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La musica fra testo, performance e media


Roma, NeoClassica, 2019, 382 pp., euro 35,00
ISBN 978-88-9374-031-9

La giovane casa editrice romana NeoClassica, specializzata in letteratura musicale, musicologica ed etnomusicologica, inaugura la collana “Musica.Performance.Media”, diretta da Alessandro Cecchi. Un progetto editoriale che intende collocarsi in uno spazio inter- e transdisciplinare, incoraggiando il dialogo con gli studi sui media, sulla performance, sulle tecnologie e culture del suono, con l’obiettivo di fornire uno sguardo integrato sui fenomeni musicali più vari.

Esito di un ciclo di giornate di studio organizzate nel 2015-2016 presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, il presente volume, curato dallo stesso Cecchi, si articola in quattro sezioni. Nel testo introduttivo, a firma del curatore, si propone un approccio metodologico basato sul principio di “mediazione radicale” formulato da Richard Grusin, secondo cui la realtà è inseparabile dal processo della mediazione, che è in sé immediato. Applicare questo modello consente di superare concezioni essenzialiste e gerarchizzanti che guardano alla musica come a un’entità autonoma cui diverse forme di mediazione consentono di accedere in modo più o meno autentico, e di considerarla piuttosto come mediazione essa stessa. Testo, performance e media si configurano così come «tre forme ontologicamente paritetiche di mediazione musicale» (pp. 17-18), in cui la musica è incorporata nella sua immediatezza. I tredici saggi inclusi nel volume sono presentati come altrettanti sguardi sulla mediazione musicale per come questa si manifesta attraverso forme di esperienza testuali, performative e mediali, in campi estetici e produttivi disparati.

Ad aprire la prima sezione (tecnologia esperienza performance), Gianmario Borio propone una densa riflessione sull’esperienza estetica sotto l’egida della tecnologia. Già pubblicato in inglese in un importante volume curato dallo studioso (Musical Listening in the Age of Technological Reproduction, Farnham, Ashgate, 2015, pp. 3-23), il saggio ripercorre il dibattito filosofico riguardo agli effetti dei nuovi media sulla ricezione dell’arte, e in particolare sull’ascolto musicale: dalle osservazioni seminali di Walter Benjamin fino alle più recenti teorie che mettono in primo piano l’atto performativo. Emerge l’ipotesi che le tecnologie di riproduzione possano «assumere la funzione di creare un collegamento tra Erlebnis e Erfahrung» (p. 50), costituendo una forma di mediazione fra i due poli dell’esperienza estetica.

Giacomo Albert e Alessandro Bratus affrontano le interazioni tra performance e media in alcune espressioni artistiche del XXI secolo. Albert si concentra sull’inclusione sempre più frequente di forme audiovisive in progetti “di natura musicale”, individuando le proprietà principali di un repertorio ampio e mutevole caratterizzato da profondi processi di ibridazione (di generi, linguaggi, formati mediali, e tra reale e virtuale). È possibile leggere il fenomeno sullo sfondo del panorama post-mediale innescato dall’ingresso della società nell’era post-digitale: per le espressioni artistiche indagate è proposta la definizione di “post-musica”. Di forme audiovisive si occupa anche il saggio di Bratus (già apparso in inglese in Mediatization in Popular Music Recorded Artifacts), che indaga i “film concerto” prodotti nel campo della Electronic Dance Music.

Per la seconda sezione (sguardo voce ascolto), Vincenzo Borghetti analizza lo sguardo che ascolta, ossia quello dei manoscritti musicali di lusso di Petrus Alamire, confezionati presso la corte asburgica dei Paesi Bassi tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. L’analisi del layout, della decorazione e della mise en page porta a superare l’opposizione tra le funzioni di “performance” e “display”, comunemente chiamata in causa nella trattazione di questo genere di codici: incorporando un’ampia gamma di processi aurali e performativi, e suggerendo molteplici usi e modalità di lettura, le opere di Alamire possono essere considerate una forma peculiare e complessa di mediazione musicale.

