Allattenzione rinnovata degli
studiosi e dei teatranti, non soltanto francesi, lopera di Louis Jouvet (1887-1951) propone
notevoli sorprese e importanti conferme, come dimostrava il convegno tenuto nel
2015 (cfr. Louis
Jouvet: artisan de la scène, penseur du théâtre,
a cura di Ève Mascarau e Jean-Louis Besson, Montpellier, Deuxième
époque, 2018). La pubblicazione dei suoi Scritti,
nella collana “Études sur le Théâtre et les Arts de la Scène” (diretta da Marco Consolini, Tiphaine Karsenti e Florence Naugrette), offre ora quelle
riflessioni già organizzate dallautore. Lattore e regista ne conserva il carattere
di annotazioni occasionali senza ambizioni da scrittore e le propone quali
testimonianze appassionate sulla propria arte, intesa come risposta alla vocazione
nel senso più nobile. Nella mansione di direttore di scena, affrontata da
diciottenne («A dix-huit ans jétais régisseur», scrive nel tomo II, p. 65) in
collaborazione con Jacques Copeau al
Vieux-Colombier, si accende subito il dibattitto, anche conflittuale, con il patron.
Quei problemi segneranno, ormai in prospettiva, la sua maturazione in autonomia,
fino alla gestione dei Teatri partecipanti al Cartel des Quatre.
I due volumi scorrono attraenti
per la varietà e la densità delle informazioni e si rendono preziosi nellapprofondimento.
“LArt du théâtre” è per Jouvet un dominio totalmente comprensivo della
potenzialità artistica e dellumana espressività. Il concetto di attore vi
appare nelle due declinazioni, contigue e sfumate, di acteur e comédien
che confluiscono nel metteur en scène, per un bisogno creativo assoluto.
Il tomo primo insiste su quella condizione, tanto sofferta, di accoglienza
vocazionale. Nel secondo, che prosegue lindagine sul “mistero” del teatro, permane lo stesso stile
e la partecipazione viscerale al fenomeno di cui lautore si sente protagonista
eletto. La Préface di Pierre
Brisson, Les deux Jouvet, storicizza la vicenda dellapprendista
tuttofare che diventerà creatore e direttore famoso. I testi sono a volte
preceduti da un commento che ne situa lorigine. Lunghe pagine accorate dedica Jouvet
alla ricerca del senso della propria scelta dattore, dalla quale dipende larte
teatrale. Da quellintelligenza viene il valore trasfuso nellopera, da
intuizione a spettacolo compiuto, come del resto si era appreso dagli scritti
già pubblicati in Témoignages sur le théâtre (1952) e Le comédien
désincarné (1954), alla base dei rari studi italiani divulgativi (cfr. S. De
Matteis, Louis Jouvet. Elogio del disordine, Firenze, La casa Usher, 1989).
Nellaccogliere una missione impellente
e quindi nel métier che la realizza, interviene una religiosità evidente:
«Dans cette generosité, cette charité pour le personnage, loubli de soi-même
pour le personnage. […] La seule chose réelle avant la réalité de la Communion
des Saints, cest cette amitié des âmes, cette seule sortie possible de notre
moi» (tomo I, p. 119; tomo II, p. 40). La dedizione al personaggio è essenziale
della condizione dellinterprete. La scelta di una via rigorosa per incarnarlo,
se non chiede le rinunce della religione, impone però doveri morali altrettanto
vincolanti. Lo scopo sarà raggiungere la «communion théâtrale», poiché
personaggi come Alceste, Dom Juan, Hamlet, «ont besoin de toi… non pas pour séprouver
eux-mêmes vivants […]. Ils ont
besoin de singeries, de grimaces de ton humanité pour exprimer leur humanité
supérieure, ces souffles du sentiment et de lâme dont ils sont faits» (p. 171).
Modo per confermarsi nel
proposito, è linvenzione della Lettera del personaggio allattore,
quale sprone a un dialogo incessante e impegnativo (pp. 166-167). Jouvet
avverte perenne la dualità dellattore, «supérieur ou inférieur, aux autres exécutants,
on constate tout à coup quil est double» (T. I, p. 27). Così insegue
sempre le due definizioni di acteur e di comédien, che nella sua
sensibilità si distinguono e si completano, senza esaurirsi. Cura la voce
per unEnciclopedia (1935) alla quale torna più volte con passione,
cercando formulazioni e approssimazioni più precise dello stesso oggetto: «Incarné
comme lacteur ou désincarné comme le comédien» (p. 373); oppure: «Le comédien
est actif, lacteur est passif» (p. 382). Il rapporto con il personaggio
risulta così continuo. La via relativamente facile per risolverne la casistica non
lo esime dal compito ideale: «Leur incarnation spirituelle, la seule qui
importe pour moi, est un phénomène dont limagination fait frisonner» (p. 385).
Le annotazioni del tomo secondo riguardano
lapproccio pratico ai mestieri della scena. Vi insiste Brisson, nel Préface (Les deux Jouvet, 1952): «Il
aima, il aimait son art comme on affectionne un outil. Chez Copeau, il
pratiquait tous les métiers: régisseur décorateur, magasinier, tapissier
rafistoleur dobjets, et on le trouvait le plus souvent sur une échelle, en
cotte bleue, les clous aux dents» (p. 9). Pure nel suo discorso, attento
alla totalità del fenomeno, non mancano le questioni teoriche a confronto con la
meta operativa. Un testo basilare si ritrova (era uscito nel 1921) in La
technique du Vieux-Colombier, esemplare della competenza in scenotecnica acquisita
da esperienze e princìpi storici, affrontati ad esempio nello studio su Nicolò Sabbatini. Lo conferma Copeau
metteur en scène de Molière, nelle clausole tratte dal maestro che
definiscono gli orizzonti comuni e quelli precipui dellallievo di talento: «Le
tréteau est déjà laction, dit Copeau, il matérialise la forme de laction» (p.
131).
Ancor più stupisce la conversazione con una studentessa che chiede
consigli per una tesi di laurea. Il soggetto problematico è Sur la psychologie
du spectateur (p. 159) e la giovane ricercatrice interviene con puntualità
e profondità in argomenti che coinvolgono il maestro e lo trascinano a dialogare
con lei ad armi pari. Si nota impressionante la differenza di rigore e di
profondità, nella scrittura di memoria e di pensiero, rispetto a vicende
analoghe di personalità odierne pure eminenti: stile e prospettive caratterizzano
un linguaggio “altro” e fanno rimpiangere una sensibilità forse irrecuperabile.
Lautore riprende valori inziali, in Théâtre et spiritualité: «Le théâtre
forme élevée, forme supérieure du sentiment de lamour […]. LÉglise est dans
un sens un théâtre supérieur» (p. 439) con uno scrupolo di fedeltà definitiva agli
ideali. I numerosi Allegati propongono punti di vista esterni,
testimonianze significative di apprezzamenti altrimenti trascurati o perduti.
di Gianni Poli
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