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Music in the Art of Renaissance Italy, 1420–1540

A cura di Tim Shephard, Sanna Raninen, Serenella Sessini, Laura Stefanescu

London-Turnhout, Brepols, 2020, 408 pp., euro 140,00
ISBN 978-1-912554-02-7

Il volume pubblica i risultati dell’omonimo progetto di ricerca triennale ospitato dall’Università di Sheffield e finanziato da un Leverhulme Trust Research Project Grant. Due musicologi e due storiche dell’arte – rispettivamente Tim Shephard, Sanna Raninen, Serenella Sessini, Laura Stefanescu – firmano alternatim i paragrafi di quattro capitoli, in cui si ricostruisce l’identikit culturale dell’osservatore che nel Rinascimento poté ammirare le immagini dei musici che popolarono affreschi, tele, tavole e oggetti d’arte cogliendone pienamente il significato. Si trattava di un individuo dalla discreta cultura letteraria, devoto frequentatore di libri sacri e di preghiera. Aveva letto Ovidio, magari moralizzato e tradotto, e ne aveva fatto a sua volta il soggetto per decorare i propri ambienti domestici e i coperchi dei virginali o le ante di organetti che possedeva insieme a qualche partitura, ricordo di un’educazione musicale giovanile.

L’attenzione alla capacità ricettiva del pubblico rinascimentale delle iconografie musicali è il punto di forza di questa ricerca, la quale prova, in primo luogo, a determinare quale importanza e quale posto ebbe la musica nella società italiana. Tra Quattro e Cinquecento la Penisola risuonò delle armonie dei chapel singers al soldo di capitoli cattedrali o di principi, dei chamber musicians ospiti di mecenati aristocratici, dei cerimonial musicians che animarono le cerimonie pubbliche talora insieme ai military trumpeters, prestati dalle file degli eserciti per solennizzare i momenti della ritualità civile (pp. 11-12). Dotati di differente consapevolezza della teoria musicale e di abilità diverse nella sua pratica, questi artisti contesero ai maestri di architettura, pittura e perspectiva il primato nella considerazione presso i contemporanei della dignità del proprio operato, fondato sulle leggi matematiche dell’armonia e sul proposito di restituire il divino ordine del cosmo attraverso l’arte, nella certezza che «ex his qui bene canunt, bene pingunt, bene fingunt, ceterisque ex artibus multum usus atque ornamenti divinis accedit rebus» (citando le Elegantiae linguae latinae di Lorenzo Valla, p. 19). Nel capitolo primo, pertanto, il quattrocentesco “paragone” delle arti è ripercorso attraverso un’acuta contestualizzazione dei testi che affrontarono l’argomento, la quale permette di affermare come le analogie tra le tecniche artistiche sottolineate da Leonardo, Alberti e Filarete siano «valuable as a way of thinking about art rather than as a way of doing it» (p. 32), evitando confronti critici arbitrari tra il fare artistico di musici e pittori.

La trattazione si sofferma poi sulle Divine Harmonies raffigurate dai pittori «quando beatorum gaudia designare volunt» (p. 41). Così riferisce il Complexus effectuum musices di Johannes Tinctoris, secondo cui il canto dell’Alleluia, del Sanctus, del Magnificat da parte dei fedeli stabilirebbe una connessione perpetua e armonica tra la Chiesa militante e la Chiesa trionfante. Come nel Quattrocento i pueri cantores siano divenuti angeli e gli angeli fanciulli è il tema del secondo capitolo, corredato da una ricca documentazione iconografica. Vi si illustra, ad esempio, come nella Natività di Piero della Francesca (1470-1475) i cantori discesi dal cielo abbiano perso le ali per guadagnare due sonori liuti con cui osannare al Bambinello, o come alcuni di quelli dipinti dal Gozzoli nella Cappella dei magi indossino piviali e stole per prefigurare il destino beato dei buoni sacerdoti. Nel paragrafo quinto si ascende così dalla terra all’empireo, salmodiando sull’esempio del re David, antenato di Cristo, il quale non solo da fanciullo amò il canto di Maria e degli angeli – tanto da rubare l’archetto a un cherubino per suonare qualche nota sulla ribeca nella Vergine con Bambino e angeli di Piero di Cosimo (1507) – ma da adulto fu dotto musico, come ancora Tintoris affermò nel Proportionale musices citando il terzo concilio di Toledo (p. 126).

