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Sara Mamone

Firenze e Parigi: due capitali dello spettacolo per una regina, Maria de’ Medici


Imola (Bo), CuePress, 2024, pp. 382, 44,00 euro
ISBN 9788855103350

L’opportuna riedizione da parte della casa editrice Cue Press di questo importante volume di Sara Mamone a oltre trent’anni dalla sua prima pubblicazione (1987) ha il merito di riportare all’attenzione di specialisti e appassionati un libro imprescindibile di riferimento, che dimostra come la Storia dello Spettacolo possa essere maestra di vita per la Storia. Pregevole esempio di indagine, la monografia di Sara Mamone prende in esame in un’ottica sovranazionale il ciclo di festeggiamenti che ebbe luogo nel 1600 in Italia e in Francia in occasione del matrimonio di Maria de’ Medici con Enrico IV, nonché gli spettacoli promossi dai regnanti e poi dalla regina fino all’avvento al potere di Luigi XIII. Con una metodologia esemplare l’autrice legge in maniera unitaria un’imponente serie di documenti scritti e iconografici (complesso miscuglio di spettacolo, politica, propaganda e sperimentazione) e stabilisce decisivi collegamenti fra di essi. Le feste e le celebrazioni della corte granducale fiorentina, il viaggio verso Parigi, gli ambigui rapporti con il re e con i favoriti italiani, gli intrighi e gli intrecci con l’attività dei comici dell’Arte diventano tasselli di un affascinante capitolo di storia moderna che trova chiarificazione solo a patto di considerare lo spettacolo come momento privilegiato della più complessa dinamica politica. 

Riportiamo di seguito la Premessa alla prima edizione del volume.


Gli studi storici hanno ormai sancito il ruolo centrale della civiltà fiorentina nel definirsi di una moderna idea di spettacolo, dando alla corte, e alla sua ordinata funzione di centro coordinatore e propulsore delle attività artistiche e artigianali che del teatro moderno costituiscono il segno specifico, tutti i titoli che le competono. Agli albori del secolo diciassettesimo, anzi proprio nell’anno di grazia 1600, quando la principessa Maria de’ Medici va sposa, con festeggiamenti sontuosi, al re di Francia Enrico IV, il granduca e la granduchessa, il loro entourage e i loro artisti e artigiani sono pronti a una sorta di bilancio, politico e artistico, di sessant’anni di civiltà medicea. I giorni sovraccarichi delle feste nuziali sono un catalogo dei raggiungimenti tecnici e artistici, oltreché politici, l’ultimo e più pubblico bene dotale consegnato nelle mani di una sposa che si avvia a diventare regina di un gran regno e che potrà farlo fruttare con gli innesti autoctoni della patria di elezione. La storia dello spettacolo fiorentino può trovare in Maria il tramite clamoroso e potente di un “lancio” e di un consolidamento internazionali, fondati sull’esportazione di un modello culturale, ma soprattutto sull’aura che si crea attorno a essa e sul potere di influenza esercitato da un entourage così numeroso e forte da costituire una sorta di corte italiana parallela. Proprio su tale discrimine è maturato questo studio, attento a osservare le zone di trapasso, il progetto internazionale che già germinava nella prima fase (quella italiana e granducale) dei festeggiamenti, il cui approntamento andava ben al di là di particolarismi e “specificità” fiorentine. La coincidenza tra l’avvenimento e la sua storicizzazione (non solo attraverso le consuete e più o meno devote vie tradizionali della descrizione e della cronaca) ne avrebbero reso possibile appunto l’esportazione e l’uso in situazioni anche imprevedibili. Valga per tutti l’esempio dell’opera di Rubens, chiamato a dipingere la storia della vita di Maria circa un quarto di secolo dopo le nozze fiorentine. In essa la pittura si fa strumento politico anche attraverso la memoria teatrale, una memoria decantata, selezionata e opportunamente richiamata in vita dopo le vicende di anni tumultuosi e dissipatori ma decisivi per la fondazione della Francia moderna. Quella Francia che non per caso, dismessi tragicamente i divertimenti e le raffinatezze dei Valois, dopo anni di forte pragmatismo enriciano ritroverà, anche attraverso la Medici divenuta reggente, il gusto dello spettacolo come rappresentazione ufficiale di sé. E sarà, in uno scambio ininterrotto di memorie ed esperienze tra le due patrie, il tentativo di fondazione di un vero spettacolo sovranazionale le cui componenti storiche e culturali sono comprensibili appieno soltanto valutandole nelle interazioni reciproche, negli inevitabili adeguamenti di una civiltà all’altra, nello sforzo fecondo e vigile della cattura degli elementi compatibili nel terreno “franco” e scivoloso di una continua mediazione. Di questo mondo assai complesso e non facilmente definibile Maria è il punto di riferimento, capace di tenere insieme, al di là delle accuse dei suoi avversari e denigratori e al di là del bilancio finale, le fila del cammino di una civiltà teatrale di cui contribuisce a mutare le regole. Insieme alle guide di un teatro ‘alto’ e cerimoniale che ebbe ampio modo di esplicarsi negli avvenimenti del regno, essa resse anche quelle di un teatro più “basso” ed esposto ai rischi di questa terra (o quanto meno tempo) di frontiera. I Comici dell’Arte, non più e non solo occasione di divertimento signorile, diventarono il fronte umile e ‘anfibio’ di un più complesso progetto di identità internazionale, uno strumento che aiutasse due comunità, con l’elastica duttilità del tramite “performativo” e non linguistico, a trovare forse nuovi punti di contatto. In questo continuo sforzo di adeguamento e d’innesto, e nella difficoltà di dare a esso la consistenza della realizzazione tra i differenti caratteri – cerimoniale e, appunto, performativo – delle due civiltà, si è consumata la prima parte della vicenda francese di Maria, si è venuto a costituire una sorta di romanzo della regina, sub specie theatri. La parte musicale non trova qui molto spazio, avendo già goduto di grandi e competenti attenzioni da parte degli esperti.

