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Siro Ferrone

La "Mantova restituita" di Umberto Artioli

Data di pubblicazione su web 12/03/2005
Mantova Capitale Europea dello Spettacolo
Dapprima con Francesco Bartoli (1933-1997) e poi da solo, Umberto Artioli (1939-2004) ha lavorato ad un progetto politico e culturale ambizioso fondato sulla restituzione alla sua Mantova di un  ruolo da protagonista come città d’arte e di cultura. Lo ha fatto per lungo tempo sui banchi del consiglio comunale, ma soprattutto nella pratica quotidiana del negoziato intellettuale e organizzativo, sottraendo tempo alla più privata ed inestinguibile passione, quella delle letture e della scrittura. Il sogno umanistico di una Mantova restituita al ruolo di capitale europea dello spettacolo era del resto la prosecuzione in terreni più difficili di una vocazione didattica e progettuale coltivata quotidianamente nel lavoro universitario da sempre svolto con una serietà e una responsabilità indiscusse.

Ancora prima di sedere sui banchi del consiglio comunale di Mantova, Umberto e Francesco avevano discusso a lungo di un progetto di lunga prospettiva per la loro città. Negli anni dell’«effimero urbano» tanto caro alla sinistra di piazza e d’occasione la loro attenzione si rivolse alle strutture e agli istituti culturali, a quei centri di libera elaborazione delle idee e degli studi che, congiunti in una costellazione di sistema e radicati nella profondità della storia, costituiscono una speciale rete di protezione dei valori. Questo sistema, capace di dare comunque vigore alla comunità civile locale, nel caso specifico della “loro” città sembrava riproporre per la capitale dei Gonzaga un ruolo non inferiore a quello occupato da altre capitali europee. Ricordo che questa fu l’idea guida che accompagnava i pensieri di Umberto e Francesco quando ebbi la fortuna di partecipare alle riflessioni che avrebbero dato vita alla Fondazione «Mantova capitale europea dello spettacolo».

Poi il progetto prese corpo, non solo nella Fondazione, ma anche in molte altre iniziative che coinvolsero le più prestigiose istituzioni della città (dal Palazzo Te all’Accademia Virgiliana alla Fondazione Leon Battista Alberti, per citarne solo alcune), grazie all’intelligente guida politica del sindaco Gianfranco Burchiellaro e alla collaborazione dell’assessore Eristeo Banali. Rimasto solo dopo la scomparsa del fraterno amico Francesco, Umberto Artioli ha sentito accentuarsi la responsabilità di sviluppare il progetto e ha sacrificato, con una sofferenza sempre nascosta ma tuttavia intravista talvolta da amici e colleghi, molto del suo tempo e della sua passione di studioso per dare continuità all’impegno politico per Mantova. Sottraendo le ore al sonno – amava alzarsi molto prima dell’alba quando era più facile concentrarsi nella lettura e nella scrittura – Artioli ha continuato ad aggiornarsi e a studiare i suoi amati autori del Novecento (Pirandello, D’Annunzio, Artaud, tra i principali) pubblicando libri e articoli di assoluta originalità, ma senza mai interrompere il lavoro con il suo sindaco per un nuovo “rinascimento” mantovano.

In un paese in cui talvolta gli interessi privati si confondono con quelli pubblici, la generosità intellettuale e l’etica politica dimostrati in questi anni da Umberto Artioli  paiono eccezionali. Incurante dei mediocri calcoli del “politichese”, nella sua azione politica Artioli ha in realtà trascurato i suoi interessi intellettuali più personali e si è dedicato, lui teorico e storico dello spettacolo del Novecento, ad un lavoro di documentazione archivistica consacrato totalmente ai secoli alti della storia. Sapeva infatti che era in quei secoli (XV-XVII) che si trovano le fonti più fertili della grande stagione mantovana, quelle fonti capaci di innalzare la sua città al rango di capitale dello spettacolo e della cultura.

Cominciò allora a dirigere un severo e paziente lavoro d’équipe basato sulla raccolta e sulla catalogazione in formato elettronico dei documenti della tradizione gonzaghesca: non solo quelli conservati nel prestigioso archivio della sua città ma anche negli altri principali giacimenti italiani e europei. L’archivio Herla, adesso consultabile on line, è un importante punto di riferimento per gli studiosi del teatro e dello spettacolo e un piccolo monumento innalzato tanto alla ricerca storico-archivistica quanto alla storia mantovana. Nelle pagine di questo libro ne troverete  una campionatura significativa in forma cartacea, mentre nell’allegato compact disk avete a disposizione tutto quanto è stato catalogato e ordinato con il mezzo informatico durante i cinque anni di vita della Fondazione (dal 1999 fino al 30 ottobre 2004). I nomi dei curatori e dei collaboratori che vi figurano sono la testimonianza tangibile dell’insegnamento che Artioli ha saputo trasferire dalle aule universitarie al sapere operativo. Sono infatti le allieve del suo magistero padovano che hanno costruito, trascrizione dopo trascrizione, questo tesoro di informazioni destinato a crescere nei prossimi anni.

