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Albert Camus, Maria Casarès

Correspondance (1944-1959)

A cura di Béatrice Vaillant. Avant-propos de Catherine Camus

1.312 pp., euro 32,50
ISBN 9782072746161

Durante la cerimonia conclusiva del Premio Europa per il Teatro, svoltasi al Teatro Argentina di Roma il 17 dicembre 2017, gli attori premiati Jeremy Irons e Isabelle Huppert hanno offerto in lettura alcune Lettere di Albert Camus e Maria Casarès tratte dal volume che raccoglie la loro corrispondenza finora inedita. Ho sentito allora che il libro che stavo leggendo per darne resoconto avrebbe comunque rivelato il suo carattere di testimonianza d’amore e di fiducia, a un altissimo livello di partecipazione personale e di forma espressiva. Il carteggio trabocca infatti d’una passione e d’un bisogno d’unione inestinguibili, con accenti che gareggiano in sincerità e precisione linguistica, come se dipendesse da quello scambio la sopravvivenza del legame più intimo fra gli interlocutori. Quanto invece riguarda gli indizi di natura culturale e artistica inerenti ai protagonisti resta mimetizzato nell’intreccio del racconto e delle confessioni reciproche e frequenti (Maria teneva un Journal) e si fatica a estrarlo dal coacervo degli appunti e aneddoti accumulati nel tempo.

Questo mio primo suggerimento di lettura prende le mosse da un “serio” campionamento statistico (quindi parziale) del corpus, in cerca dei riferimenti specifici all’arte teatrale, lasciando alla libera curiosità del lettore alternativi percorsi di ricerca. Alcuni dati quantitativi misurano il fenomeno. L’anno iniziale 1944 registra ventuno lettere. Negli anni 1945 e 1947 gli scambi sono sospesi. Il 1950 raccoglie duecentosettantacinque missive, il numero maggiore. In seguito si oscilla da un massimo di novanta lettere (1951) a un minimo di trentuno (1955), per un totale di ottocentosessantacinque invii.   

Quando Albert Camus incontra Maria Casarès ha trentuno anni, lei ventidue. L’occasione è la recita privata (in casa di Michel Leiris, il 19 marzo 1944) di Le Désir attrapé par la queue di Pablo Picasso. L’attrice ha iniziato la sua carriera al Théâtre Hebertot nel 1942 quando lo scrittore aveva già all’attivo L’Étranger e Le Mythe de Sisyphe. Camus vive a Parigi, sua moglie Francine a Orano in Algeria. Per la creazione di Le Malentendu nel 1944, il drammaturgo affida a Maria il ruolo della protagonista Martha. I due si innamorano, ma lei lo lascia al rientro di Francine alla fine dello stesso anno. Rincontrandosi nel giugno 1948, ravvivano la loro relazione fino alla morte accidentale di Camus il 4 gennaio 1960.

Teatro e letteratura s’intrecciano incessantemente nella vita dei due protagonisti, sia quando collaborano a imprese comuni, sia quando restano separati: Albert lontano per curare la tubercolosi, scrivere isolato o tenere conferenze; Maria impegnata in tounée o per girare film o per registrare programmi radiofonici.  

Maria scrive per prima ad Albert nell’agosto 1948 ricevendo i complimenti dell’autore di L’État de siège, da lei interpretato in ottobre con la regia di Jean-Louis Barrault, l’artista che ha suscitato in Camus grandi speranze, poi deluse, di collaborazione. A Natale l’attrice riconosce il proprio sentimento e già s’impone lo stile che adotterà nel loro rapporto: «Je me sens forte de mon amour pour toi et capable de tout vaincre. […] Quelqu’un doit être malheureux et dans ce cas je sais que l’on choisit celui qui vous rend malheureux aussi. C’est une manière de se sentir moins coupable. Voilà pourquoi je ne te demanderai jamais rien» (Natale 1948, p. 85). Mostra sensibilità con i colleghi, circa i quali peraltro non nasconde antipatie e giudizi anche severi. L’autocritica però la induce spesso a valutare scadenti o inadeguate le proprie prestazioni, addirittura comparandole a «un acte d’amour mal fait» (p. 228).

Al tempo in cui gira Orphée di Cocteau e interpreta Dora in Les justes (1949), inizia la fase importante in cui – vivente Camus – lavorerà con Jean Vilar al TNP come protagonista in Macbeth (1954), Le Triomphe de l’amour, Marie Tudor, La Ville (1955), poi in Phèdre (1957) e nella ripresa di Le Cid (1958), accolta in America da critici entusiasti. Infine interpreta Le Songe d’une nuit d’été (Avignone, 1959), spettacolo di cui resta una descrizione dettagliata da parte dell’attrice che recita Titania (p. 1227). Prosegue collaborando con Barrault in Judith di Giraudoux (1961), Les paravents di Genet e Henry VI da Shakespeare (1966). Scrive Roland Barthes nel suo memorabile profilo della tragediénne: «L’arte di Maria Casarès detiene il potere fondamentale della tragedia: fondare lo spettacolo sull’evidenza della passione […]. Non affida allo spettatore il compito di fare la pièce, gliela costruisce totalmente, ma non lo lascia libero: ce lo trascina dentro» («France-Observateur», maggio 1954, in Scritti sul teatro, a cura di M. Consolini, Roma, Meltemi, 2002, pp. 99-100). 

