La raccolta di saggi e
interventi, molti dei quali pubblicati in rivista o nati da comunicazioni
orali, va dal 1984 al 2010 e sinserisce nella nuova collana “Méthodes” che
tratta della fabbricazione delle opere sceniche e delle loro concezioni
creative. Nel Préambule lautore
insiste sul metodo che radicalizza unidea di critica guidata da criteri
rigorosi e vocazione militante. Sottolinea il bisogno duna revisione costante
del brechtismo, a partire dalle applicazioni riscontrate presso il Piccolo
Teatro di Milano e il Théâtre de la Cité diretto da Planchon: «Cette ambition de transformation du théâtre ma conduit
à pratiquer, plutôt que la mise en scène, la “dramaturgie” au sens que Lessing
donne à ce terme [...]. La démarche de Brecht nétait pas différente. Tel était
mon point de départ» (p. 5). Propone così il proprio ruolo di testimone e di
responsabile teatrale, anche organizzativo, per fondarne principi e obiettivi e
giustificare lesito degli scritti relativi. Assume il peso dellartista e
dellintellettuale, secondo riflessioni storiche ed estetiche (suo, Le Théâtre, lArtiste, lÉtat, Paris, Hachette,
1979), quando negli anni Ottanta crea “ritratti” di artisti e filosofi, per un
teatro del pensiero.
Uno dei primi interventi, Un théâtre de cour à vocation démocratique
(1985), riguardava il teatro pubblico opposto a quello privato, ponendo a
premessa una storia dellistituzione che, partendo dal XVII secolo, chiarisse
lo stato attuale attraverso casi concreti, come gli scopi e gli statuti dei
maggiori teatri nazionali. Vagliava tempi e modi delladozione del modello festivalier, nella programmazione
mutevole di tante rassegne, osservando laffermarsi di un «curieux mixte de de
la tradition française et de la tradition allemande en matière de théâtre de
cour» (p. 18) nel quale lambizione culturale egemonica francese senfatizzava.
Dallo spartiacque del Sessantotto, segue quello sviluppo problematico fino a
conseguenze di marginalizzazione subite da eventi anche rilevanti. Lo deduce
dai risultati presso le maggiori compagnie, in termini comunicativi e di scelte
ministeriali. Si domanda provocatoriamente: «Les Festivals vivraient donc de la
mort de lart dramatique?» (p. 29) per poi aprire unalternativa capace di avviare
la patria riconosciuta dei festivals al superamento del provincialismo.
La pratica feconda della traduzione
è esaminata in France/Allemagne, traduire
/ mettre en scène (1992), ove il pensiero sappunta sul metteur en scène e sul pubblico quali
agenti duno scambio reciproco dei ruoli e sinterroga sulla condizione del
critico drammatico nel contesto europeo. Trae un esempio da Le Temps et la Chambre, allestito da Patrice Chéreau (1991) per mostrare che, per le diverse condizioni
di vita, «la pièce de Botho Strauss est donc “réaliste” ou vraisemblable à
Berlin et absurde à Paris» (p. 33). Osserva poi come, allepoca di De Gaulle, lopera di Racine potesse apparire “politica”
mentre si avvertiva “barbara” quella di Shakespeare.
Con una scrittura in prima persona, densa per riferimenti sociologici e
connotazione politica dei protagonisti, giunge a considerazioni sulla
personalità di Heiner Müller e delle
sue opere, alla luce delle regie di Peter
Stein e di Chéreau. Con la traduzione e lallestimento di Hamlet-Machine, Quartett e Paysage sous
sourveillance, Jourdheuil
saggiava le qualità del drammaturgo tedesco prima in Francia che in Germania.
Nellinedito Le Théâtre et la guerre (1993) lautore tenta di circoscrivere la
situazione per la quale sia plausibile trattare la complessità dellargomento e
sceglie la triade teatro, guerra e politica per affrontarla. Avvia una lunga
storia esplicativa, confortata dallesperienza delle sue elaborazioni di La Tragédie optimiste (di Vichnievski), La Route des chars (di Müller) per comprendere infine la pièce di Kleist, La Bataille
dArminius: testi tutti funzionali alla definizione della manovra
dellaccerchiamento e della nozione di “nemico”, immancabile in ogni guerra, se
pure drammaturgica. In unalternativa problematica, Théâtre ou spectacle (1994) avanza la domanda retorica per mostrare
trasformazioni (forse) irreversibili in unarte che, inerente ai citoyens, riguarda ormai i citadins, per i quali «le théâtre
devient un élément de confort urbain» (p. 63) poiché «le théâtre ne va pas sans
spectacle [...] mais tous les spectacles ne sont pas de théâtre» (p. 64).