A sostegno del Progetto Herla, quasi come un manifesto popolare ad esso correlato, era stata concepita l’idea del Premio Arlecchino d’oro. Quando lo proposi, Artioli seppe coglierne la doppia valenza: da una parte era quello un modo di rievocare l’attore mantovano, Tristano Martinelli, che aveva inventato la più celebre maschera del teatro italiano, capace di imporre il suo personaggio a tutto il resto d’Europa; dall’altra si poteva utilizzare questo aspetto “popolare” della tradizione teatrale per attrarre l’attenzione del pubblico e della stampa sul più vasto disegno di recupero della civiltà mantovana del Rinascimento. Ma l’Arlecchino di Tristano Martinelli, nel nostro comune disegno, conteneva altri significati simbolici (e Artioli era particolarmente sensibile a questi). Era prima di tutto un’incarnazione mitica dello spirito terrestre e acquatico, anfibio, della cultura lacustre e padana della sua città. Arlecchino era la raffigurazione della terra ma anche del cielo, della materia viscerale e dello spirito surreale, dell’intelligenza extrasensoriale e della corporeità sensuale, in un dualismo che sta alla base di ogni forma di teatro.

Accanto al teatro del corpo fatto spirito, l’Arlecchino di Tristano Martinelli incarnava anche un’altra dualità: la sua origine contadina, radicata nei fertili poderi del ducato, e la vocazione al viaggio e alla mercatura. Di qui i connotati apparentemente contraddittori e in realtà perfettamente equilibrati di  una cultura al tempo stesso contadina e internazionale: una farcitura di valori che ebbe la consacrazione nelle corti europee attraverso il trionfo proprio della maschera per eccellenza della Commedia dell’Arte, espressione tanto della civiltà locale quanto del gusto internazionale. Quasi la sigla di una città capace di essere al tempo stesso provincia periferica e capitale.

Questo si disse e si fece in occasione della prima edizione dell’Arlecchino d’Oro (dedicata a Dario Fo) e del convegno internazionale imperniato sulla maschera mitica: fu quello il punto di partenza del programma di “pubblicizzazione” della Fondazione voluta da Umberto Artioli. Altre tappe dell’inchiesta (nei suoi studi, amava chiamarla, con riferimento ai suoi valori morali e estetici, la «quête») che avevamo insieme immaginato andavano oltre quella figura comica e popolare, e addirittura oltrepassavano i confini del teatro e dello spettacolo. Avevamo escogitato e immaginato un convegno internazionale dedicato allo studio dei corsi d’acqua europei: Mantova si trova al centro di un sistema fluviale che fu all’origine della sua importanza economica e strategica, capace di attraversare tutta la Padania e di metterla in comunicazione con il grande emporio veneziano; ma una storia analoga, legata sempre ai traffici via acqua, ebbero città importanti come Siviglia, Londra, Istambul, Budapest, Amburgo: una riflessione attuale sui valori culturali e economici di questo grande mezzo di comunicazione interculturale che è l’acqua, sarebbe stato di sicuro rilievo e di forte attualità nell’Europa dei giorni nostri. Un altro disegno era rivolto allo studio della prodigiosa energia spirituale e economica rappresentata dalla comunità ebraica mantovana, del resto all’origine di lasciti significativi non solo per la comunità locale.

In attesa di giungere a queste più difficili realizzazioni e facendo i conti dovuti con le necessità di bilancio, si era però avviato un filone di ricerca “possibile” anche se altrettanto ambizioso e forse immodesto: misurare il peso e la centralità di Mantova, nella storia e geografia dell’Europa del Rinascimento, partendo dalla “periferia”. Tracciando le linee virtuali che collegano - con viaggi di artisti musici e attori, missive di principi e letterati, trasporti di scene e costumi – i centri del potere delle nascenti monarchie (Parigi, Londra, Madrid, Vienna) con la capitale dei Gonzaga, si può arrivare a congetturare in maniera originale l’effettiva collocazione internazionale di Mantova. Ed il disegno tracciato da Artioli trova adesso una prima concreta realizzazione nelle pagine di questo libro, partendo proprio dal più innovativo dei punti di vista: quello imperiale. Anche se sono da revisionare i profili esistenti circa le relazioni con Francia, Spagna, Inghilterra, è sicuramente quello con l’Impero degli Asburgo un go-between  particolarmente trascurato negli studi e nelle riflessioni storiografiche trascorse. Avere perentoriamente deciso di privilegiare la via del Brennero come direttrice di studio preliminare è stato un merito indiscusso del progettista Artioli. Molto lavoro – come si suole dire – è ancora da fare, ma quest’ultimo (?) segno lasciato dal nostro carissimo amico nel campo non suo, ma da lui profondamente rispettato, degli studi dello spettacolo rinascimentale, ci fa capire da una parte quello che abbiamo perduto e dall’altro – nel momento in cui noi modesti ‘editori’ delle sue volontà ci apprestiamo a rendergli omaggio – quanto abbiamo anche ricevuto. L’intelligenza di Umberto Artioli era riservata e severa, eppure generosa e ospitale.

 


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Estratto (pp. IX-XII)
dal libro
I Gonzaga e l'Impero.
Itinerari dello Spettacolo




 

 
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