La condizione dello scrittore rivela una costante dipendenza dalla compagna e un’assidua richiesta d’aiuto, sia nelle crisi della malattia, sia nello sforzo per realizzare i suoi progetti creativi, ai quali attende in una solitudine autoimposta e pure tormentosa: «Nous devons seulement nous organiser pour reduire le plus possible ces longues séparations» (aprile 1956, p. 1060). La lontananza acuisce dolorosamente il bisogno dell’altro. Camus confessa paura e certezza assieme: «Même separé de toi, quelque chose m’habitait. […] Mon amour, quel appel vers toi ! […] Je t’ai retrouvée avec une intensité, une souffrance, et une joie si présentes, si charnelles, que j’en ai mal» (settembre 1949, p. 161). «Et il est vrai que je n’ai jamais connu de dépression semblable. […] Je ne me suis jamais livré entièrement à aucun être, qu’à toi» (p. 177). In Maria prevale una «confiance en toi entière et illimitée, en toi et en notre amour auquel je ne peux imaginer qu’une fin: la mort». Ciò le risulta «baigné sans cesse d’extraordinaire émotion» (settembre 1949, p. 173) e prova gratitudine per il dono ricevuto: «Je suis heureuse, heureuse, heureuse de t’aimer […]. La fierté m’étouffe en pensant que je t’appartiens» (febbraio 1951, p. 747).  

Il 1956 è segnato dalle tournées di Casarès in URSS e in Scandinavia e dal successo di Requiem pour une nonne (adattamento da Faulkner) che Camus, anche regista, ottiene a Mosca e Leningrado. L’assegnazione del Premio Nobel nell’ottobre 1957 interferisce appena negli scambi epistolari, con biglietti di circostanza su un evento che lo scrittore vive con la moglie e gli editori e appare rimosso (pp. 1153-1155). Intanto gli impegni crescenti separano più spesso gli amanti. Di Camus sono note almeno due relazioni con altre donne, sulle quali un’unica allusione colgo nella sua lettera del 21 luglio 1958: «Nous plaisantons souvent sur nos flirts et nos sorties. […] Toi seule est fixe, toi seule m’emplis […]. Depuis quinze ans tu n’a pas partagé ma vie, tu es ma vie» (p. 1173).

Il drammaturgo soffre delusioni, sia per le difficoltà di allestire le sue pièces, sia nel desiderio di disporre d’un teatro proprio (col sostegno del ministro Malraux), vagheggiato quale Théâtre National d’Essai. Un’intervista televisiva occasionata da Les Possédés (spettacolo creato nel 1959 e presentato anche al Teatro La Fenice di Venezia) suscita commenti distorti sui giornali e lo sdegno dell’autore: «L’Express à qui j’avais refusé le même texte me traîne un peu dans la merde (et en même temps me donne raison sans le vouloir dans ce que je disais sur la connerie de nostre société intellectuelle)» (p. 1218). Più tardi, Maria traccia un bilancio inedito del Festival d’Avignon e del TNP, quando ai rilievi su Patron Vilar, «tout à fait dingue» (p. 1233) aggiunge la sensazione di disfacimento della troupe comunque in auge. Con misurato rimpianto matura la decisione di lasciare il gruppo: «Mais quand je me demande ce que je vais regretter à mon depart, je ne trouve que l’ensemble, une chose impersonnelle mais que j’ai fini pour aimer» (25 luglio 1959, p. 1237).

La “vita” parigina, che Maria sente estranea o avversa avvicinandosi gli anni Sessanta, ferve tuttavia di attività coinvolgenti. Seguono infatti, al periodo del Teatro dell’assurdo, spettacoli significativi quali Les Nègres e Les Paravents di Genet; Le Ping Pong di Adamov; Oh! les beaux jours di Beckett; Rhinocéros di Ionesco. La donna, che non giustifica la passione se non quando sollecitata dall’intelligenza, annota presagi funesti e riscontri emotivi intensi sul finire del 1959: «Quand je pense à nous, il me paraît absurde de ne pas croire à l’éternité» (p. 1223) e «Je me désole à l’dée que je mourrai irrémédiablement comme je suis née, informe» (p. 1241).

La fine dello scambio la firma Albert il 30 dicembre 1959: «Je plie ton imperméable dans l’enveloppe et j’y joins tous les soleils du cœur» (p. 1265). Nell’avventura affidata al carteggio mai viene meno la solidarietà dei protagonisti, mai si smentisce l’impegnativo amore, sia reciproco, sia nei confronti dell’arte teatrale.


di Gianni Poli


La copertina

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