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Renzo Guardenti

Atlante iconografico. La Commedia dell’Arte


Corazzano (Pisa), Titivillus, 2023, 216 pp., € 23,00
ISBN 978-88-7218-474-5

È operazione benemerita aver rilanciato una collana come “Altre visioni. Atlanti per la Storia dello Spettacolo” per Titivillus, fondata anni fa da Stefano Mazzoni con un volumetto su Spazi e forme dello spettacolo in occidente, dal mondo antico a Wagner (2003, riedito nel 2017) che ancora circola diffusamente tra gli studenti dei Dams d’Italia e poi rimasta in sospeso nel 2009 dopo l’uscita dell’Autobiografia per immagini di Giorgio Strehler a cura di Paolo Bosisio e Giovanni Soresi

Tanto più se a incaricarsene, assumendo la direzione della collana stessa, è uno specialista come Renzo Guardenti, che all’iconografia teatrale ha dedicato tanti dei suoi studi ormai classici – da Gli italiani a Parigi. La Comédie Italienne (1660-1697) (Bulzoni 1990) a In forma di quadro. Note di iconografia teatrale (Cue Press 2020) – fino a considerare la lettura delle immagini una via d’accesso privilegiata per interpretare in senso epistemologico la storia dello spettacolo nel suo lungo arco diacronico e a differenti latitudini. Esemplare in questo senso è il lavoro sull’archivio Dionysos, fondato da Cesare Molinari e diretto da Guardenti stesso, una collezione digitale di oltre ventiduemilacinquecento immagini e schede catalografiche su teatro e spettacolo dall’antichità alla prima metà del Novecento che ha dato vita a suo tempo a una pubblicazione su CD-Rom (Titivillus 2006). 

Lo spirito degli Atlanti è riproposto da Guardenti fedelmente, attraverso un itinerario iconografico che si snoda, un po’ come un corso universitario di antica scuola, “diapositiva” dopo “diapositiva”, incentrandosi su un soggetto principe della storia dello spettacolo che da sempre affascina studiosi e artisti: la Commedia dell’Arte. Gli stimoli offerti nelle pagine prefatorie e disseminati nelle righe introduttive a ciascuna delle cinque sezioni che scandiscono questo viaggio accompagnano il lettore senza pregiudicarne il gusto di perdersi nelle immagini, o meglio acuendone lo sguardo per poi maturare percorsi propri al di là di quelli prestabiliti, in un gioco di intrecci e sovrapposizioni di piani narrativi che costituisce uno dei punti di forza dell’opera. 

Tra fonti dirette di spettacoli e sedimentazioni mitopoietiche, Guardenti compendia l’immaginario della Commedia dell’Arte in duecentocinquanta illustrazioni selezionatissime a fronte di una produzione sterminata, che va dalle prime circoscritte testimonianze all’apparire del fenomeno alla diffusione esponenziale del repertorio a partire dal Settecento, quando il teatro dei comici di mestiere inizia a transitare dalle tavole del palcoscenico al territorio del mito. Il ricco ventaglio delle tecniche artistiche impiegate, i diversi contesti produttivi, la varietà degli artisti esecutori e dei rispettivi committenti «testimoniano la crescente vitalità della forma spettacolare» (p. 10), aperta a molteplici tipi di pubblico e a differenti modalità di fruizione. 

Nella prima delle cinque sezioni (Iconografia delle origini), definita da una cronologia compresa tra l’ultimo quarto del Cinquecento e la prima metà del Seicento, la scelta iconografica è per lo più “obbligata”: come non includere gli affreschi della Scala dei buffoni (Narrentreppe) custoditi tra le mura del Castello di Trausnitz in Baviera, le gallerie di maschere in azione incise su rame da Ambrogio Brambilla, le xilografie della Raccolta Fossard di Stoccolma, il variopinto collage di piume di uccello del codice di Dionisio Menaggio, proseguendo con le enigmatiche illustrazioni delle Compositions de Rhétorique di Tristano Martinelli e i ritratti dei comici Francesco e Isabella Andreini

Poi, man mano che la cronologia avanza, il gioco di selezione si fa più complesso, a fronte di un repertorio in crescente espansione, inducendo a scelte di campo o a strategie interpretative di tipo tematico. Così, nella seconda sezione (Nelle strade e nelle piazze), il lettore può “girovagare” – letteralmente – in luoghi di spettacolo «alternativi a quelli degli stanzoni da commedia e dei teatri frequentati dalle compagnie più blasonate» (p. 77), passando dai duelli e lazzi di maschere su sfondo urbano immortalati dai celeberrimi Balli di Sfessania di Jacques Callot (1622), alle attestazioni seicentesche del sottomondo di imbonitori, ciarlatani, saltimbanchi di piazza nei dipinti di Matthias Scheits, Karel Dujardin e Cornelis van der Meulen, fino a lambire il Settecento con le recite en plein air dal sapore bozzettistico di Giovanni Michele Graneri e Marco Marcola

Particolarmente corposa è la terza sezione (La Commedia dell’Arte in Francia tra pratiche sceniche e mito figurativo), frutto degli approfonditi studi dell’autore da oltre trent’anni concentrati sull’attività e i destini dei comici italiani oltralpe a partire dagli anni Settanta del Cinquecento. Un percorso nel percorso, quello qui raccontato, che illustra esemplarmente il processo di autopromozione figurativa della Commedia dell’Arte, passata tra XVII e XVIII secolo dalle pratiche sceniche illustrate dagli Almanacchi Bonnart e dai frontespizi illustrati del Théâtre Italien di Evaristo Gherardi all’astrazione leggendaria delle visioni immaginifiche di Claude Gillot e Antoine Watteau o delle oleografiche decorazioni di Nicolas Lancret, Jean-Baptiste Pater e Jean-Baptiste Oudry

Il cammino di riversamento della Commedia dell’Arte nella vita e nell’immaginario di ieri e di oggi si compie definitivamente nella quarta sezione (Oltre il palcoscenico: la vita delle maschere nell’Europa del Settecento), dove le maschere entrano nella quotidianità attraverso la produzione di statuette di porcellana e oggetti di vario tipo. Così, nella quinta sezione (Dopo la Commedia dell’Arte) tale processo è già compiuto: gli antichi comici sono ormai le ombre sbiadite di un rito glorioso scolpito in una dimensione senza tempo rinverdita da artisti come Honoré Daumier, Pablo Picasso, James Ensor, Gino Severini, André Dérain, o attualizzata a teatro dalle grandi regie di Mejerchol’d, Copeau, Reinhardt, Dullin, Strehler, Fo

Apparecchiato con didascalie puntali e un selezionato apparato bibliografico, quello tracciato da Guardenti è un percorso ben definito ma aperto, dichiaratamente ricco di «omissioni» (p. 9) e sbilanciato su versanti cari all’autore, su tutti quello francese. Una specie di “ipertesto analogico” i cui collegamenti, più che essere predefiniti, sono spesso suggeriti o del tutto impliciti, spronando il lettore dell’era digitale a maturare nella sua mente, in piena autonomia, i propri link.



di Gianluca Stefani


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