La connotazione agonistica del
titolo non inganni sulla portata di uno studio che investe due civiltà spesso
contrapposte. Il titolo riflette infatti soltanto parzialmente il conflitto fra
le due realtà culturali e artistiche, qui comparate con ampiezza dargomenti e
acutezza di metodo. Un secolo separa lintellettuale scrittore francese dal
sommo drammaturgo inglese e lautrice Mara
Fazio ne saggia le diversità in prospettiva storica, partendo dalla
situazione incarnata da Voltaire al momento in cui la parabola della monarchia
assoluta in patria volge al declino. E per scongiurare quel moto che tanto lo
coinvolge, si lancia in una contestazione, velleitaria e senza esclusione di
colpi, contro il campione della fazione opposta. Ne risulta uninteressante “storia”,
molto articolata, della conoscenza e della diffusione di Shakespeare in
Francia, dallinizio del Settecento alla Rivoluzione; con appendici non soltanto
aneddotiche riguardanti lintera Europa in subbuglio.Oltre allaccredito delle sue
virtù più evidenti, nella lettura della studiosa Voltaire risulta ostaggio di un
pregiudizio insuperabile, quello della supremazia (indiscutibile) dellesprit francese, frutto rappresentativo dellAncien régime. La cultura delleminente philosophe «era quella aristocratica che
in Francia era stata glorificata da Luigi XIV […]. Essa significava
regole, norme, princìpi e soprattutto buon gusto […]. Shakespeare invece
trascendeva i limiti aristocratici della cultura e metteva in scena non eroi ma
i primi uomini moderni […]. Agli occhi di Voltaire, egli appare un barbaro e il
suo sorprendente successo […] uno scandalo intollerabile» (p. XII). La storia
sancirà, con la vittoria inglese nella Guerra dei sette anni, lo sfaldarsi dei
princìpi fondatori del modello di vita e di governo dellepoca trionfante con
il Re Sole.
La “battaglia”, di idee ma anche
di interessi venali, è svolta in tre fasi. Dal 1746, nel periodo della scoperta
di Shakespeare, si accerta come Voltaire “decida” di diventare un drammaturgo
sul modello di Corneille e di Racine, capace di continuare la
loro inconcussa tradizione. La studiosa ricompone, da eventi significativi e
documenti probanti, la situazione parigina in cui Voltaire progetta e avvia la
sua ambiziosa carriera, i cui esordi sulle scene sono seguiti nelle alterne
fortune della tragedia “filosofica” Œdipe
(1718), di Artémire (1720) e di Mariamne (1724). Il seguente soggiorno londinese
gli consente di incontrare i massimi scrittori inglesi e di prendere contatto
con lopera shakespeariana messa in scena. Leffetto più immediato è di
sorpresa e di rifiuto, di fronte a unopera cattivante per vitale spontaneità,
ma sentita inaccettabile per la mancanza di regole formali, linsofferenza “barbara”
ai vincoli della fantasia (che poi Diderot coglierà con più moderna
sensibilità), per cui Voltaire «non è colpito dal linguaggio verbale, per lui
ancora difficile da capire, ma dal linguaggio scenico, dallazione. […] Shakespeare,
che non infrange lunità di luogo, la trascende o la ignora […]. Voltaire non
riconosce a Shakespeare la statura di un grande autore, non sembra affascinato
dal suo mondo poetico, ma è scosso da quel teatro così diverso, dove la verità
era scenica e non letteraria» (pp. 19-20).
Rientrato trentaquattrenne in Francia
(1729), scrive Brutus ispirandosi al
Bardo, riuscendo almeno a suscitare parodie nella reattiva abilità della compagnia
della Foire. Teorizza la forma tragica in Discours
sur la tragédie, secondo il riflesso naturale dellesperienza inglese, e
quel primo scritto introduttivo a Shakespeare rivela unambiguità di giudizio e
unimproprietà di motivazioni che si protrarranno a lungo. Ribadisce che «la
forma rappresentava per i francesi la sostanza» e intende dimostrarlo con La mort de César, in cui «cerca di
inserire la trama del Giulio Cesare
nella tradizione francese» (p. 28). Mancano ancora le prime, importanti
traduzioni di De La Place, a partire dal 1746. Indi, con Sémiramis, aspira al modello di Amleto (p. 57).
Nel periodo 1749-1758, trascorso in
Prussia (Potsdam), in Svizzera (Ginevra) e presso il confine (Ferney), Voltaire
pare liberarsi dellombra inquietante di Shakespeare, impegnato comè in altri
pensieri, in ozii agresti e pure in fruttuose imprese industriali. Soltanto
alla fine della guerra perduta, tornerà la preoccupazione per la figura che non
lo avrebbe più abbandonato, ma stretto fra ammirazione (repressa) e paura (non
governata). Perciò apre le ostilità dichiarate e avanza contro il rivale
molteplici pretestuosi moventi. «Shakespeare non può essere rappresentato» (p.
87), afferma. Poi si scatena alluscita del saggio comparativo Shakespeare/Corneille, apparso sullautorevole
«Journal encyclopédique», nel tentativo di salvare il «dogma della superiorità
francese» (p. 94). Pubblica e promuove Corneille, «lo Shakespeare di Francia»
(p. 99), intensificando attacchi contraddittori che tradiscono invidia. Ma non
ridotto a querelle personale –
continua il saggio di Fazio: gli eventi
conseguenti e circostanziati mostrano levoluzione del pensiero epocale in
episodi curiosi e decisivi. Tornato protagonista (almeno per le disgrazie
sofferte), Voltaire sinoltra in scelte avventurose e senza scampo, disattento
ai tempi mutanti. Assiste allapprezzamento diffuso del rivale, a partire dalla
Germania incline al Romanticismo, che ne loda il linguaggio con la voce di Jakob
Lenz. Ormai Pierre Le Tourneur traduce lopera teatrale di
Shakespeare (1776) con argomenti critici che spiazzano le posizioni del
precursore temerario e geloso. Anche lintervento londinese di Giuseppe
Baretti ridimensiona impietosamente le interpretazioni dellilluminista al
quale rimprovera di agire per paura, poiché «è consapevole di non aver mai
saputo linglese» (p. 149).
Il finale della vicenda è vieppiù
malinconico e inglorioso per il patriarca francese. NellEpilogo, la realtà più amara è dover constatare lingresso
definitivo di Shakespeare fra gli immortali, al «centro del canone occidentale».
Con la sua morte – la ricercatrice lo aveva preannunciato e ripetuto – scompariva
lesprit classique, che Voltaire
aveva incarnato. «La storia emblematica di questa vicenda non è un discorso sul
mondo dellantico regime. Narra invece lorigine del nostro mondo culturale,
origine che è importante conoscere, proprio nel momento in cui pare agonizzare»
(p. XIII).
di Gianni Poli
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