Nello studio delle relazioni fra teatro
e musica e, più in generale ormai, fra le arti dello spettacolo e la musica, si
inserisce il volume collettivo dellIRPALL (Institut de Recherche
Pluridisciplinaire en Arts, Lettres et Langues dellUniversità di Tolosa) dedicato
a un largo campione di casi significativi, dal primo Novecento a oggi. Le
diverse manifestazioni del teatro musicale vengono qui indagate e definite nei loro
aspetti politici oltre che estetici. I curatori rinviano ad alcune probanti
ricerche (fra cui quelle del convegno La
Relation musique-théâtre, du désir au modèle, 2007) e accolgono in
questopera nuovi collaboratori per ampliare linterdisciplinarità dei risultati.
Una delle ambizioni dichiarate è quella
di verificare lipotesi per cui «le théâtre musical, dans la mesure où les deux
pôles qui le constituent ne sinstrumentalisent pas mutuellement et ne
sabolissent pas lun dans lautre», ammettendo dunque «un dialogisme
intrinsèque qui le rend “naturellement” politique» (p. 14). E inoltre, il Teatro
Musicale è sempre, per sua natura, “sperimentale” e si manifesta quindi come utopia,
come «une exigence, une conception, presque une abstraction ou image, que sa
politicité, si transitoire soit-elle, transforme en possibilité» (p. 17).
La décision (La linea di
condotta), il lehrestück di Hans Eisler e Bertolt Brecht, è loggetto studiato da Karine Saroh per puntualizzare le caratteristiche della musique gestuelle in rapporto alla concezione
di Kurt Weill sulla sua funzione
narrativa al presente (p. 21). Sono così individuati gli effetti della performance attesa, mediante laccurata
verifica degli intenti e degli strumenti adottati dagli artisti tedeschi: con
lanalisi musicologica, spinta ai dettagli tecnici, della partitura raffrontata
al testo, si svela lobiettivo di «changer la réalité» (p. 26). Nello stabilire
i parametri capaci di accertare la “politicità”, oltre che la teatralità, delle
opere, si sottolineano lefficacia della collaborazione fra gli artisti,
attraverso criteri di peculiarità formali in grado di misurare gli effetti di
ricezione e di orientamento ideologico nel pubblico. Gli autori, «ne se contentent pas de véiculer une
idée militante mais la problématisent […]. Leur objectif sembre être celui de
donner du pouvoir aux spectateurs, mais aussi aux acteurs» e pervengono alla
convinzione che «la musique peut contrédire le théâtre» (p. 34).
Un paesaggio più insolito è ricostruito
da Pierre Longuenesse, seguendo la storia
della scena sperimentale europea, dagli anni Venti ai Quaranta. Fra gli spettacoli-chiave
del periodo, lo studioso analizza lallestimento del balletto The Dance of Death (1934), opera degli inglesi
Wystan H. Auden (soggetto poetico), Herbert Murril (musica) e Rupert Doone (coreografia), presso il
Groupe Theatre. Le vaste implicazioni comprendono il lavoro di Jacques Copeau e Michel St.-Denis, di Benjamin
Britten e la lezione dei Ballets
Russes. Le connessioni estetiche e operative mostrano la rete di
rispondenze che interessano anche lItalia, nel momento in cui è molto fervida,
pure nellautarchia, la creatività di autori quali Dallapiccola, Casella, Petrassi e Malipiero, ed è in atto la fondazione della regia teatrale. Dato qui
trascurato per volgere lattenzione ad autori francesi, quali Cocteau, Satie, il Gruppo dei Sei e a loro creazioni, quali Parade e Les mariés de la Tour Eiffel. Pertanto il poème théâtral concepito
da Auden conferma loriginalità duna forma la cui «importance ne fait que
témoigner dune utopie de conciliation entre le lyrisme et le discours critique,
en même temps que dune liberté accordée au dialogue inter-artistique» (pp. 55-56).
