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Francesco Morosi

Lo spazio della commedia. Identità, potere e drammaturgia in Aristofane

Pleiadi, 26, collana diretta da Franco Montanari

Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2021, 382 pp., euro 48
ISBN 978-88-9359-514-8

«I can take any empty space and call it a bare stage. A man walks across this empty space whilst somebody else is watching him, and this is all that is needed for an act of theatre to be engaged», “Posso prendere qualsiasi spazio vuoto e definirlo come un palcoscenico nudo. Un uomo cammina attraverso questo spazio vuoto mentre qualcun altro lo osserva, e questo è tutto ciò che è necessario perché un atto teatrale avvenga”. Così Peter Brook in The Empty Space (New York, Atheneum, 1968). Il nucleo di un atto teatrale, secondo il regista inglese, consiste nell’azione di un attore e di uno spettatore in uno spazio che può essere completamente vuoto. Ne deriva che l’elemento spaziale, anche minimo, è la condicio sine qua non del teatro. 

A partire da queste considerazioni Francesco Morosi indaga lo spazio delle commedie aristofanee con un approccio semiotico. Nella lunga introduzione alcune questioni di Theaterwissenschaft e di studio della performance sono prima affrontate in generale e poi calate nel contesto specifico del teatro attico e di Aristofane in particolare (pp. 5-50).   

In primis è trattato lo spazio fisico della drammaturgia aristofanea: il teatro ateniese di Dioniso nella seconda metà del V sec. a.C., la cui storia è sintetizzata con rigore (pp. 24-41). Al di là della vexatissima quaestio sulla forma originaria del theatron, è certo che la componente architettonica fosse a quell’altezza cronologica molto limitata: non esisteva skené in muratura, l’area in cui recitavano gli attori era in terra battuta, gli spettatori sedevano sul terreno in pendenza o sui cosiddetti ἴκρια, i sedili in legno menzionati proprio da Aristofane in un passo molto discusso delle Tesmoforiazuse (Th. 395). Intorno alla ricostruzione controversa della σκηνή del V sec. si pone anche la questione della διστεγία menzionata da Polluce in Onomasticon (4.127 ss.). Il lessicografo, riassumendo la strumentazione del teatro greco, menziona questo elemento, da intendersi come un livello intermedio tra l’orchestra e il roof-stage della skené che di norma rappresentava una stanza del palazzo reale o un tetto. Nel testo sono analizzate alcune scene teatrali che potrebbero richiedere l’uso della distegia (pp. 28-31). Anche il problema dell’esistenza di un piccolo palco rialzato su cui gli attori si esibivano è ripercorso in modo chiaro e documentato (pp. 36-38). Basandosi su passi specifici tratti da Acarnesi (Ach. 732) e Vespe (Ve. 1341), Morosi sostiene l’utilizzo di una piccola piattaforma ai tempi del commediografo greco.   

Lo studio dello spazio «come vettore di significato, e come strumento per amplificare, e chiarire, l’impostazione ideologica» (p. 50) delle commedie aristofanee procede poi in due direzioni. La sintassi spaziale intesa come l’organizzazione dello spazio, raccontato e mostrato, che contribuisce alla semantica delle rappresentazioni (parti I e II). Lo spazio diegetico, ossia la descrizione di mondi estranei all’esperienza diretta del pubblico ateniese come il cielo e l’aldilà (parte III). In questo caso l’attenzione è posta in particolare su Uccelli e Rane (parte IV). Entrambi i campi di indagine si rilevano di grande utilità. Emerge con evidenza che il theatrical space è funzionale alla vis comica e uno dei temi principali delle commedie prese in considerazione. 

Come la critica ha messo in luce da tempo, elemento basilare della drammaturgia aristofanea è la lotta tra poteri, lo scontro tra due istanze opposte: l’una incarnata dal protagonista oppresso, l’altra dai suoi antagonisti oppressori. Tramite la sintassi dello spazio tale dicotomia è amplificata. Non solo. Tale sintassi è essa stessa binaria e procede per opposizioni su due assi: dentro/fuori (pp. 51-180), su/giù (pp. 181-244). A questi si aggiunge lo spazio fantastico (pp. 245-327). 

Coerentemente con il suo forte anti-naturalismo lo spazio aristofaneo è inoltre multiplo. Si pensi alla dimensione performativa della porta che può rappresentare anche tre o quattro luoghi differenti (cfr. M. Giovannelli, Lo spazio oltre la porta: l’uso della facciata scenica nel teatro di Aristofane, in «Dionysus ex machina», 2, 2011, pp. 88-108). Quando invece sono messi in scena luoghi realmente esistenti – è il caso delle Rane in cui il viaggio dei protagonisti tocca molteplici ambientazioni ateniesi quali il tempio di Dioniso nelle Limne, l’Eleusinion cittadino, la via Sacra, l’agorà ecc. – tali spazi sono innanzitutto drammatici, quindi ficta. Vale anche l’opposto: molti luoghi fantastici assumono caratteri prettamente ateniesi. Ne deriva che in Aristofane lo spazio reale ha caratteristiche fittizie, e lo spazio fittizio ha caratteristiche realistiche. L’argomentazione è convincente e supportata da precisi riferimenti ai testi. 

La questione dello spazio investe anche la dimensione del tempo, si parla quindi di “cronotopo”. Mentre la tragedia è ambientata in un passato mitico, la commedia vive nel mondo iper-contemporaneo. Il focus sul presente ateniese consente al drammaturgo di idealizzare il passato, come emerge con evidenza ancora nelle Rane.  

Uno spazio-tempo multiplo consente una prossemica degli attori accentuata, tanto che i movimenti di scena sono persino difficili da quantificare. Il testo non può infatti registrare tutti i movimenti che avvengono (cfr. J.P. Poe, Multiplicity, Discontinuity, and Visual Meaning in Aristophanic Comedy, in «Rheinisches Museum für Philologie», 2000, 143, pp. 256-295). Esemplare sono gli Acarnesi in cui sono ipotizzabili più di cinquanta stage configurations in azione, inclusi i personaggi muti (κωφά πρόσωπα). Tale complessità e varietà non sono sine ratio ma al contrario sono guidate in modo rigoroso e coerente da Aristofane.   

Nelle conclusioni (parte V, pp. 329-336) l’autore si sofferma sul materialismo del teatro aristofaneo in cui ogni cosa – anche beni astratti – è tradotta in bene di consumo esauribile. Ciò fa sì che i rapporti fra i personaggi siano costantemente orientati in senso economico. In questo quadro lo spazio ha un ruolo importante poiché essendo per natura fisicamente limitato, è l’elemento che meglio si presta a incarnare la limitatezza delle risorse cui accedere. 

«Certamente lo spazio aristofaneo è multiplo e aperto, e ammette molte configurazioni che la tragedia esclude; tuttavia, la molteplicità e l’apertura dello spazio comico non comportano una completa disattenzione verso le dinamiche spaziali. Al contrario, esse sono curate con coerenza, costanza e nettezza, e anzi sono spesso essenziali per l’intera costruzione – e per l’intera significazione – del teatro di Aristofane» (pp. 335-336). È questa la tesi di fondo del volume, sostenuta sulla base dei documenti, in modo stringente e persuasivo. 

Una ricca bibliografia aggiornata e l’indice dei passi antichi citati aumentano il valore di un testo da leggere e custodire nella propria biblioteca. 



di Diana Perego


La copertina

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