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L’estate calda dei teddy boys
Pier Paolo Pasolini, Elio Petri e una collaborazione alla fine degli anni Cinquanta

Roma, Carocci Editore, 2019, 183 pp., euro 20,00
ISBN 978-88-430-9821-7

Pensato con l’intenzione di ripercorrere la storia produttiva di una collaborazione tra Pier Paolo Pasolini e Elio Petri prima dei loro esordi dietro la macchina da presa, il volume di Tommaso Mozzati si apre con una prefazione di Roberto Chiesi. Il critico cinematografico, responsabile del Centro Studi - Archivio Pier Paolo Pasolini della Fondazione Cineteca di Bologna, ripercorre le prime tappe cinematografiche pasoliniane nella capitale a cominciare dal 1954, quando il trentaduenne bolognese «fu introdotto nella città del cinema da Giorgio Bassani come sceneggiatore, ossia come scrittore di soggetti, trattamenti, sceneggiature, all’occorrenza anche consulente e suggeritore di spunti e idee» (p. 7), ponendo l’attenzione sul fenomeno dei poeti e romanzieri prestati al cinema. In particolar modo vengono evidenziati i diversi apporti professionali di Pasolini, non solo per quanto riguarda le sceneggiature ma anche per vari sostegni, revisioni e interventi.

Partendo dalla problematica legata al riconoscimento del contributo effettivo di un dato sceneggiatore nelle collaborazioni a più mani, Chiesi riconosce a Mozzati il primato di avere sistematicamente ricostruito la carriera cinematografica di Pasolini in Sceneggiatura di poesia (Mimesis, 2017), dagli esordi fino ad Accattone (1960). Proprio durante la preparazione per quel volume, lo storico dell’arte e critico cinematografico ha reperito materiali archivistici di prima mano riguardanti l’inconfutabile partecipazione di Pasolini al soggetto de Le notti dei teddy boys (1959), la cui sceneggiatura fu poi scritta da Petri, Franco Giraldi, Tommaso Chiaretti e dal regista Leopoldo Savona. L’idea per il film nasceva dalla volontà di rappresentare un punto di incontro fra la “gioventù bruciata” americana e quella italiana dei “ragazzi di vita” borghesi, dediti alla piccola criminalità. Mozzati, con intelligenza e rigore, indaga il contesto storico e sociologico in cui furono concepiti soggetto e sceneggiatura, durante la «rapida e trionfale diffusione della cultura popolare a stelle e strisce in un’Italia che si è affrancata dal fascismo da appena un decennio» (p. 8).

Nell’Introduzione l’autore riporta un estratto di Giorgio Trentin contenuto nella sceneggiatura de La commare secca (1962), edita da Zibetti Editore. Partendo da questo film, diretto da Bernardo Bertolucci su soggetto di Pasolini, Trentin ipotizza la pressione che l’intellettuale bolognese avrebbe potuto esercitare sul cinema italiano se la sua attività prevalente fosse stata quella dello sceneggiatore. Oltre questo aspetto, secondo Mozzati risulta fondamentale indagare il progetto de Le notti dei teddy boys «per disegnare la trama dei rapporti che avrebbero portato lo scrittore alla direzione del proprio esordio registico, grazie a una rete di supporti tecnici e di sostegni intellettuali» (p. 14).

Nella sezione Cronologia vengono ripercorse le principali fasi del contributo di Pasolini al progetto in questione, partendo da una pagina autobiografica consegnata a «Paese sera» nel 1961. L’articolo attesta infatti la presenza a Milano del poeta al fine di arricchire la sceneggiatura di sopralluoghi e conoscenze dirette. Mozzati ricostruisce il tutto dopo approfondite ricerche condotte nel fondo della Direzione generale dello Spettacolo: fascicoli ministeriali relativi ai preparativi per le riprese, revisioni sottoscritte della sceneggiatura, contratti per la distribuzione nelle sale, ecc. 

