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Caterina Pagnini

Costantino de' Servi, architetto-scenografo fiorentino alla corte inglese (1611-1615)

Data di pubblicazione su web 22/09/2006
Joris Hoefnagel (1542-1600), View of London (1572)
Pubblichiamo un estratto da Caterina Pagnini, Costantino de' Servi, architetto-scenografo fiorentino alla corte inglese (1611-1615), Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2006  ISBN 88-6032-016-X

L'opera ricostruisce l'attività artistica e spettacolare dell'architetto e apparatore mediceo Costantino de' Servi alla corte del principe Enrico Stuart, primogenito di Giacomo I d'Inghilterra, nel contesto delle relazioni diplomatiche e politiche fra la famiglia Medici e la casa reale d'Inghilterra.


Dall'Introduzione del volume, pp. 3-17.

Il 1600 si aprì con le nozze di Maria de' Medici e Enrico IV di Francia, un’occasione grandiosa per esportare, al di là dei confini italiani, i princìpi e lo stile che stavano alla base della spettacolarità e del gusto fiorentini. Già alla fine del secolo precedente, la moda del tour continentale delle nobili famiglie attraverso le capitali europee della cultura aveva richiamato in Italia, a Roma ma soprattutto a Firenze, un gran numero di artisti stranieri desiderosi di apprendere i segreti della prospettiva e della macchineria teatrale medicea. Alla corte dei Medici si realizzavano eventi spettacolari che avevano portato alla rivisitazione radicale dell’intera concezione della messa in scena e il traguardo conquistato dalle sperimentazioni rinascimentali non era che l’ultimo capitolo di una serie di esperienze iniziate nel secolo precedente con le sacre rappresentazioni di Filippo Brunelleschi. I grandi matrimoni che furono il palcoscenico ideale della spettacolarità fiorentina del Cinquecento, abilmente trattati dai granduchi di Toscana, contribuirono a dare risonanza universale agli spettacoli allestiti, tramite un sistema di propaganda accortamente predisposto allo scopo. Ebbe così inizio una capillare diffusione di notizie e resoconti su quanto di stupefacente si realizzava alla corte medicea, un sistema di informazione che mirava a glorificare la grandezza della famiglia Medici presso le corti europee; il XVII secolo è quello che più di tutti testimonia i processi e gli effetti di questa osmosi culturale e politica [1].

Nell’Inghilterra dei Tudor e dello scisma anglicano, i lunghi anni di inevitabile chiusura culturale e politica, dovuti al clima di sospetto e di cospirazione che la Chiesa di Roma e le fazioni papiste avevano sottilmente instaurato, avevano determinato un progressivo isolamento del paese dal resto dell’Europa più o meno filo-cattolica, precludendo la possibilità di interagire con le più prestigiose corti europee del rinascimento. Con un programma politico in perfetto equilibrio fra consuetudine e novità, Elisabetta I, conscia della suggestione strategica e della valenza politica dello spettacolo al pari dei suoi 'colleghi' continentali, quali i Medici, gli Asburgo, i Valois, sapeva molto bene quanto fosse necessario da parte del monarca offrire al popolo e alla corte festeggiamenti e intrattenimenti, per compiacere e gratificare il pubblico attraverso lo stupore visivo e la piacevolezza delle sensazioni suscitate; la regina, virago e vergine, affermava e confermava così, in maniera inequivocabile, il suo ruolo di Mistress of Ceremonies, a rappresentare inscindibilmente il diritto temporale e quello divino.

Partendo dalle basi della tradizione spettacolare inaugurata da Elisabetta nel suo preciso e codificato programma politico, l’ascesa al trono di Giacomo I, avvenuta il 24 marzo del 1603 alla morte della regina Tudor, e il conseguente avvicendamento della dinastia Stuart sul soglio reale inglese, segnò l’inizio di un'era di apertura, di tolleranza, di sviluppo sociale e culturale. Il programma di equilibrio sostenuto dal nuovo re era incentrato sulla figura del rex pacificus, capace di individuare il giusto grado di equilibrio a tutti i livelli del potere e di garantirlo per il benessere e la prosperità del suo regno; un'ideologia già adottata in pieno dai Medici quando, nel 1600, avevano posto sul trono di Francia, sposa ad Enrico IV, la 'loro' Maria, portatrice di pace, un'immagine propagandistica europea di segno e valenza inequivocabili.