Le difficoltà obiettive di reperimento dei materiali d’archivio pertinenti per un periodo per il quale le lacune documentarie sono dolorose e spesso ingiustificate, sono risultate particolarmente accentuate per la parte iconografica che, al di là delle composizioni più note, è l’esito di un lungo e arduo lavoro di ricerca e attribuzione.

Il risultato spero valga a dare più compiutamente il senso, non tanto del lavoro svolto, quanto della complessità dell’indagine applicata alla storia dello spettacolo, disciplina per la quale è infecondo rifugiarsi nei sistemi precostituiti di metodi settoriali (letterari, filosofici, artistici, eccetera). Di questa lezione devo ringraziare Ludovico Zorzi, che mi ha insegnato a riscattare l’inerzia del minuto documento alla luce di prospettive storiche più ampie e a coltivare contemporaneamente la passione per il dato puntuale e rivelatore, e D’Arco Silvio Avalle, dal quale ho appreso l’importanza sottile e paziente della ricostruzione del documento. Ma a molti altri sono, in diversa misura, debitrice e vorrei qui ringraziarli, in ordine sparso: i componenti la giuria del Premio Pizzi, Carlo Bertelli, Carlo Bo, Pierluigi Cervellati, Gianalberto Dell’Acqua, Giorgio Mascherpa e Rodolfo Pizzi, che con il loro giudizio hanno promosso la pubblicazione di questo libro; Eve Borsook, Helène e Attilio Maggiulli, Jean-Baptiste Giard e François Fossier, Françoise Decroisette, Siro Ferrone, Claude Perrus, Chiara Pruno, Margaret Haines, Giorgio Bonsanti, Silvia Meloni Trkulja, Caterina Caneva, Anna Maria Testaverde, Maria Sframeli, Ferdinando Taviani, Luigi Sponzilli, Giuseppe De Juliis, Elvi Zorzi, Riccardo Bruscagli, Piero Marchi, Giuseppe Ferrini, Domenica Landolfi, Claudia Burattelli, Monique Verhoye, Cristina François, Teresa De Robertis, Robert Amadou. Infine mi sia consentito un ringraziamento più domestico: a mia madre, a Federico e a Giulia; e a mio padre, alla cui memoria vorrei dedicare questo mio lavoro 

Firenze, giugno 1987




di Sara Mamone


La copertina

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