drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Mara Fazio

Voltaire contro Shakespeare


Bari-Roma, Laterza, 2020, 218 pp., euro 19,00
ISBN 978-88- 581-4055-0

La connotazione agonistica del titolo non inganni sulla portata di uno studio che investe due civiltà spesso contrapposte. Il titolo riflette infatti soltanto parzialmente il conflitto fra le due realtà culturali e artistiche, qui comparate con ampiezza d’argomenti e acutezza di metodo. Un secolo separa l’intellettuale scrittore francese dal sommo drammaturgo inglese e l’autrice Mara Fazio ne saggia le diversità in prospettiva storica, partendo dalla situazione incarnata da Voltaire al momento in cui la parabola della monarchia assoluta in patria volge al declino. E per scongiurare quel moto che tanto lo coinvolge, si lancia in una contestazione, velleitaria e senza esclusione di colpi, contro il campione della fazione opposta. Ne risulta un’interessante “storia”, molto articolata, della conoscenza e della diffusione di Shakespeare in Francia, dall’inizio del Settecento alla Rivoluzione; con appendici non soltanto aneddotiche riguardanti l’intera Europa in subbuglio.

Oltre all’accredito delle sue virtù più evidenti, nella lettura della studiosa Voltaire risulta ostaggio di un pregiudizio insuperabile, quello della supremazia (indiscutibile) dell’esprit francese, frutto rappresentativo dell’Ancien régime. La cultura dell’eminente philosophe «era quella aristocratica che in Francia era stata glorificata da Luigi XIV […]. Essa significava regole, norme, princìpi e soprattutto buon gusto […]. Shakespeare invece trascendeva i limiti aristocratici della cultura e metteva in scena non eroi ma i primi uomini moderni […]. Agli occhi di Voltaire, egli appare un barbaro e il suo sorprendente successo […] uno scandalo intollerabile» (p. XII). La storia sancirà, con la vittoria inglese nella Guerra dei sette anni, lo sfaldarsi dei princìpi fondatori del modello di vita e di governo dell’epoca trionfante con il Re Sole.

La “battaglia”, di idee ma anche di interessi venali, è svolta in tre fasi. Dal 1746, nel periodo della scoperta di Shakespeare, si accerta come Voltaire “decida” di diventare un drammaturgo sul modello di Corneille e di Racine, capace di continuare la loro inconcussa tradizione. La studiosa ricompone, da eventi significativi e documenti probanti, la situazione parigina in cui Voltaire progetta e avvia la sua ambiziosa carriera, i cui esordi sulle scene sono seguiti nelle alterne fortune della tragedia “filosofica” Œdipe (1718), di Artémire (1720) e di Mariamne (1724). Il seguente soggiorno londinese gli consente di incontrare i massimi scrittori inglesi e di prendere contatto con l’opera shakespeariana messa in scena. L’effetto più immediato è di sorpresa e di rifiuto, di fronte a un’opera cattivante per vitale spontaneità, ma sentita inaccettabile per la mancanza di regole formali, l’insofferenza “barbara” ai vincoli della fantasia (che poi Diderot coglierà con più moderna sensibilità), per cui Voltaire «non è colpito dal linguaggio verbale, per lui ancora difficile da capire, ma dal linguaggio scenico, dall’azione. […] Shakespeare, che non infrange l’unità di luogo, la trascende o la ignora […]. Voltaire non riconosce a Shakespeare la statura di un grande autore, non sembra affascinato dal suo mondo poetico, ma è scosso da quel teatro così diverso, dove la verità era scenica e non letteraria» (pp. 19-20).       

Rientrato trentaquattrenne in Francia (1729), scrive Brutus ispirandosi al Bardo, riuscendo almeno a suscitare parodie nella reattiva abilità della compagnia della Foire. Teorizza la forma tragica in Discours sur la tragédie, secondo il riflesso naturale dell’esperienza inglese, e quel primo scritto introduttivo a Shakespeare rivela un’ambiguità di giudizio e un’improprietà di motivazioni che si protrarranno a lungo. Ribadisce che «la forma rappresentava per i francesi la sostanza» e intende dimostrarlo con La mort de César, in cui «cerca di inserire la trama del Giulio Cesare nella tradizione francese» (p. 28). Mancano ancora le prime, importanti traduzioni di De La Place, a partire dal 1746. Indi, con Sémiramis, aspira al modello di Amleto (p. 57).

Nel periodo 1749-1758, trascorso in Prussia (Potsdam), in Svizzera (Ginevra) e presso il confine (Ferney), Voltaire pare liberarsi dell’ombra inquietante di Shakespeare, impegnato com’è in altri pensieri, in ozii agresti e pure in fruttuose imprese industriali. Soltanto alla fine della guerra perduta, tornerà la preoccupazione per la figura che non lo avrebbe più abbandonato, ma stretto fra ammirazione (repressa) e paura (non governata). Perciò apre le ostilità dichiarate e avanza contro il rivale molteplici pretestuosi moventi. «Shakespeare non può essere rappresentato» (p. 87), afferma. Poi si scatena all’uscita del saggio comparativo Shakespeare/Corneille, apparso sull’autorevole «Journal encyclopédique», nel tentativo di salvare il «dogma della superiorità francese» (p. 94). Pubblica e promuove Corneille, «lo Shakespeare di Francia» (p. 99), intensificando attacchi contraddittori che tradiscono invidia. Ma non ridotto a querelle personale – continua il saggio di Fazio: gli eventi conseguenti e circostanziati mostrano l’evoluzione del pensiero epocale in episodi curiosi e decisivi. Tornato protagonista (almeno per le disgrazie sofferte), Voltaire s’inoltra in scelte avventurose e senza scampo, disattento ai tempi mutanti. Assiste all’apprezzamento diffuso del rivale, a partire dalla Germania incline al Romanticismo, che ne loda il linguaggio con la voce di Jakob Lenz. Ormai Pierre Le Tourneur traduce l’opera teatrale di Shakespeare (1776) con argomenti critici che spiazzano le posizioni del precursore temerario e geloso. Anche l’intervento londinese di Giuseppe Baretti ridimensiona impietosamente le interpretazioni dell’illuminista al quale rimprovera di agire per paura, poiché «è consapevole di non aver mai saputo l’inglese» (p. 149).    

Il finale della vicenda è vieppiù malinconico e inglorioso per il patriarca francese. Nell’Epilogo, la realtà più amara è dover constatare l’ingresso definitivo di Shakespeare fra gli immortali, al «centro del canone occidentale». Con la sua morte – la ricercatrice lo aveva preannunciato e ripetuto – scompariva l’esprit classique, che Voltaire aveva incarnato. «La storia emblematica di questa vicenda non è un discorso sul mondo dell’antico regime. Narra invece l’origine del nostro mondo culturale, origine che è importante conoscere, proprio nel momento in cui pare agonizzare» (p. XIII). 


di Gianni Poli


La copertina

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013