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Manlio Marinelli

Aristotele teorico dello spettacolo


Bari, Edizioni di Pagina, 2018, 443 pp., euro 23,00
ISBN 978-88-7470-615-0

È articolato in due parti il corposo volume di Manlio Marinelli: Prima di Aristotele (pp. 13-165) e Aristotele e lo spettacolo (pp. 167-426). Seguono una bibliografia aggiornata e uno stringato Indice delle cose notevoli. Il testo registra numerose citazioni intertestuali, nella maggior parte dei casi in traduzione, e abbondanti note talvolta forse troppo estese.

Lo scopo ambizioso dell’autore è approfondire la teoria di Aristotele sullo spettacolo. Un tema ampio e complesso. Il testo di riferimento è soprattutto la Poetica, già indagata, come si sa, da autorevoli studiosi. Basti qui ricordare Augusto Rostagni e Diego Lanza, le cui edizioni critiche sono ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile sul piano filologico e storico.

Benché il titolo del volume di Marinelli alluda all’intero sistema teorico dello Stagirita in ambito spettacolare, lo studio ruota attorno a tre tematiche fondamentali ma non esaustive: la questione dell’ὄψις la comunicazione teatrale, l’attore e il performer. È esclusa, forse non a torto, la vexatissima quaestio dell’origine della tragedia e della commedia. Non solo. Si pensi alle sei parti costitutive della tragedia (μῦθος, ἤθη, λέξις, διάνοια, ὄψις, μελοποιία) che meriterebbero una rinnovata attenzione da parte degli storici dello spettacolo. 

Lo studio sull’ópsis aristotelica, ossia la dimensione scenico-spettacolare della tragedia, non apporta novità sostanziali. Tra le molte indagini a questo proposito ci limitiamo qui a ricordare gli studi di Marco De Marinis che in modo convincente ha sdoganato Aristotele dal pregiudizio antispettacolare che ha condizionato e condiziona la storia del teatro occidentale. L’“ideologia testocentrica”, frutto di una rilettura cinquecentesca schematica e rigidamente normativa della Poetica, deriverebbe dal noto passaggio in cui il filosofo sostiene che la ópsis «è sì di grande seduzione, ma la più estranea all’arte e la meno propria della poetica; l’efficacia della tragedia sussiste anche senza rappresentazione e senza attori» (Poet. 50b 17-18; trad. Lanza, Milano, Rizzoli, 199710, p. 141). La questione tuttavia è più complessa.

La comunicazione teatrale nel pensiero di Aristotele è indagata lungo tre direttrici: La qualità dei processi ricettivi tra percezione visiva e auditiva (pp. 248-277); Cognitivizzazione e lavoro dello spettatore (pp. 277-311); La catarsi tragica come modalità di comunicazione spettacolare (pp. 311-340). Sono questi i titoli un po’ ridondanti dei paragrafi del quinto capitolo. Nei primi due è approfondita con apprezzabile sensibilità performativa la teoria aristotelica sulla fruizione del pubblico. A questo proposito lo studio di Heinz Kindermann (Il teatro greco e il suo pubblico [1979], a cura di Angela Andrisano, Firenze, La casa Usher, 1990) è ancora oggi centrale e può utilmente interagire con il volume di Donato Lo Scalzo (Il pubblico a teatro nella Grecia antica, Roma, Bulzoni, 2008).

Il paragrafo sulla catarsi analizza in modo critico il tema forse maggiormente interpretato e “deformato” della Poetica. Si segnala il recente numero monografico della rivista «Skenè» dedicato a Catharsis, Ancient and Modern a cura di Guido Avezzù. Apprezzabile la interpretazione di Marinelli della κάθαρσις come modalità di comunicazione spettacolare.  

Merita una speciale attenzione il paragrafo L’attore e il performer (pp. 363-426). Il punto di partenza è «la sostanziale unità di concezione della nozione di hypokrisis intesa come recitazione che vede connotati di liminalità tra rapsodia, mimesis teatrale, retorica e danza» (p. 364). Facendo riferimento alla Retorica aristotelica, l’hypokrisis si affranca dalla poetica quando non sono più i poeti stessi a eseguire le loro composizioni (Arist. Rh. III 1403b 17-23). L’arte dell’attore si configura come globale attività dei performer, che siano attori, rapsodi o retori, oltre che pantomimi. Non solo. Hypokrisis come prassi che integra phoné (emissione vocale), schemata (postura gestuale) e esthesis (costumi). Così ancora Aristotele (Rh. II 1386a 29-31).

Non mancano riferimenti puntuali ad altre opere quali Repubblica di Platone, De musica di Quintiliano, De saltatione di Luciano di Samosata. La tesi cui si giunge è la recitazione dell’attore greco intesa come contaminazione di danza, esecuzione vocale e canto. Un unicum nella storia del teatro occidentale.

Documentati e analizzati in modo critico i riferimenti letterari agli attori Callippide (pp. 384-385), Frinico (pp. 390-398) e al meno noto Cleocrito (pp. 400-402). Trascurato invece Tespi, il protos heuretes dell’arte attorica, che meriterebbe di essere riportato alla luce;  e mi permetto di segnalare il lavoro su Tespi da me recentemente portato a termine nell’ambito del Dottorato in Storia dello spettacolo dell’Università di Firenze (tutor: Stefano Mazzoni).

Mancano nel volume l’Indice dei luoghi e soprattutto l’Indice dei nomi, strumenti indispensabili per la consultazione di un testo così ricco e stratificato.



di Diana Perego


La copertina

cast indice del volume


 



 
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