Gli effetti appaiono nelle
posizioni reciproche che influiscono funzionalmente sul regista, sul critico e
sullattore. Resta coinvolto anche il pubblico, sollecitato fra “teatro” e
“spettacolo”, da cui consegue una mutata percezione dello spazio-tempo
caratteristico della relazione. Linteresse sallarga agli amministratori della
Comédie-Française, dalla gestione di Pierre
Dux allavvento di protagonisti quali Vincent,
Vitez, Lassalle che instaurano un regime tipico duno spazio
“demilitarizzato”, sia immaginario sia operativo. Più pressante ancora, il
titolo Grandeur et décadence du “service
public”, et après: quoi?, nellindicare le scelte che dal dopoguerra
condurranno alla nationalisation
delle attività artistiche mediante finanziamenti pubblici.
Linverso accade a Nanterre,
quando Chéreau alla direzione del Théâtre des Amandiers torna alla
privatizzazione, in un confronto fra burocrazia e aspirazioni estetiche che comporta
il cambio di statuto del teatro. Oscillazione prolungatasi negli anni Ottanta con
i privilegi personali riconosciuti ad artisti eccezionali. Lintreccio indissolubile
fra pubblico e privato (la cui storia è finora incompleta) vedeva il regista di
Nanterre-Amandiers al centro di imprese creative di portata internazionale,
imputabili alla neo-décentralisation,
concausa del dibattito aperto sulle funzioni delle Maisons de la Culture (p.
124). Tema ripreso in Le théâtre, la
culture, les festivals, lEurope, et leuro (2010) e che segnalava
unEuropa “inesistente”, dopo la parabola ascendente della cultura «esthétique
et artistique de gauche» (p. 103). Allepoca della preminenza dellidea
“nazionale e popolare” del servizio pubblico, seguiva quella che lo concepiva
“ricco e popolare”.
Larchipel
de la culture européenne (1999) è uno schema in sette
punti e una conclusione, ancora dedicato allambito franco-tedesco. Quello che
titola il libro si riallaccia alla Déclaration
de Villeurbanne del 1968, testimonianza dun dibattito che avrebbe dovuto
programmare e guidare la svolta decisiva nella politica culturale del post
Sessantotto. Lo studio parte dalla “topografia” iniziale della contestazione e
investe loperato di Jack Lang e dei
successori ministeriali. Cresce allora la tensione polemica, quindi politica,
nel denunciare le condizioni vissute dagli artisti rispetto alle istanze del
potere. La peculiarità della Déclaration
consentiva al critico di manifestare il suo radicalismo per una ortodossia
marxista applicata allArt théâtral,
dichiarandosi «maoïste dobédience althussérienne» (p. 140). A complemento,
largomentazione sul successo della formula di Antoine Vitez (anni Ottanta) per
un teatro élitaire pour tous, con
appendice dedicata ai suoi equivoci e pericoli. Chacun pour soi dans les eaux
tièdes du management européen (2009) registra gli sbalzi imposti dalla
Storia al varco secolare, rispetto a condizionamenti più attuali della
sensibilità e dei giudizi indotti nei fruitori darte. Lautore riconosce e
afferma infatti la déréalisation
delle guerre (citate a decine, parrebbero war
games) secondo la proliferazione delle loro immagini diffuse, intanto che
la «la géopolitique mondiale se recompose et le théâtre ne sait pas que penser»
(p. 150). Ritiene Berlino la capitale culturale europea per la qualità della
riflessione sulle opere maggiori.
Ultimo e più lungo saggio, Essai pour élaborer un cadre permettant de
penser lhistoire du théâtre contemporain (2010) insiste sul bisogno di
inquadrare e confermare, in metodo e scopo, un bilancio che comprenda lultima
attualità. Testi più corti e sintetici sono riuniti in Épilogue, tutti pregnanti di proposte e soprattutto di conferme di
linee-guida già tentate. Con quale profondità di eco e dintuizione, tocca
anche al lettore scoprire. Un parcours
fornisce la carriera personale, in tappe e titoli dellOpera, sempre assiduamente immersa nella Storia attraversata e
coraggiosamente interpretata.
di Gianni Poli
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