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Acta musicologica, XCI, 2019, n. 1


99 pp.
ISSN p-ISSN: 0001-6241 • e-ISSN: 2296-4339

Nel cuore dell’emergenza globale che sta colpendo nel profondo anche il mondo della ricerca e della cultura, l’International Musicological Society (ISM) ha aderito al progetto MUSE rendendo consultabili in open access i numeri, a partire dal 2016, della sua rivista scientifica «Acta Musicologica».

Il primo numero del novantunesimo volume (2019) si apre con un editoriale a cura di Philip V. Bohlman e Federico Celestini in cui si pone il focus sul “multilinguismo”, istanza primaria dell’ISM sin dalla sua fondazione nel 1927 e direttrice, poi, dello stesso peer-reviewed journal pubblicato dalla società a partire dal 1931. Prendendo le mosse dall’aspetto più specificatamente linguistico, legato alla pubblicazione di importanti contributi scientifici della ricerca in cinque diverse lingue, Bohlman e Celestini guardano al multilinguismo come alla componente fondamentale per raggiungere quel pluralismo dei discorsi musicologici, di per sé legati a tradizioni e a culture diverse, che la rivista desidera promuovere per favorire un processo di scambio e di conoscenza.

Con il primo contributo ci si addentra nell’avvincente e di certo poco “ortodossa” vita accademica della musicologa Susan McClary. Nel ripercorrere le tappe di una carriera spesso controversa, soprattutto per le interpretazioni critiche in chiave gender che le hanno tuttavia valso grande riconoscimento e notorietà, McClary riflette su come l’influenza dell’“oscuro” compositore del XVII secolo Alessandro Stradella l’abbia spinta in direzioni sempre nuove, conducendola a porsi domande per certi versi estranee alla musicologia e costringendola più volte a «sfidare la saggezza disciplinare» (p. 5).

Si prosegue con un contributo di João Pedro d’Alvarenga incentrato sul mottetto devozionale iberico, una forma fiorita nella Spagna a cavallo dei secoli XV e XVI. Le caratteristiche tecniche e stilistiche di questo genere richiamano quelle di uno stile apparentemente sviluppato dai compositori impiegati alla corte sforzesca di Milano e che ben presto si diffuse nell’Europa centrale e meridionale. Lo studioso analizza qui i mottetti di Juan de Anchieta (1462-1523) contenuti nel manoscritto noto come Cancionero de la Catedral di Segovia, indagando nello specifico la natura e la provenienza dei testi nonché la successiva evoluzione di un genere che ebbe diffusione in tutta la Spagna, in Portogallo e persino nel Nuovo Mondo.

Elisabeth Reisinger analizza la figura dell’arciduca Massimiliano Francesco d’Asburgo-Lorena (1756-1801), figlio minore di Maria Teresa d’Austria, nei suoi rapporti coi più grandi compositori dell’epoca, in particolar modo Beethoven. Quest’ultimo, portando avanti una tradizione familiare avviata dal nonno, fu musicista alla corte del principe-elettore, a sua volta apprezzato dai contemporanei per le sue innumerevoli attività nella vita musicale dell’epoca. Mentre l’interesse di Massimiliano per Beethoven è stato spesso sopravvalutato, la sua rilevanza per la carriera di Mozart è stata invece per lungo tempo ignorata. Una questione che Reisinger prova a indagare tentando un collegamento del principe anche con Haydn, in una trattazione in cui tutti gli attori coinvolti risultano correlati tra loro nell’ambiente socio-culturale del loro tempo.

Chiude il volume un contributo di Federica Marsico su Le Racine: pianobar pour Phèdre (1980) di Sylvano Bussotti, opera che, impiegando alla lettera il testo della celebre tragedia del drammaturgo francese, costruisce un intreccio del tutto nuovo. A partire dalla partitura musicale, da cui soltanto è possibile ricavare il libretto dell’opera mai pubblicato dal compositore, Marsico tenta di «sbrogliare le trame» (p. 74) di una drammaturgia non chiaramente definita dall’autore. L’analisi di ulteriori fonti – locandine, rassegna stampa, interviste e soprattutto il diario personale di Bussotti – fornisce qui preziose informazioni utili a ricostruire il plot dell’opera e a indagarne la messinscena sia del debutto che delle successive riprese. Il lavoro di Bussotti si riconferma, in ognuna di queste esecuzioni, una sperimentazione musicale governata da un voluto principio di indeterminazione che, come scrive Marsico richiamando le parole di Umberto Eco, invita il regista «a fare l’opera con l’autore» (p. 93, Opera aperta: forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, 2006, p. 60).

di Antonella Dicuonzo


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