I tempi stavano cambiando ma l'Inghilterra giacomiana, che aveva indubbiamente ereditato una 'viscerale' vocazione alla spettacolarità dal più cauto e antiquato passato Tudor, fu testimone - e anche in questo seguace dell'età elisabettiana che ne aveva gettato le basi - di una decisa avversione nei confronti del teatro e di tutti i fenomeni ad esso connessi, letterari e performativi, considerati la fucina di comportamenti moralmente deprecabili e di princìpi politici sovversivi. Gli attacchi provenivano da due direzioni, sulla scia del puritanesimo elisabettiano: da una parte uomini come John Northbrooke (A Treatise Against Dicing, Dancing, Plays, and Interludes, 1577), Stephen Gosson (A school of Abuse, 1579), Philip Stubbes (The Anatomie of Abuses, 1583), appartenenti alla fazione puritana estremista, che individuavano nel teatro il luogo eletto per la nascita e il proliferare di tutti i vizi, «first invented by the Devil» [2]; dall'altra le autorità cittadine, come il sindaco e i consiglieri della città, che vedevano nello spettacolo un veicolo privilegiato, e soprattutto di notevole impatto sulle masse, per la diffusione della propaganda rivoluzionaria e la conseguente istigazione alla rivolta civile. Valga per tutti il resoconto ufficiale che il lord Mayor di Londra presentò davanti al Privy Council il 28 luglio del 1597, nella capitolo dedicato ai problemi causati dalle rappresentazioni teatrali alla popolazione di Londra [3]:

They are special cause of corrupting their youth, containing nothing but unchaste matters, lascivious devices, shifts of cozenage, and other lewd and ungodly practises […]. They are the ordinary places for vagant persons, masterless men, thieves, horse-stealer, whoremongers, cozeners, contrivers of treason, and other idle and dangerous displeasure of Almighty God and the hurt and annoyance of her Majesty's people; which cannot be prevented nor discovered by the governors of the City for that they are out of the City's jurisdiction [4].

Dopo una querelle che si protraeva da più di mezzo secolo e che aveva visto condanne e apologie rincorrersi a centinaia nei pamphlets del tempo - uno fra tutti, An Apology for Actors (1612) di Thomas Heywood - i puritani ebbero alfine la meglio quando, nel 1642, agli albori della guerra civile, il Parlamento decretò la chiusura di tutti i teatri della capitale, per un periodo di oltre diciotto anni.

La dissolutezza associata alla rappresentazione teatrale, deprecata dai puritani e temuta dai governatori della città, non esauriva i suoi effetti nello spettacolo pubblico cittadino ma inquinava anche le reali corti del sovrano e della regina, spesso e volentieri 'teatro' di veri e propri bacchanalian revels [baccanali]; senza arrivare agli eccessi 'alcolici' raggiunti nei festeggiamenti per la visita di Cristiano IV di Danimarca, fratello della regina Anna, pur nella 'normalità' delle occasioni lo spettacolo di corte inglese sotto Giacomo I non poteva competere con la coeva magnificenza materiale e ideologica delle feste dinastiche medicee, né si avvicinava alla codificazione raggiunta, sotto il regno di Caterina de' Medici, dal ballet de cour francese, al quale evidentemente si rapportava. Il divario era innegabile e sotto gli occhi di tutti, un fin troppo facile appiglio per gli avversari politici del nuovo sovrano scozzese che, con malcelata soddisfazione, imputavano al numeroso seguito di Scots [scozzesi], 'barbaramente' calati in Inghilterra, la rozzezza e la sfrenatezza dei costumi che avevano contaminato gli ambienti cortigiani; nei primi anni del regno di Giacomo non erano pochi i gentiluomini che esagerando i termini, spinti da motivi politici e soprattutto religiosi, nonché dal radicato razzismo contro gli scozzesi, si facevano portavoce di un sentimento nostalgico per i tempi sobri della defunta regina Elisabetta.

Senza dubbio Giacomo Stuart possedeva una personalità complessa, fatta di contraddizioni e di reazioni estreme, di disarmanti debolezze che si accompagnavano a una sorprendente lucidità e a una notevole fermezza nella linea politica perseguita per la gestione del suo regno; le indecorose cadute personali, retaggio di un'infanzia tormentata e infelice, evidenziavano per contrasto le sorprendenti intuizioni, l'apertura mentale, la medietas e la tolleranza che sempre furono al centro della sua ideologia del potere assoluto e divino, mirabilmente enunciata di suo pugno nel Basilikon Doron, il manifesto politico 'donato' al figlio Enrico e poi ereditato dal secondogenito Carlo alla morte prematura del fratello.

