Nel cuore dellemergenza globale
che sta colpendo nel profondo anche il mondo della ricerca e della cultura,
lInternational Musicological Society (ISM) ha aderito al progetto MUSE rendendo consultabili in open
access i numeri, a partire dal 2016, della sua rivista scientifica «Acta
Musicologica».
Il primo numero del novantunesimo
volume (2019) si apre con un editoriale a cura di Philip V. Bohlman e Federico Celestini in cui si pone il focus sul “multilinguismo”, istanza primaria dellISM sin dalla sua fondazione nel
1927 e direttrice, poi, dello stesso peer-reviewed journal pubblicato dalla società a partire dal 1931. Prendendo le mosse
dallaspetto più specificatamente linguistico, legato alla pubblicazione di
importanti contributi scientifici della ricerca in cinque diverse lingue,
Bohlman e Celestini guardano al multilinguismo come alla componente
fondamentale per raggiungere quel pluralismo dei discorsi musicologici, di per
sé legati a tradizioni e a culture diverse, che la rivista desidera promuovere
per favorire un processo di scambio e di conoscenza.
Con il primo contributo ci si
addentra nellavvincente e di certo poco “ortodossa” vita accademica della
musicologa Susan McClary. Nel ripercorrere le tappe di una
carriera spesso controversa, soprattutto per le interpretazioni critiche in
chiave gender che le hanno tuttavia
valso grande riconoscimento e notorietà, McClary riflette su come linfluenza
dell“oscuro” compositore del XVII secolo Alessandro Stradella labbia spinta
in direzioni sempre nuove, conducendola a porsi domande per certi versi
estranee alla musicologia e costringendola più volte a «sfidare la saggezza
disciplinare» (p. 5).
Si prosegue con un contributo di João Pedro dAlvarenga incentrato sul
mottetto devozionale iberico, una forma fiorita nella Spagna a cavallo dei
secoli XV e XVI. Le caratteristiche tecniche e stilistiche di questo genere
richiamano quelle di uno stile apparentemente sviluppato dai compositori
impiegati alla corte sforzesca di Milano e che ben presto si diffuse nellEuropa
centrale e meridionale. Lo studioso analizza qui i mottetti di Juan de Anchieta
(1462-1523) contenuti nel manoscritto noto come Cancionero de la Catedral di Segovia, indagando nello specifico la
natura e la provenienza dei testi nonché la successiva evoluzione di un genere
che ebbe diffusione in tutta la Spagna, in Portogallo e persino nel Nuovo
Mondo.
Elisabeth Reisinger analizza la figura
dellarciduca Massimiliano Francesco dAsburgo-Lorena (1756-1801), figlio
minore di Maria Teresa dAustria, nei suoi rapporti coi più grandi compositori
dellepoca, in particolar modo Beethoven. Questultimo, portando avanti una
tradizione familiare avviata dal nonno, fu musicista alla corte del
principe-elettore, a sua volta apprezzato dai contemporanei per le sue
innumerevoli attività nella vita musicale dellepoca. Mentre linteresse di
Massimiliano per Beethoven è stato spesso sopravvalutato, la sua rilevanza per
la carriera di Mozart è stata invece per lungo tempo ignorata. Una questione
che Reisinger prova a indagare tentando un collegamento del principe anche con Haydn,
in una trattazione in cui tutti gli attori coinvolti risultano correlati tra
loro nellambiente socio-culturale del loro tempo.
Chiude il volume un contributo di
Federica Marsico su Le Racine: pianobar pour Phèdre (1980)
di Sylvano Bussotti, opera che, impiegando alla lettera il testo della celebre
tragedia del drammaturgo francese, costruisce un intreccio del tutto nuovo. A
partire dalla partitura musicale, da cui soltanto è possibile ricavare il
libretto dellopera mai pubblicato dal compositore, Marsico tenta di «sbrogliare
le trame» (p. 74) di una drammaturgia non chiaramente definita dallautore.
Lanalisi di ulteriori fonti – locandine, rassegna stampa, interviste e
soprattutto il diario personale di Bussotti – fornisce qui preziose
informazioni utili a ricostruire il plot dellopera
e a indagarne la messinscena sia del debutto che delle successive riprese. Il lavoro di Bussotti si riconferma, in
ognuna di queste esecuzioni, una sperimentazione musicale governata da un
voluto principio di indeterminazione che, come scrive Marsico richiamando le
parole di Umberto Eco, invita il regista «a fare
lopera con lautore» (p. 93, Opera aperta: forma e indeterminazione nelle
poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, 2006, p. 60).
di Antonella Dicuonzo
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