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Dionysus ex Machina, n. 11, 2020


Rivista online di studi sul teatro antico

Il nuovo numero della rivista diretta da Angela Maria Andrisano e Giusto Picone si presenta ricco e vario nei contenuti. Si alternano contributi prettamente filologici, indagini sulla messinscena, studi sulla ricezione dei testi drammatici, presentazioni di nuovi volumi.

In apertura Tommaso Braccini propone una nuova emendazione del frammento problematico di Frinico TrGF 3 F14 recuperandone la natura marcatamente ironica. Lo studioso ipotizza che il verso possa appartenere alla tragedia L’Anteo o forse a un dramma satiresco in cui un eroe (Eracle?) si scontra con uno xenoktonos (tagliatore di teste), personaggio attestato nella tradizione teatrale successiva.

Andrea Rodighiero illustra le diverse sezioni in cui si articola la nuova edizione dell’Elettra di Sofocle, pubblicata dalla Fondazione Lorenzo Valla nel 2019 (introduzione e commento di Francis Dunn, testo critico a cura di Liana Lomiento). La traduzione di Bruno Gentili «si segnala per eleganza, leggibilità e fedeltà all’originale (aspetti che per le versioni dal dramma attico non sempre procedono di pari passo), con inevitabili e fortunate concessioni a un grado maggiore di fruibilità diciamo pure teatrale» (p. 22). Utili gli indici delle cose notevoli e dei termini greci.

Valentina Caruso ripercorre la vexata quaestio della messinscena del suicidio di Evadne nelle Supplici di Euripide. Data la complessità tecnico-scenografica della scena – una roccia sopraelevata dove si trova la donna; la pira su cui ardono i resti di Capaneo; il salto di Evadne – e in base al confronto con altri casi di morte tragica, la studiosa trae la conclusione che il suicidio fosse ampiamente affidato all’immaginazione del pubblico.

Mattia De Poli si concentra sui vv. 581-584 dell’Elettra di Sofocle, variamente interpretati dagli editori moderni. De Poli si sofferma in particolare sul v. 582 in cui le parole di Oreste apparirebbero così evocative ed enfatiche da ipotizzare un’ἀποσιώπησις, ossia una intenzionale reticenza, a fine verso.

È noto come nelle commedie di Aristofane sia presente la detorsio comica di generi lirici tradizionali quali parteni ed epitalami. Vasiliki Kousoulini considera a questo proposito gli esodi di PaceUccelli e Lisistrata, in cui il commediografo sfrutta l’allusione a questi componimenti poetici contenenti riferimenti alla choreia per esprimere l’emozione del coro, in particolare la gioia del komos conclusivo.

Virginia Mastellari analizza i vv. 1108-1110 della commedia aristofanea Le rane con particolare attenzione all’insistito uso dell’aggettivo λεπτός, “sottile”, ossia intellettualmente sofisticato. L’aggettivo nell’agone comico sembra qualificare Euripide piuttosto che Eschilo, viceversa caratterizzato come βαρύτης (“pesante”, “grave”) nel corso di tutta la commedia.

Renata Raccanelli ipotizza una nuova lettura complessiva della scena del Curculio plautino (vv. 216-250) in cui il lenone Cappadoce è oggetto di una spietata canzonatura da parte del servo Palinuro.  Inquadrata la questione critica relativa al passo, contestualizzata la battuta nell’immaginario plautino, Raccanelli propone un’esegesi critica soprattutto dei vv. 240-243, ακμή del motteggio, sulla base del lessico gastronomico latino (salsura) e del confronto con loci paralleli pertinenti. 

I diversi modi di parlare presenti nelle commedie di Plauto e Terenzio sono esaminati da Łukasz Berger, combinando la teoria del quadro di partecipazione di Erving Goffman (Frame Analysis. An Essay on the Organization of Experience, Cambridge, Harvard University Press, 1974) con strumenti di analisi conversazionale. Le interazioni verbali in Plauto e Terenzio vengono quindi analizzate in relazione alla loro struttura e al tipo di partecipazione che instaurano con gli interlocutori.

Micol Muttini approfondisce un argomento poco indagato: la lettura di Aristofane in epoca umanistica. Tracce di letture quattrocentesche delle commedie aristofanee, quali glosse interlineari e annotazioni marginali, si conservano ancora inedite e inesplorate in alcuni dei manoscritti dell’epoca. Il focus del saggio è lo studio di un manoscritto conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (ms. Vat. Ottob. gr. 166), in cui il testo del Pluto è corredato da numerose postille autografe dell’umanista Antonio Urceo Codro.

Jean Robaey mette a punto un primo studio sulla traduzione nederlandese Zeven op Thebe los del poeta Karel van de Woestijne. Una versione molto fedele dei Sette contro Tebe di Eschilo per la quale l’autore ricorse alle Tragoediae teubneriane di Henri Weil del 1884 e dell’edizione dei Sept contre Thèbes di Hachette del 1860. L’opera, rimasta incompiuta, venne pubblicata nel 1907.

Sara Troiani ricostruisce i primi spettacoli diretti da Ettore Romagnoli presso l’Università di Padova tra il 1911 e il 1913, cogliendone le possibili influenze sulle successive rappresentazioni classiche al Teatro greco di Siracusa. Emergono chiaramente il ruolo formativo del teatro greco e la sua importanza nella divulgazione della cultura classica sostenuto ai tempi da Romagnoli.

Francesco Puccio indaga lo spettacolo Greek diretto e interpretato da Steven Berkoff, rappresentato per la prima volta all’Half Moon Theatre di Londra nel 1980. Dopo un breve excursus storico sull’allestimento, è approfondito il personaggio di Eddy/Edipo nell’ambito della ricezione dei testi teatrali greci sulla scena contemporanea. Segue una riflessione sull’operazione compiuta da Berkoff: riscrittura del modello sofocleo o creazione di un vero e proprio testo “altro”?

Conclude il numero della rivista la recensione di Daniele Seragnoli al volume Registrare la performance. Testi, modelli, simulacri tra memoria e immaginazione, a cura di Michela Garda ed Eleonora Rocconi (Pavia, Pavia University Press, 2016), prendendo in esame i due capitoli iniziali del libro dedicati al teatro greco antico Seragnoli segnala la validità di alcune questioni relative alla storia del teatro, ma soprattutto i limiti metodologici, storiografici e critici di studi condotti sulla base della cosiddetta New Philology.


di Diana Perego


Dionysus ex Machina, n. 11, 2020

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