Combattuto fra l'affetto filiale, l'ammirazione verso il padre sovrano e il suo carisma al comando da una parte e il desiderio di rinnovamento, di apertura e di parziale distacco dalla linea culturale e politica perseguita dal genitore, comincia a farsi strada l'astro nascente della famiglia reale inglese, il «sole d'Oriente» da tutti osservato con grandi aspettative, nell'attesa dell'effettivo estrinsecarsi di promettenti potenzialità, già in parte in atto: il giovane primogenito Enrico Stuart, principe ereditario d'Inghilterra, «the Flower of his House, the Glory of his Country, and the Admiration of all Strangers» [5].

Ancora adolescente, nel giro di due soli anni, dalla creazione a principe di Galles nel 1610 alla prematura morte nel novembre del 1612, Enrico elabora nei minimi dettagli, e in parte comincia a realizzare, quel grandioso progetto politico e culturale che avrebbe dovuto definitivamente affrancare il suo futuro regno dall'isolamento e dalla chiusura, avvicinandolo alla magnificenza delle più importanti corti europee e tenendo ben presente, come punto più alto di ispirazione, il granducato di Toscana e l'ideologia cerimoniale medicea. Sulle tracce della politica di apertura 'continentale' del padre, senza la quale niente si sarebbe potuto proporre, il sogno rinascimentale di Enrico Stuart prende corpo, e un nome: Costantino de' Servi.

L'esperienza londinese dell'architetto, pittore e scenografo fiorentino dell'entourage mediceo, per il breve periodo che va dal 1611 al 1615, rappresenta il punto di riferimento e di partenza per la realizzazione del programma di 'ristrutturazione' rinascimentale dell'Inghilterra cui Enrico stava totalmente dedicando le sue risorse mentali e materiali, in vista di un affrancamento dai problemi sociali ed economici che affliggevano il regno del padre e soprattutto in funzione di una revisione della codificazione spettacolare che si andava ormai consolidando verso una ripetitiva mediocrità e una sclerotizzazione di modelli esteri non adeguatamente restituiti. Spinto da una determinazione inconsueta per un adolescente (aveva diciotto anni), con uno straordinario senso di coscienza del proprio ruolo ma, soprattutto, finalmente forte dell'appoggio dell'homo universalis espressamente richiesto a Firenze e finalmente giunto, Enrico si sente pronto per l'attacco alle fondamenta del sistema cerimoniale voluto dal padre, tappa emblematica e centrale nel processo di glorificazione del proprio potere e del proprio regno.

La prima vittima illustre di questo disegno, individuata non a caso e clamorosamente esclusa dal circolo artistico del principe, è Inigo Jones, l'illustre portavoce, nonché importatore in patria da un viaggio giovanile di formazione in Italia, dei princìpi architettonici vitruviani e delle sperimentazioni scenografiche in atto presso le corti italiane, da lui personalmente visionate e recuperate negli allestimenti dei masques reali in collaborazione con Ben Jonson. Proprio perché artefice tanto celebrato, e quindi incarnazione, del teatro delle corti di Giacomo e Anna, Jones rappresentava un modello da superare, offuscato e reso inadeguato dalla presenza a Londra dell'interprete più accreditato dei fondamenti e della pratica spettacolare medicea: l'architetto fiorentino de' Servi lo sostituirà subito come soprintendente delle «fabbriche» del principe, ottenendo riconoscimenti mai concessi all'Inigo 'eroe nazionale', costretto ad un necessario ripensamento della propria arte. Stessa sorte per l'ingegnere francese Salomon De Caus, già illustre stipendiato della regina Anna.

La permanenza di Costantino alla corte londinese, determinante al di là della sua brevità, deve essere inquadrata, e quindi interpretata, in un clima più generale ed ampio che non si limiti ad analizzare la personalità e il progetto politico del suo principale committente, il principe Enrico, ma che parta dall'evidente cambiamento di rotta imposto alla politica estera inglese dall'ascesa al trono di Giacomo I e dall'inquadramento delle caratteristiche del suo regno, a loro volta misurate sull'eredita Tudor. La prospettiva inquadrata da una ricognizione sullo stato politico, sociale ed economico del regno inglese al tempo dell'arrivo dell'architetto fiorentino, si sposta sull'analisi accurata delle tipologie del calendario spettacolare inglese, sui cambiamenti imposti dal nuovo sovrano scozzese, legato a una tradizione non sempre coincidente anzi a volte profondamente diversa da quella radicata nel regno inglese. L'importanza dell'analisi è centrale per comprendere l'humus spettacolare nel quale Costantino de' Servi si trovò ad operare quale depositario in suolo inglese della cultura cerimoniale medicea alla quale tutti, spettatori ed artisti, guardavano cercando di ispirarsi.

