È articolato in due parti il corposo volume di Manlio Marinelli: Prima di Aristotele (pp. 13-165) e Aristotele e lo spettacolo (pp. 167-426).
Seguono una bibliografia aggiornata e uno stringato Indice delle cose notevoli. Il testo registra numerose citazioni
intertestuali, nella maggior parte dei casi in traduzione, e abbondanti note
talvolta forse troppo estese.
Lo scopo ambizioso dellautore è approfondire la
teoria di Aristotele sullo
spettacolo. Un tema ampio e complesso. Il testo di riferimento è soprattutto la
Poetica, già indagata, come si sa, da
autorevoli studiosi. Basti qui ricordare Augusto
Rostagni e Diego Lanza, le cui
edizioni critiche sono ancora oggi un punto di
riferimento imprescindibile sul piano filologico e storico.
Benché il titolo del volume di Marinelli alluda allintero
sistema teorico dello Stagirita in ambito spettacolare, lo studio ruota attorno
a tre tematiche fondamentali ma non esaustive: la questione dellὄψις la
comunicazione teatrale, lattore e il performer. È esclusa, forse non a torto,
la vexatissima quaestio dellorigine
della tragedia e della commedia. Non solo. Si pensi alle sei parti costitutive
della tragedia (μῦθος, ἤθη, λέξις, διάνοια, ὄψις, μελοποιία) che meriterebbero una
rinnovata attenzione da parte degli storici dello spettacolo.
Lo studio sullópsis
aristotelica, ossia la dimensione scenico-spettacolare
della tragedia, non apporta novità sostanziali. Tra le molte indagini a questo
proposito ci limitiamo qui a ricordare gli studi di Marco De Marinis che in modo convincente ha sdoganato Aristotele dal
pregiudizio antispettacolare che ha condizionato e condiziona la storia del teatro
occidentale. L“ideologia testocentrica”, frutto di una rilettura
cinquecentesca schematica e rigidamente normativa della Poetica, deriverebbe dal noto passaggio in cui il filosofo sostiene
che la ópsis «è sì di grande
seduzione, ma la più estranea allarte e la meno propria della poetica; lefficacia
della tragedia sussiste anche senza rappresentazione e senza attori» (Poet. 50b 17-18; trad. Lanza, Milano,
Rizzoli, 199710, p. 141). La questione tuttavia è più complessa.
La comunicazione teatrale nel pensiero di Aristotele è
indagata lungo tre direttrici: La qualità
dei processi ricettivi tra percezione visiva e auditiva (pp. 248-277); Cognitivizzazione e lavoro dello spettatore (pp. 277-311); La catarsi tragica come modalità di comunicazione spettacolare (pp.
311-340). Sono questi i titoli un po ridondanti dei paragrafi del quinto
capitolo. Nei primi due è approfondita con apprezzabile sensibilità
performativa la teoria aristotelica sulla fruizione del pubblico. A questo
proposito lo studio di Heinz Kindermann
(Il teatro greco e il suo pubblico [1979],
a cura di Angela Andrisano, Firenze, La casa
Usher, 1990) è ancora oggi centrale e può utilmente interagire con il volume di
Donato Lo Scalzo (Il pubblico a teatro nella Grecia antica,
Roma, Bulzoni, 2008).
Il paragrafo sulla catarsi analizza in modo critico il
tema forse maggiormente interpretato e “deformato” della Poetica. Si segnala il recente numero monografico della rivista «Skenè» dedicato a Catharsis, Ancient and Modern a cura di Guido Avezzù. Apprezzabile la interpretazione
di Marinelli della κάθαρσις come modalità di comunicazione spettacolare.
Merita una speciale attenzione il paragrafo Lattore e il performer (pp. 363-426). Il
punto di partenza è «la sostanziale unità di concezione della nozione di hypokrisis intesa come recitazione che
vede connotati di liminalità tra rapsodia, mimesis
teatrale, retorica e danza» (p. 364). Facendo riferimento alla Retorica aristotelica, lhypokrisis si affranca dalla poetica
quando non sono più i poeti stessi a eseguire le loro composizioni (Arist. Rh. III 1403b 17-23). Larte dellattore
si configura come globale attività dei performer, che siano attori, rapsodi o
retori, oltre che pantomimi. Non solo. Hypokrisis
come prassi che integra phoné
(emissione vocale), schemata (postura
gestuale) e esthesis (costumi). Così
ancora Aristotele (Rh. II 1386a
29-31).
Non mancano riferimenti puntuali ad altre opere quali Repubblica di Platone, De musica di Quintiliano, De saltatione di Luciano di
Samosata. La tesi cui si giunge è la recitazione dellattore greco intesa come
contaminazione di danza, esecuzione vocale e canto. Un unicum nella storia del teatro occidentale.
Documentati e analizzati in modo critico i riferimenti
letterari agli attori Callippide (pp.
384-385), Frinico (pp. 390-398) e al
meno noto Cleocrito (pp. 400-402).
Trascurato invece Tespi, il protos heuretes dellarte attorica, che
meriterebbe di essere riportato alla luce; e mi permetto di segnalare il lavoro su Tespi
da me recentemente portato a termine nellambito del Dottorato in Storia dello
spettacolo dellUniversità di Firenze (tutor: Stefano Mazzoni).
Mancano nel volume lIndice dei luoghi e soprattutto lIndice dei nomi, strumenti indispensabili per la consultazione di
un testo così ricco e stratificato.
di Diana Perego
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