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Cesare Molinari

La statua che danza. Arte e misfatti di Emma Lady Hamilton


Roma, Bulzoni, 2020, 2 voll., 129 + 85 pp., euro 22,00, Biblioteca Teatrale, Studi e Testi 196
ISBN 978-88-6897-191-5

La ricerca iconografica applicata alla storia dello spettacolo che da sempre contraddistingue l’approccio metodologico di Cesare Molinari alla disciplina trova nuovo esito in questo volumetto dedicato a Emma Lady Hamilton, sdoppiato in due tomi il secondo dei quali interamente dedicato alle illustrazioni. Un approdo, quello dello studioso alla controversa figura della celebre avventuriera inglese, che potremmo quasi definire “naturale”, viste le peculiarità delle sue famose attitudes da molti specialisti considerate «il punto di sutura fra arti figurative e teatro» (p. 11).

Più ritratta della regina Vittoria, artista e opera d’arte al tempo stesso, la “divine Lady” ha sedotto ammiratori di ieri e di oggi, entrando in vita nella sfera del mito. Il suo alone di leggenda pre e post mortem, alimentato da una pseudo-autobiografia frutto della penna di Alexandre Dumas père, nonché da aneddoti, romanzi coevi e contemporanei, pellicole cinematografiche, ha condizionato buona parte degli studi a lei dedicati, in bilico tra opera narrativa e saggio storico. Una bibliografia ciclopica, quella relativa alla seducente moglie di sir William Hamilton, poi ingrassata amante dell’ammiraglio Nelson, che Molinari dimostra di conoscere puntualmente, tanto da passarla in rassegna prima di imprimere il suo affondo da studioso di razza lì dove non si è fatta abbastanza luce.

Perché Lady Hamilton, in fondo in fondo, era un’attrice, e le sue attitudes erano teatro: esibizioni programmate, con un minimo di allestimento scenico, che prevedevano una fluida successione di congelate figurazioni della durata di pochi minuti. Avviate nello studio del pittore George Romney con la complicità del primo amante Charles Greville, le attitudes rivelano il talento di un’ex prostituta capace di danzare, cantare, e tutto sommato “recitare”. Ecco allora che tali performances diventano un provvido terreno da riscoprire per lo storico dello spettacolo: un’area anfibia, a metà strada tra arte figurativa e arte teatrale, confinante con il moderno pantomimo ma le cui radici si proiettano molto più lontano.

Che fossero performance teatrali lo dicono anche auree fonti letterarie: dalla testimonianza di Goethe, suo immenso ammiratore, che ebbe modo di apprezzarle a Napoli e nella villa di Hamilton a Caserta sul finire degli anni Ottanta del Settecento; a Horace Walpole, che lodò senza esitazione le virtù canore di “miss Hart” riconoscendole doti di eccellenza nelle arie d’opera della Nina, o sia la pazza per amore di Paisiello in cui pare si fosse esibita a Londra sul principio del nuovo secolo.

Ma è soprattutto sul piano iconografico che la fortuna di Lady Hamilton e delle sue attitudes si consacra, guadagnandole l’ammirazione, e in qualche caso il disprezzo moralistico, degli intellettuali e della buona società del tempo. Molinari conduce per mano il lettore, attraverso puntuali rimandi nel testo, nella sconfinata galleria di ritratti della “più bella d’Inghilterra”, corteggiata dai migliori artisti che ambirono ad averla come modella: dal citato Romney, che in un quinquennio scarso le dedicò una trentina di ritratti; al primo presidente della Royal Academy Joshua Reynolds, autore di una eloquentissima tela che la immortala come baccante; fino alle notevoli prove di Angelica Kauffmann, Richard Westall, Thomas Lawrence, Heinrich Tischbein, Elisabeth Vigée-Lebrun, Thomas Baxter. In ultimo i caricaturisti – Cruikshank, Rowlandson e soprattutto il temutissimo Gillray – che non ebbero pietà della sua pinguedine accumulata alla soglia dei trent’anni utilizzando la sua immagine “iconica” in divertenti allegorie spesso ad alto tasso erotico.

Un materiale figurativo, quello qui raccolto in centocinquanta riproduzioni a colori, che diventa per Molinari documentazione primaria per cercare di ricostruire lo svolgimento di quelle attitudes ancora in parte misteriose. Ed è su questo versante che lo sguardo dello studioso si affila: a partire dalla nota suite di dodici disegni di Friedrich Rehberg incisi da Tommaso Piroli, Molinari da un lato tenta di decifrare i personaggi di volta in volta interpretati dall’attrice, siano essi storici, mitologici, letterari, alla luce di modelli figurativi e culturali ispirati da celebri dipinti moderni o, più spesso, dall’antica statuaria; dall’altro ricerca l’azione drammaturgica – accompagnata da un passo di danza, dall’apporto di strumenti musicali, dall’uso degli immancabili scialli o altri accessori di scena – nei movimenti di traslazione tra una figurazione e l’altra. In questo modo lo studioso dimostra che le attitudes «non erano delle semplici pose e neppure dei tableaux vivants» (p. 91): nell’interpretare la Maddalena che scendeva al sepolcro di Cristo o Cleopatra supplice ai piedi di Ottaviano, Lady Hamilton recitava sì da statua, ma in movimento.

Era, parafrasando il titolo del volume, “una statua danzante”, le cui esibizioni continuano a influenzare la cultura artistica e performativa fino ai giorni nostri.


di Gianluca Stefani


La copertina

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