Costantino de' Servi rappresentava, insieme ad altri personaggi, una pedina importante nel più ampio disegno politico impostato da Ferdinando I e, alla sua morte, portato avanti dal figlio Cosimo II: le trattative per il parentado fra la casa Medici e quella Stuart, tramite il matrimonio dell'erede al trono d'Inghilterra Enrico con la principessa Caterina, figlia di Ferdinando I e sorella di Cosimo. Mediatore e figura chiave dei complessi negoziati sotterranei fra i due regni il segretario Ottaviano Lotti, giovane diplomatico agli inizi della carriera al servizio del granducato, ma che ben presto si rivelerà il fulcro strategico di tutta la 'missione' fiorentina in Inghilterra, compreso l'ingaggio e l'irresistibile ascesa di Costantino de' Servi presso le corti dei sovrani e dei principi reali, un percorso da lui abilmente preparato e gestito nei minimi particolari.

Di modeste origini ma ricco di ingegno, Ottaviano Lotti era ben presto riuscito con il suo spirito di iniziativa a farsi notare all’interno degli uffici della segreteria granducale. Grazie al suo carattere schietto e aperto, ma sempre riservato, egli aveva presto conquistato la fiducia di Andrea Cioli, segretario personale del granduca Ferdinando I, ottenendo in breve tempo di viaggiare al seguito degli ambasciatori medicei attraverso le principali corti italiane e europee. Quando, non ancora trentenne, giunse in Inghilterra come segretario dell’ambasciatore straordinario Alfonso Montecuccoli in visita di complimento per l'appena avvenuta accessione al trono di Giacomo I, il Lotti era alla sua seconda importante missione diplomatica dopo quella, piuttosto breve e appena conclusa, alla corte francese di Maria de' Medici ed Enrico IV.

L’incarico di Ottaviano Lotti come residente mediceo in Inghilterra abbracciò complessivamente più di un decennio, dal 1603 al 1614, gli anni forse più dinamici e creativi del regno inglese sotto la dinastia Stuart. Davanti agli occhi del diplomatico fiorentino sfilarono i più importanti eventi storici e politici che caratterizzarono i primi dieci anni del governo stuardo, dal trattato di pace fra Inghilterra e Spagna alla Congiura delle Polveri; oltre a ricoprire, con il suo fitto «ordinario», tutta l'esperienza artistica e personale di Costantino de' Servi alla corte inglese, grazie alla posizione di favore che col tempo si era conquistato all’interno della corte, egli fu inoltre testimone privilegiato delle vicende personali e pubbliche della famiglia reale. La corrispondenza che il Lotti intrattenne con i segretari medicei Andrea Cioli, Belisario Vinta, Curzio Picchena e anche direttamente con Ferdinando I, Cosimo II e Cristina di Lorena rappresenta così una fonte primaria di informazioni eterogenee, a volte deludenti altre volte esaltanti, che abbracciano la totalità delle problematiche politiche, civili e religiose del regno inglese.