Larte italiana è poi recuperata
nel discorso di Stefan Keym De lopéra abstrait à la forme mobile. Il
campione è Bruno Maderna, autore di Le Satyricon (1973), posto a confronto
con Abstrakte oper Nr. 1 (1953) del
tedesco Boris Blacher su testo di Werner Egk. Il saggio, basato sulla valutazione delle partiture,
descrive così il fenomeno: «lopéra
abstrait pousse à lextrème une tendance générale denommée Musikalisierung (“musicalisation“) du théâtre au XX siècle […]
tendence accompagnée dune théâtralisation de la musique» (p. 60). Ancora
dun italiano tratta il contributo di Karine
Saroh (De lutopie esthétique à
lutopie politique: le théâtre musical de Luigi Nono), che documenta con
equilibrio la simpatia del giovane Nono per lideologia della lotta armata.
Molto interessanti le osservazioni sulle virtù stilistiche orientate agli scopi
politici e il riscontro della coincidenza notevole della prassi del compositore
con la tesi della “relazione dialogica” sviluppata da Muriel Plana (p. 107). La scelta dellopera emblematica cade su Al gran sole carico damore (1975), sintesi
culminante dello sperimentalismo engagé
dellartista e della sua epoca, esempio di collaborazione fra il musicista
(anche librettista, con Ljubimov), lo
scenografo (Borovski) e il direttore
musicale (Claudio Abbado).
Un parallelo fra Aperghis e Stockhausen è poi condotto da Olivier
Class. Prese a modello le composizioni Machinations,
Avis de tempête di Aperghis e Mardi de lumière di Stockhausen, lo
studioso mostra «comment la technologie est transformée en personnage» (p. 120).
Il lavoro sul materiale vocale è al centro della ricerca di Dieter Schnebel, autore di Maulwerke (1974), opera latrice di
principi contestatori dellordine vocale costituito e di tecniche intese a “desacralizzare
la voce”, secondo Jean-Michel Court.
Effetto della Scuola di Darmstadt, che rese possibili proposte e vie finora
impensabili, compresa lipervalutazione artistica non dellopera in sé, ma del processo
creativo ed esecutivo nel suo insieme.
Lopposizione al potere politico
da parte di artisti impegnati è testimoniata in Le théâtre musical politique chilien, rapporto di Paula Espinoza su condizioni mai
indagate. Nella produzione cilena del tempo, caratterizzata da una forma
ibrida, arricchita dallapporto duna forte tradizione folkloristica, lo
statuto sociopolitico dei protagonisti si configura soprattutto nellimpegno di
“resistenza” alla dittatura. Una ulteriore “novità” è colta da Pierre Longuenesse nelle trasformazioni
drammaturgiche concernenti testo, teatralità e performance, riscontrate in due spettacoli allestiti da Simon MacBurney – Shun Kin (2010) e Le Maître
et Marguerite (2012) – e in Le dieu
Bonheur (2015) di Alexis Forestier.
Più specialistico il contributo sulluso
della lingua dei segni nel quale Lucie
Lataste illustra le situazioni affrontate, rese paradossali dalla
condizione psicofisica dei protagonisti coinvolti nel difficile scambio
educativo e comunicativo mediante il teatro. Nella riflessione finale Muriel Plana offre un sunto di studi e concetti
aggiornati: una sorta di rassegna critica e di bibliografia ragionata, con riprese
degli ulteriori tentativi di definizione in corso. Rivalutato in prospettiva «lexemple
fondateur du Théâtre musical de Brecht et de Weill» (p. 206), la studiosa
approda (considerando anche il passaggio dalla musica di scena al teatro
musicale) alla nozione a lei cara di théâtre
musical dialogique e ribadisce: «Pour quil y ait un théâtre musical
aujourdhui, nous devrons retrouver le dialogisme au sens bakhtinien […]. Quest-ce quune relation dialogique? Jai
déjà suggeré quelle impliquait autonomie
des arts dans la relation, égalité des arts dans le relation et effectivité de
la relation» (p. 211). Esigenza ambiziosa e utopica, difficile da
verificare e da realizzare, per le future generazioni di teatranti e di auspicati
“nuovi” spettatori. Elementi bibliografici essenziali integrano le ampie referenze
e citazioni del volume.
di Gianni Poli
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