Nel paragrafo Contesto vengono delineate le circostanze storiche e sociologiche in cui Le notti dei teddy boys fu concepito: l’autore chiama in causa a tal proposito alcune produzioni filmiche francesi, nostrane e statunitensi del secondo dopoguerra, tutte incentrate sul disagio giovanile. A sostegno di queste realizzazioni c’erano perlopiù fatti di cronaca comparsi su testate giornalistiche – come il «Corriere della Sera», «l’Unità» o l’«Avanti!» – con lo scopo di sollecitare i lettori a interrogarsi sulle cause. Inoltre, la dilagante ondata di criminalità giovanile degli anni Cinquanta venne minuziosamente analizzata in numerosi articoli e convegni, portando alla ribalta un fenomeno che non poteva essere ignorato dal mondo intellettuale, scientifico, politico, editoriale e figurarsi cinematografico. Difatti «è significativo che il titolo arrivasse a includere la definizione “teddy boys” alla fine dell’agosto del 1959, quando l’etichetta aveva ormai raggiunto una popolarità rinnovata presso l’opinione pubblica» (p. 33).

Mozzati ritorna a parlare del poeta nel paragrafo Pasolini e i teddy boys, prima di “Milano nera”, chiamando in causa un suo pezzo dal titolo La colpa non è dei teddy boys, pubblicato su «Vie Nuove» il 10 ottobre 1959, dopo l’uscita in sala del film. L’attenzione dell’intellettuale bolognese è incentrata sul tentativo di delineare una vera e propria tassonomia puntuale del fenomeno, che rimanda ai suoi contributi per Milano nera, per Le notti dei teddy boys ma anche per il coevo La notte brava, scritto dallo stesso Pasolini e “affidato” a Mauro Bolognini. Insomma, una serie di incontri e relazioni che si intersecano e che si condizionano a vicenda, senza dimenticare i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), ambientati entrambi nelle borgate romane «in un’indagine sociale attenta a una composizione delle dinamiche urbane ridisegnate dalle sorti progressive del miracolo economico» (p. 40).

Nella sezione Il problema dell’autografia: fra documento, memoria ed echi letterari vengono soppesate alcune dichiarazioni per valutare la legittimazione di un’attribuzione in toto del soggetto alla penna dello scrittore. In prima battuta viene ricostruita una trama di legami tra i nomi al lavoro de Le notti dei teddy boys attorno alla rivista «Città aperta», tra cui figuravano come collaboratori anche Petri, Calvino, Pirro e Vespignani. L’intento di Mozzati è di arrivare a una conclusione ben precisa: egli sostiene che se si accosta la pretesa di modernità manifestata dalla redazione e se, di conseguenza, si confrontano tali fermenti con la rilevanza politica che il tema dei “giovani” aveva assunto nel dibattito italiano del periodo, è una logica conseguenza che i redattori del periodico si ritrovassero a interessarsi al problema del disagio adolescenziale nel contesto metropolitano. Infine, lo storico riesce intelligentemente a portare alla luce somiglianze e congruenze tematiche e ambientali tra varie opere di Pasolini: La nebbiosa, La notte brava, Giovani mariti fino a Mamma Roma.

Un’operazione di indagine archivistica e di ricostruzione di un contesto intellettuale, questa di Mozzati, che introduce la prima pubblicazione della sceneggiatura originale del film, individuata presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma, Fondo Ministero Turismo e Spettacolo, recante il titolo La banda degli innamorati o Le giovani volpi. I protagonisti sono tre giovani appartenenti al ceto medio di Roma. Quasi per gioco, compiono il loro primo crimine ricattando il proprietario di un bar. Il comodo successo li spinge a ritentare il colpo prima con delle coppiette appartate poi con “case di piacere”. L’avidità ma ancor più i sensi di colpa gli si ritorceranno contro. A chiudere il volume una variegata, corposa raccolta di paratesti tra cui riproduzioni di manifesti, locandine, copertine di riviste e di quotidiani.



di Giuseppe Mattia


L’estate calda dei teddy boys

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