Un convegno internazionale sul
musicista lucchese dellormai lontano 2008, anniversario dei centocinquantanni
dalla nascita, fornisce i materiali per questo “Quaderno” edito dal Centro
Studi Giacomo Puccini. Quattro autonome sezioni raccolgono le relazioni
dedicate ad aspetti musicali, drammaturgici e biografici di Giacomo Puccini. A destare maggiore curiosità
sono i rapporti dellopera pucciniana con il cinema, cui il musicista si rivolse
quale musa nascente e seducente.
Le linee dinteresse di questo
volume riguardano la «tradizione editoriale delle partiture, gli influssi
reciproci tra opera e cinema» (p. 5). Confessando «il desiderio di scoprire “che
cosa è quella cosa che Puccini chiama cosa”» (Traiettorie della poetica, p. 10), Francesco Cesari tenta un censimento e una classificazione dei
tipi di richieste, indefinite eppure assillanti, che il compositore rivolge usualmente
ai suoi librettisti. Ne emerge una ricerca della perfezione estetica insistita
e ansiosa, sospesa fra la casualità e lemozione, nel susseguirsi di divieti e
prescrizioni rivolti a tutti i collaboratori. «Leccesso di letterarietà e, più
in generale, di parole, è il difetto dal quale, con maggiore insistenza,
Puccini mette in guardia i suoi poeti» (p. 12), con ridondanti indicazioni affidate
a termini vaghi quali “logica”, “originalità”, “teatralità”. Spesso il
musicista sollecita risposte e soluzioni spinto da intuizioni visive,
ambientazioni spaziali, presupposti dun processo di fecondazione della musica
da parte del libretto e viceversa. Esigenze che Cesari riferisce al momento particolare
dellavvento del teatro di regia in Italia, quando ritiene che il musicista sappia
ritrovare lequilibrio nella realtà della «praticità scenica», come gli riesce
nellinvenzione della «finestraccia» (o «gran finestrone», p. 30) dietro la
quale saffaccerà Turandot.
Marco Beghelli (Puccini parla
dei colleghi) analizza le “risposte” del maestro lucchese “intervistatore
di sé stesso”. I giudizi sui colleghi, tratti dalla sua corrispondenza, sono
spontanei e incensurati, sinceri fino alla maleducazione, giustificati da
tensioni e rivalità quasi da tifoseria sportiva. Critica e autocritica caratterizzano
il panorama delle sue vaste attenzioni e delle sue frequentazioni (grazie ai viaggi
intrapresi per assistere alle novità dei colleghi, in Italia e allestero). Puccini
si mostra «severo con gli italiani, rispettoso con gli stranieri» (p. 37). I suoi
bersagli comprendono Franchetti, Zandonai, Pizzetti, Dallapiccola, Mascagni,
Leoncavallo; fra gli europei più famosi: Schönberg, Stravinskij, Debussy, Ravel,
Strauss.
Linda B. Fairtile dedica un contributo in inglese alle numerose
modifiche operate da Puccini su Edgar,
in particolare alle ripetute revisioni dellatto secondo oggetto delle maggiori
perplessità sia da parte del musicista sia dei critici. La storia dellopera giovanile
(tratta da La Coupe et les lèvres di
Alfred de Musset), che debuttò nel 1889, mostra il passaggio dai quattro ai tre
atti e documenta i vari interventi, insoddisfacenti, sullInno “fiammingo” (atto secondo) fino alla versione del 1905.
Ragioni drammaturgiche (che coinvolgono il librettista Ferdinando Fontana) e musicali
sinseguono nella ricerca duna funzionalità sempre appena approssimata, tantè
che lesecuzione a Buenos Aires dellultima versione (1905) venne dallautore
definita una «minestra riscaldata» (p. 77). La Tavola
riepilogativa delle fonti musicali (manoscritte e a stampa) dellopera tanto
tormentata (p. 62) riveste notevole interesse filologico.
