoni abbia scritto, determinate dalla necessità di chiarire i suoi diritti nell’intricata questione della querelle editoriale con l’editore Bettinelli. Per la complessa questione si rimanda  all’ampia indagine chiarificatrice di L. Riccò nell’Introduzione all’EN, in particolare pp. 9-21 e nella nota al testo. Si veda inoltre A. Scannapieco, Giuseppe Bettinelli editore di Goldoni, in «PCG», 3, 1994, pp. 63-188 ed EAD., “Io non soglio scrivere per le stampe…Genesi e prima configurazione della prassi editoriale goldoniana, in «Quaderni veneti», n. 20, 1994, pp. 119-186.

[33] L’opera è stata finora trascurata dalla critica se si fa eccezione per F. Fido, Due “notturni”: i commiati di Goldoni dal Sant’Angelo e dal San Luca, in Il paradiso dei buoni compagni. Capitoli di storia letteraria veneta, Padova, Antenore, 1987, pp. 179-194, per alcune osservazioni di G. Herry, passim, e  per il penetrante saggio di  P. Vescovo,  “La peinture des faiblesses”, cit. Scritta da Goldoni per la medesima stagione de La locandiera verrà “rifiutata” dalla Marliani che si acconcerà a recitarla solo nella stagione seguente, quando il Sant’Angelo avrà già come drammaturgo l’abate Chiari.

[34] Cfr. C. Goldoni, La castalda, L’autore a chi legge,  EN, 1994, cit., pp. 118.

[35] Ivi, p. 117-118. Molti  sono i momenti in cui Goldoni, a  conferma di quanto il problema fosse per lui cruciale, torna sulle proprie modalità creative e sul fondamentale rapporto con gli attori, singolarmente e nel loro reciproco interagire. Si vedano oltre a questo paratesto che mi sembra il più denso e sintetico insieme, le prefazioni  ai tomi XI, XV, XVI dell’edizione Pasquali, ora in MN, pp. 694, 738-739, 745, nei Mémoires, I, cap. XL, XLI; II, capp. I, X, XI. Si rifletta inoltre sulla precisione dell’autore nel dare conto nella sistemazione letteraria delle edizioni a stampa della trasformazione/nobilitazione di personaggi dialettali per un miglior uso delle competenze attoriche e la successiva trasformazione in lingua per una più ampia utilizzazione nel mercato anche scenico peninsulare. A questo proposito il più sintomatico adattamento mi pare quello de I due Pantaloni, significativa e clamorosa  scissione del doppio ruolo dialettale sostenuto dal grande Collalto nelle più praticabili parti di padre e di figlio, in dialetto veneziano, destinate all’immediato uso nel nuovo impegno del San Luca e  poi in lingua nella più ampia diffusione del testo a stampa e per le prevedibili ricadute di successivi riallestimenti.












 

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Carlo Goldoni, La locandiera,
a cura di Sara Mamone
e Teresa Megale, Venezia, Marsilio, 2007
 
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