Sulle tracce delle alterne vicende artistiche e personali di Costantino de' Servi e del suo alter ego Ottaviano Lotti, dunque alla scoperta del territorio non sufficientemente esplorato dei rapporti culturali, in particolare spettacolari, fra Italia e Inghilterra (più specificamente fra Firenze e Londra), si ricostruisce l'ambiente vitale, fertile e coloratissimo della «scapigliatura italiana» [6] in terra inglese, quel fenomeno sotterraneo di 'contaminazione' che vide protagonista in prima linea la 'nazione fiorentina' tramite gli ingegni e le diverse personalità di artisti, letterati, mercanti, artigiani, finanzieri, faccendieri di ogni sorta, che si insinuarono nei circuiti più importanti della società inglese e se ne appropriarono, sotto i regni di Elisabetta e di Giacomo. Intorno ai protagonisti della nostra vicenda gravitava da tempo un microcosmo di personaggi quali il commerciante fiorentino Gualtiero Panciatichi e il raguseo Paolo Gondola, giunti entrambi a tentar la fortuna a Londra negli ultimi decenni del regno di Elisabetta, il lucchese Mario Berti, e quindi Orazio Franciotti e Giuseppe Simonelli: pochi ma indicativi nomi fra i numerosi che partivano dalla patria per cercare nuovi sbocchi in Inghilterra, magari al servizio di quegli emeriti straungers [stranieri], elencati nel registro cittadino londinese fra i commercianti più facoltosi della capitale, quali erano Filippo Corsini e Niccolò de' Gozzi. Una comunità italiana ben organizzata, legata alla patria da un rapporto di osmosi e interscambio, che aveva i suoi canali privilegiati per muoversi all'interno dell'organizzazione della società inglese; insomma, una vera e propria corporazione che, a ragione o a torto, faceva 'tremare' i rigidi englishmen e aveva portato l'illustre letterato sir Roger Ascham, tutore della principessa Elisabetta Tudor, a definire in termini molto espliciti, nella sua opera capitale The Scholemaster (1570), la deviante influenza della 'maniera' italiana sugli ineccepibili spiriti inglesi: «Englese Italianato è un diabolo incarnato, that is to say, you remaine men in shape and facion, but becum devils in life, brought up and condition» [7].

Tutte queste testimonianze, eterogenee nello stile, nei contenuti e di diversa provenienza - fiorentina, veneziana, savoiarda, inglese - capillarmente analizzate, poi confrontate e incrociate, sono risultate indispensabili per comprendere se e quanto la tradizione culturale, artistica e soprattutto spettacolare inglese dei primi decenni del Seicento, sotto il regno di Giacomo I, fosse stata effettivamente influenzata - per quanto più ci interessa dalla presenza della comunità fiorentina a Londra - dai princìpi del rinascimento europeo e soprattutto dall’ingegno delle sperimentazioni spettacolari attuate alla corte medicea, in un periodo di intensa vitalità culturale che forse non ebbe uguali nella storia del regno inglese.







[1] Il concetto rinascimentale di patronato artistico, come mezzo privilegiato di esternazione ed estensione del potere politico, è un fenomeno fondamentale per comprendere a fondo la politica spettacolare medicea e le sue valenze, come dimostrano gli studi di Ludovico Zorzi, Cesare Molinari, Siro Ferrone e Sara Mamone, per quanto riguarda l'estensione a livello europeo.

[2] Philip Stubbes, The Anatomie of Abuses, edited by F.J. Furnivall, London, New Shakespeare Society, 1877, p. 143. [«Creati per primi dal demonio»].

[3] The inconveniences that grow by stage-plays about the City of London [Gli inconvenienti che derivano dalle rappresentazioni teatrali nella città di Londra].

[4] Official letter from the Lord Mayor of London and the Aldermen to the Privy Council, 28 July 1597, in Malone Society, Collections, Oxford, University Press, 1907, vol. I, pp. 78-80. [«Sono causa principale della corruzione dei giovani, contenendo nient'altro che argomenti scabrosi, divertimenti lascivi, istigazione alla frode e altre pratiche oscene ed empie. Sono i ricettacoli abituali di vagabondi, ladri di tutti i generi, protettori di prostitute, imbroglioni, traditori e altre categorie ignobili che fanno dispiacere a Dio e provocano problemi al popolo della regina, e non possono essere né prevenuti né scoperti dai governatori perché sono al di fuori della giurisdizione della città»].

[5] Così lo definisce un non meglio identificato J. Beaulieu in un'elegia a conclusione di in una lettera al diplomatico William Trumbull, citata in Roy Strong, Henry Prince of Wales and England Lost Renaissance, London, Thames & Hudson, 1986, p. 225 [«Il fiore della casa Stuart, la gloria del suo regno, l'ammirazione di tutte le nazioni straniere»].

[6] La felice espressione, che dà il titolo a due suoi lavori, è di Giovanni Saverio Gargano (Giovanni Saverio Gargano, Scapigliatura italiana a Londra sotto Elisabetta e Giacomo, Firenze, Battistelli, 1923).

[7] [«[…], cioè rimani uomo nella forma esteriore, ma diventi un demonio nella vita e nel modo di comportarti»]. Questa citazione è ripresa dal testo integrale di The Scholmaster di Roger Ascham disponibile online all'interno del pregevolissimo Project Gutenberg (www.gutenberg.org). 



 

 

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