Lanalisi del libretto di Gianni Schicchi da parte di Emanuele DAngelo (Allinferno per amore) mostra lerudizione e laderenza del testo alla
funzionalità dellopera buffa in un atto. Ai passi tratti dalla Commedia dantesca si sommano altre fonti,
tra cui Le Testament du Père Leleu di
Roger Martin du Gard (1914) e, in un diffuso confronto, Le Légataire universel di Jean-François Regnard (1708). Giovacchino
Forzano ne è il poeta-librettista, riconosciuto epigono di Boito qui distintosi
per luso dei “toscanismi” in funzione comica. Lanalisi testuale, stilistica e
metrica è condotta col metodo statistico. Del librettista si sottolinea la
competenza registica evidenziata nelle didascalie e loriginalità del “sorriso
amaro” introdotto nella vicenda a lieto fine.
Alberto Bentoglio ricostruisce lamicizia che legò Puccini al critico
e letterato Renato Simoni, poi coautore di Turandot
con Giuseppe Adami. Ricostruite le fitte frequentazioni artistiche milanesi, lo studioso si sofferma sulle conversazioni dei due corrispondenti, nelle quali la passione
venatoria (testimoniata in poesie confidenziali) sembra superare linteresse
musicale.
Sulle didascalie di Turandot (assenti nel libretto e aggiunte
in partitura) si concentra Peter Ross,
sottolineando come Puccini faccia «prevalere il principio della drammaturgia
della musica, che nella Turandot
agisce in misura maggiore rispetto alle opere precedenti» (p. 123).
Nelle Prospettive critiche, Marco
Capra informa su giudizi e pregiudizi della critica pucciniana. Tracciando
un ampio panorama storico-critico, lo studioso coglie in certe modalità di approccio
“giornalistico” e “musicologico” (p. 135) lorigine di un problema di
interpretazione difficile e persistente, affrontato via via da Carlo Lorenzini
(Collodi), da Luigi Torchi e Italo Carlo Falbo (1900), da Ildebrando Pizzetti
(1911) fino allintervento decisamente ostile di Fausto Torrefranca in Puccini e lopera internazionale (Torino,
Bocca, 1912). «Il richiamo così insistito alla matrice borghese di Puccini» conclude
Capra «quale sostegno al giudizio in gran parte negativo sulla sua opera,
doveva costituire la base della sua, seppur parziale, riabilitazione» (p. 139).
La sensibilità e lapprezzamento dei
musicisti tedeschi nei confronti di Puccini sono documentati da Anna Maria Morazzoni, che dà conto
delle opinioni di Webern, Berg e Schönberg a partire dalle opere pucciniane
presenti nelle loro biblioteche private. Lavversione di Adorno invece risulta
subito evidente nella sua recensione di Turandot
vista a Francoforte. La posizione dellitaliano nei confronti della cerchia dei
“tedeschi” è chiarita nellattestazione della sua «curiosità verso tutta la
musica del suo tempo» (p. 156).
Adriana Guarnieri Corazzol riflette sui contatti fra melodramma e
cinema. Le analogie del linguaggio pucciniano con la sintassi cinematografica
sono riscontrate soprattutto in Manon
Lescaut, oggetto di numerosi adattamenti filmici. La nozione di “fermo
fotogramma” è adoperata dalla studiosa per individuare in vari brani della
partitura le somiglianze fra i differenti linguaggi. Seguendo le “disposizioni
sceniche Ricordi”, ossia i quaderni di regia allegati alle edizioni, la ricerca
si estende a La Fanciulla del West. Trova
anche giustificazione linfluenza su Butterfly
della pièce teatrale omonima di David
Belasco.
Tale tema ritorna in Le fortune cinematografiche di Manon Lescaut
di Roberto Calabretto, contributo ricco
di esempi di utilizzazione di musiche pucciniane e di applicazioni delle teorie
sulla funzione della musica nel film muto. Vi sono ricostruite le modalità
esecutive di brani musicali preesistenti da parte di solisti o di orchestra a
ogni proiezione.
Marco Bellano, in Il maestro
muto, simpegna a inventariare e a misurare il “peso” dei frammenti dopera
pucciniani inseriti nel repertorio Allgemeines
Handbuch der Filmmusik (1927) di Hans Erdmann, Giuseppe Becce e Ludvig
Brav, il «più complesso sistema di catalogazione emotiva della musica per il
cinema muto» (p. 235). In otto pagine è riassunto il contributo, computato e
commentato, offerto dalla musica di Puccini alla sonorizzazione estemporanea
del cinema.
di Gianni Poli
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