La voce è al centro dei saggi di Michela Garda ed Emilio Sala. Toccando alcune esperienze della Vokale Performancekunst nel XX e XXI secolo (La Barbara, Stratos, Björk…) sullo sfondo di riflessioni estetiche e filosofiche consolidatesi negli anni Duemila (Cavarero, Dolar, Connor), Garda mostra come le coppie di concetti contrapposti spesso adoperate per interpretare le pratiche vocali del secondo Novecento vadano viste come poli di uno spazio mobile, che gli artisti esplorano in modo fluido (si pensi all’opposizione personale/impersonale e alle ricerche transculturali che nutrono le sperimentazioni dei performer). Sala affronta il problema della metamorfosi vocale della cantante e attrice Milly, che riguarda tanto la sua traiettoria umana, segnata dall’incontro trasformativo con Strehler, quanto la storia collettiva e il fascismo come trauma culturale: la musica leggera del Ventennio riemerge straniata nella seconda vocis persona di Milly, nel suo “inconscio vocale”, che è al contempo «personale e pulsionale, […] culturale e mediatizzato» (p. 187).

Canto e sguardo si intrecciano nella “messa in video” dell’aria operistica. Attraverso l’analisi di tre case studies, Emanuele Senici illumina le strategie impiegate dai registi per affrontare la tensione che si crea quando le peculiarità dell’aria (sospensione del tempo dell’azione e staticità performativa) entrano in relazione con le esigenze di rappresentazione realistica e di movimento ininterrotto del medium audiovisivo. Sulle forme dell’opera nel cinema torna Matteo Giuggioli con due exempla di impiego cinematografico del Trovatore: l’omonimo film-opera di Carmine Gallone (1949) e Senso di Luchino Visconti (1954).

Nella terza e nella quarta sezione (rispettivamente teorie visioni dibattiti e gesto corpo scena) prosegue l’indagine sui rapporti tra musica, cinema e televisione. Roberto Calabretto mette in rilievo, attraverso le testimonianze di importanti registi europei, alcuni problemi di natura teorica relativi al ruolo della musica nei film. La messa in discussione di usi convenzionali e la ricerca di esiti originali nell’interazione con il linguaggio sonoro accomuna le traiettorie di artisti anche molto diversi fra loro (da Truffaut a Carmelo Bene). Gaia Varon ripercorre il dibattito sulla rimediazione televisiva della performance orchestrale generato dalle prime trasmissioni statunitensi: il negoziato tra la narrazione audiovisiva e il paradigma dell’ascolto puro incarnato dalla radiofonia produce uno stile di ripresa convenzionale (che si vuole “al servizio dell’ascolto”) adottato ancora oggi.

Maurizio Corbella indaga il ruolo della musica in Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri, pellicola del 1968 la cui colonna sonora, di inedita complessità, è affidata a Ennio Morricone e al Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, ensemble romano tra i protagonisti della scena sperimentale coeva. Attraverso la ricostruzione del percorso genetico del film si mostra come le performance estemporanee del Gruppo, caratterizzate da un «approccio “traumatizzante” agli strumenti» (p. 298), e le musiche seriali del compositore (Musica per 11 violini e sue rielaborazioni) contribuiscano a veicolarne i significati portanti: la frizione tra avanguardia e cultura pop e l’impasse dell’arte nella società dei consumi. Una lettura del cinema indipendente americano attraverso la relazione con la musica indie è proposta da Maria Teresa Soldani. L’operazione permette di far emergere alcune tendenze portanti all’interno del corpus di riferimento e di delineare una nuova periodizzazione, scandita da intersezioni strategiche e processi paralleli riscontrabili nello sviluppo delle forme musicali e filmiche.

In chiusura, Ilario Meandri e Matteo Aldeni ricostruiscono le pratiche di sonorizzatori e rumoristi nel sistema produttivo del cinema italiano. Muovendosi tra osservazione del presente e dimensione storica, il saggio mette a fuoco l’importanza degli archivi sonori così come le peculiarità dell’azione di figure spesso poco riconosciute eppure essenziali: artisti prima ancora che tecnici, i responsabili del montaggio sonoro contribuiscono infatti in modo cruciale alle strategie della narrazione filmica.


di Giulia Sarno


La musica fra testo, performance e media

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