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Jean-Pierre Thibaudat

Lagarce, une vie de théâtre


Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2020, 210 pp., euro 10,00
ISBN 978-2-84681-614-4

Il drammaturgo Jean-Luc Lagarce (1957-1995), approfondito e fatto conoscere al grande pubblico dal giornalista e critico Jean-Pierre Thibaudat, ha conseguito una fama postuma tanto più rapida quanto più lenta e accidentata è stata la sua carriera in vita. Vita breve di un tormentato, appassionato poeta del teatro, votato a un’arte per lui totale e assolutizzante. In questa biografia si apprende della sua nascita da una famiglia operaia (i genitori lavorano alla Peugeot) in ambiente protestante; nonché dell’iniziazione al teatro durante il liceo, quando scrive la prima pièce da recitare con i compagni. Il gusto per la scena diventa presto vocazione impellente. Per gli studi di filosofia e arte drammatica si trasferisce dal 1975 a Besançon, manifestando nelle sue frequentazioni un’inclinazione bisessuale e poi una omosessualità accettata e vissuta.

Con la tesi Théâtre et pouvoir en Occident, Lagarce pone nel 1980 le basi della sua visione del rapporto dell’autore con le istituzioni. Seguace degli ideali di Vilar, ha intanto fondato nel 1977 la compagnia amatoriale La Roulotte. Per essa scrive i testi d’esordio – in debito dichiarato verso Ionesco, Beckett e Genet – nei quali affiora quel tema del “ritorno a casa” che si affermerà nella sua scrittura a venire. Crea La Bonne chez Ducatel e Erreur de construction, a cui seguono gli adattamenti Clytemnestre (mito degli Atridi, 1978) e Elles disent… l’Odyssée (corale femminile per un ritorno, 1979). Utili per seguirne il percorso e le intenzioni, redige Mes projets de mises en scène (appunti di regia chiari e rigorosi) e il Journal: degni di entrare, per qualità di pensiero e d’informazione (come del resto la Correspondance), nell’opera riconosciuta e pubblicata.

Da teatrante completo, Lagarce riesce a farsi apprezzare dal Centre Dramatique National di Besançon, oltre i limiti del regime amatoriale dell’impresa, condivisa con gli amici della prima ora. È decisivo l’incontro con Lucien Attoun, animatore del Théâtre Ouvert a Parigi e sostenitore di una drammaturgia giovane e nuova. La Roulotte accede al professionismo (diretta insieme a Ghislaine Lenoir dal 1980) mentre, grazie anche alle radiotrasmissioni dei suoi testi, Lagarce conquista un’élite che applaude le sue rappresentazioni sorprendenti: Carthage, encore (1979) e Ici ou ailleurs (1981). Voyage de Mme Knipper, dato al Petit Odéon (1982), ottiene la recensione lusinghiera di «Le Monde». Un adattamento di Phèdre di Racine, con i soli personaggi di Œnone e Phèdre, ottiene lo stesso anno consenso da un nuovo pubblico. Nella capitale incontra nuovamente, alla fine degli anni Settanta, il compagno di classe Dominique Hérard, al quale resterà legato sentimentalmente per tutta la vita. Anche Sandra Mladenovicth, insegnante di mimo, rientra negli amori intensi e fugaci di quel periodo.

La spola fra Besançon e Parigi comporta la crescita in esperienza di gestione e in sagacia di scrittura teatrale, grazie alle quali l’artista alterna testi propri a regie di opere classiche. Thibaudat individua nelle prove successive i passi decisivi verso la fiducia in sé stesso, fonte di soddisfazione artistica, ma anche di una profonda angoscia che preannuncia la malattia. A trentuno anni (il 23 luglio 1988) l’accertamento del contagio del male acuisce il rovello interiore, la consapevolezza del pericolo, in lotta misurata e silente verso l’esterno: «La nouvelle du jour, de la semaine, du mois, de l’année, etc… Je suis séropositif» (p. 103; dal Journal), senza che “sida” (aids) venga pronunciato. Ma il Journal s’infittisce di allarmi: «A la sortie de l’hôpital, je me demandai ce que j’allais pouvoir faire de tout ce temps qui me restait à vivre […]. Ce qui me faisait sourire maintenant et j’étais inquiet aussi de ma propre inconscience […]. Ce qui me faisait marcher sans douleur, comme anesthésié» (pp. 107-108). Sono memorie e sensazioni intime confrontate con un bilancio esistenziale segnato da autoironia nel presentimento della fine.    

Il lascito scritto è vasto, ricco di ventitré pièces, due film, racconti, saggi, diario e corrispondenza. Il giudizio che Lagarce esprime sulle proprie pièces è illuminato dalle sue condizioni di vita, poiché la sua opera appare autobiografica, nella necessità di esprimere istanze essenziali e ineludibili. Ricostruire la sua biografia potrebbe comportare il rischio di sminuire la sostanza della sua opera: invece sulle pagine, a ogni citazione dei testi (riletti o riscoperti), essa riappare più lacerata e ferita, ma con più vivo fulgore. Passano dunque in rassegna i soggetti e le loro strutture drammaturgiche, incarnati da personaggi i cui modelli avevano potuto richiamare quelli di Čechov. Di Hollywood (1985), Derniers remords avant l’oubli (1987), Nous, les héros (1993), Les règles du savoir-vivre dans la société moderne (1993), Juste la fin du monde (1990) e Le Pays lontain (1994), Thibaudat fornisce le circostanze sorgive e gli aspetti formali comparati. In effetti, arte, estetica e documento s’incontrano, dopo l’attenzione partecipativa dedicata a valutare un’opera lunga e complessa mediante la verifica di un’esistenza sincera fino al candore e disgraziata, toccata da bellezza e dolore.

Il Journal resta a garanzia per l’artista d’una memoria che non deve disperdersi, pure negli eventi che la storia personale subisce o sceglie quasi come un destino. Del resto Thibaudat aveva notato in un precedente Profilo (Paris, Culturesfrance éditions, 2007) la convergenza dei destini di tre autori morti prematuramente a fine Novecento: Bernard-Marie Koltès, Didier-Georges Gabily e, appunto, Lagarce, nati in provincia, lungi dai centri di produzione e divenuti registi (eccettuato Koltès, esaltato da Chéreau) dei propri testi. Accomunandoli nel compimento della loro opera, la morte ha fatto di essi un simbolo, un segno di coloro che nella scrittura drammatica hanno rinnovato una stagione finora decisa e governata dai metteurs en scène.



di Gianni Poli


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