Il terzo capitolo è dedicato ai Classicisms, considerando, in primis, le raffigurazioni della musica tra le Arti liberali alla luce sia della stima che l’insegnamento musicale ebbe nelle scuole e nelle università, sia dell’associazione del senso ritmico e della melodiosità alle arti della parola nel XV secolo. Il buon poeta e il buon retore, avevano spiegato Cicerone e Quintiliano, doveva essere esperto nella scienza dell’accostare i suoni. Pertanto – si legge nel paragrafo secondo – strumenti ad arco, trombe e flauti potevano trovarsi opportunamente tra le mani di altre muse oltre a Melpomene, come avviene in una serie di incisioni (1465) ispirate ai Tarocchi di Mantegna (pp. 155-159); mentre cetra e lira da braccio furono più convenzionalmente associate all’iconografia di Orfeo, non solo musico e poeta eccellente, ma anche oratore capace di convincere Plutone e Proserpina a rendergli Euridice (terzo paragrafo). Alle raffigurazioni dell’erroneo giudizio di re Mida, arbitro della contesa tra Apollo e Marsia, e ai festosi cortei in onore di Bacco sono dedicati i paragrafi quarto e quinto, in cui si affronta anche la tematica complessa della contestualizzazione morale del fare musica e del riflettere accademicamente su questa arte nel Rinascimento.

Infine, il capitolo quarto, People, analizza numerose opere d’arte raffiguranti i momenti musicali dei divertimenti cortesi dei giardini di Venere (si pensi alle danze della xilografia dedicata da Baccio Baldini alla dea della bellezza nella serie dei Pianeti Finiguerra, 1464); delle feste nuziali, indagate attraverso le iconografie dei cassoni nuziali fiorentini; delle soste boscherecce dei pastori; dei trionfi di ispirazione anticheggiante. Chiude il volume una galleria di ritratti, dei quali si indagano le relazioni tra i personaggi dipinti e gli strumenti musicali o i cartigli con partiture che li accompagnano, soffermandosi sulle differenti tipologie delle loro pose per valutare le intenzioni pretese o reali dell’artista di riprodurre prassi esecutive più o meno usuali.           

Nel panorama degli studi sull’iconografia musicale della prima età moderna questo libro si distingue per l’efficace visione di sintesi e aggiornamento delle conoscenze. L’indagine sulla consapevolezza culturale presso il pubblico rinascimentale delle allusioni letterarie e filosofiche sottese all’ideazione delle opere d’arte ha permesso agli autori di affrontare, lungo un arco cronologico che abbraccia l’intero Rinascimento e la prima stagione del Manierismo, la lettura di un numero elevato di testimonianze iconografiche – duecentoventinove sono le illustrazioni ad alta risoluzione che impreziosiscono il volume –, ispirate a differenti contesti musicali e performativi. L’analisi è fondata su una ricca e aggiornata bibliografia (pp. 349-408). Notevole il numero di fonti letterarie citate per sostenere argomentazioni e ipotesi ermeneutiche rigorose: testi classici, patristici, trattati musicali, filosofici, cronache, opere poetiche, riportati nelle note a pie’ di pagina nella loro lezione in lingua originale. Tale lavoro di contestualizzazione, miniera preziosa di dati che certamente saranno impiegati in futuro da altri studiosi, è esteso anche fecondamente alle notizie sulla storia dello spettacolo italiano quattrocentesco. In particolare, nel capitolo secondo, si apprezzano gli sforzi di Sessini e Stefanescu di valutare l’incidenza della visione degli spettacoli che richiesero l’attivazione degli ingegni brunelleschiani nell’organizzazione spaziale dei paradisi dipinti da artisti di area toscana. In tali scene paradisiache, insolitamente rispetto alle pratiche del tempo, si riscontra l’impiego, tanto nelle recite quattrocentesche quanto nelle coeve raffigurazioni pittoriche, di strumenti musicali di grande varietà, da quelli grossi (ossia fiati in legno o ottone) a quelli sottili (ad arco), come accadde nell’affollato concerto angelico che accompagna l’Ascensione della Vergine di Filippino Lippi in Santa Maria sopra Minerva (1488-1493, p. 62).

Convince l’accostamento del testo della Rappresentazione di un miracolo di s. Maria Maddalena di Castellano Castellani all’Assunzione di Maria Maddalena (1506-1507) della Pinacoteca Nazionale di Ferrara, trasposizione sulla tela dell’ascensione della santa al cielo per mezzo di un ben rodato congegno brunelleschiano munito di nuvole e angioletti (pp. 81-82); e si apprezza l’analisi della miniatura raffigurante la Poesia eseguita sulle carte del codice Vat. Lat. 899, Descriptione delle nozze di Costanzo Sforza (1480) ricondotta al coevo processo di elaborazione dell’iconografia delle muse e delle Arti nonché alle modalità esecutive degli entremets del banchetto (p. 141).  

Sono questi gli effetti di un approccio autenticamente multidisciplinare, rinforzato dalla lettura di un’ampia varietà di fonti e di studi aggiornati, e che speriamo possa contraddistinguere le future ricerche degli autori del volume. 



di Claudio Passera


Music in the Art of Renaissance Italy, 1420-1540

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