Il dibattito sul cinema come fonte per la storia affonda
le sue radici nei primissimi anni della diffusione del medium, dal cineoperatore
polacco Boleslaw Matuszewski a Siegfried Kracauer, proseguendo
con Marc Bloch, Lucien Febvre, Pierre Sorlin, fino al recentemente scomparso Marc
Ferro. In questo corposo studio Andrea Sani riprende la metodologia delineata
dagli studiosi citati indagando levoluzione del cosiddetto “film storico” attraverso
una analisi della sua funzione, attitudine e forma nel raccontare e nel reinterpretare
il succedersi dei secoli.NellIntroduzione viene dichiarato
lapproccio storico-filologico, fondamentale per far luce su eventuali
contraddizioni relative a definizioni presenti nel lessico comune (film
storico, peplum, kolossal, war
movie, ecc.) attribuendo a ciascun
lemma una collocazione temporale ben definita. Delle singole produzioni viene
evidenziata la propria funzione di strumento finalizzato ad allargare le
conoscenze: sulla storia narrata; sulla storia del periodo in cui tali film
sono stati realizzati; sulle ripercussioni che essi hanno esercitato sulla
società e sulla Storia stessa.
La divisione del volume in cinque macro-sezioni
consente al lettore di addentrarsi in un percorso diacronico non di tipo “produttivo”
ma legato alle rispettive ambientazioni storiche: dallAntica Roma alla guerra
del Vietnam. Sani inizia con una rilettura del genere peplum partendo da Cabiria (1914) di Giovanni
Pastrone – accennando
alla proliferazione dei kolossal in Italia dagli anni Dieci agli anni Trenta –, ponendo in luce alcuni
parallelismi con lindustria hollywoodiana, in particolare dalle opere di Cecil
B. DeMille alla rinascita del genere con Il
gladiatore (2000) di Ridley Scott e Troy (2004) di Wolfgang
Petersen. Con un linguaggio semplice e accessibile anche ai non addetti ai
lavori, lautore pone alcune premesse sulla rappresentazione cinematografica del
Medioevo sostenendo che «il cinema storico di ambientazione privilegia
soprattutto lordine dei guerrieri, trascurando le figure dei chierici e dei
contadini» (p. 56), riallacciando il discorso su varie figure eroiche come
quelle di Robin Hood, Rodrigo Diaz de Bivar e Enrico II
Plantageneto.
Giungendo allEtà Moderna, Sani si sofferma su
alcune questioni connesse al territorio britannico, dagli eccessi di Enrico
VIII, allo scisma anglicano, alle interpretazioni attuate sullo schermo delle
opere shakespeariane, ragionando sul diritto alla manipolazione e sulla critica
in caso di assoluta fedeltà, asserendo che in tal caso «una certa critica
cinematografica è subito pronta ad accusar il regista di “piatta” e “inerte”
trascrizione» (p. 104). Successivamente lautore dedica un capitolo al
Settecento europeo “visto” da Stanley Kubrick, in particolare in Barry Lyndon (1975),
pellicola di inestimabile valore interpretata da un punto di vista filosofico e
comparata con altre pellicole del regista, in particolare con 2001: Odissea nello spazio (1968).
Arrivando al XIX secolo si ritorna al filone
bellico analizzando le libertà interpretative nei confronti della storia da
parte di Peter Weir in Master &
Commander (2003), nel quale viene messo in scena il conflitto
tra Francia e Inghilterra allepoca della battaglia navale di Trafalgar (1805).
Topos cinematografico
ricorrente nelle ambientazioni ottocentesche americane è sicuramente il Far
West. A tal proposito Sani analizza sapientemente due opere di John Ford:
The Horse Soldiers (1959) e Cheyenne Autumn (1964), rispettivamente sulla Guerra civile americana (1861-1865) e sul
rapporto conflittuale degli statunitensi con i nativi. Secondo lo studioso, a
un certo punto «linvasione dei territori indiani da parte dei bianchi cresce
in modo esponenziale, mossa dalla corsa alloro, dal commercio delle pelli di
bisonte, dallespansione della rete ferroviaria e dallallevamento» (p. 149). Completa
la sezione una panoramica sul rapporto tra cinema italiano e Risorgimento, a
partire dal 1905 fino a due opere emblematiche di Luchino Visconti: Senso (1954) e Il gattopardo (1963).
Chiude il volume la sezione Novecento, nella quale
si ripercorrono le principali tappe storiche e sociologiche del secolo
rimandando a pellicole di ambientazione bellica come Orizzonti di gloria (1957)
di Kubrick, nella quale «la guerra è un grande gioco, in cui i soldati
risultano delle pedine destinate a essere sacrificate» (p. 177). In queste
pagine emerge con spessore un ragionamento esaustivo del concetto di
“antimilitarismo” (per entrambi i conflitti mondiali) che permea anche film
italiani come La Grande guerra (1959) di Mario Monicelli e Tutti
a casa (1960) di Luigi Comencini. Ampio spazio
viene dedicato al cinema di propaganda (incluso quello di animazione disneyana)
e ai cosiddetti Viet-Movies come Il cacciatore (1978) di Michael Cimino e Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola. Insomma, quello di Sani è un viaggio lungo più di
duemila anni che incuriosisce soprattutto per la semplicità con la quale
vengono intraprese letture filosofiche e per lattenzione (doverosa) a quella Storia
che, appunto, è forma, fonte e agente.
di Giuseppe Mattia
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