La rivista festeggia ottantanni di
attività con un bilancio affidato allEditoriale di Mariapia Comand.
Il fascicolo monografico, a cura
di Luca Mazzei e Paola Valentini, è dedicato al giallo
italiano: un arcipelago di esperienze eterogeneo che toccò i vertici nei
primi anni Settanta e che fu introdotto in Italia almeno un quarantennio prima.
Si legga quanto scrivono i due curatori nel contributo di apertura.
Ivo Bloom e Micaela Veronesi
si concentrano sui film di e con Mario Guaita Ausonia tra il 1919 e il 1926,
prima che la definizione di “giallo” si affermasse nel nostro paese. Il
regista-attore, noto soprattutto per aver assunto il ruolo del forzuto in varie
produzioni nazionali, prese parte inoltre ad alcune pellicole di genere sceneggiate dalla moglie Renée Felicie Deliot,
dense di richiami alla cultura francese: fonte di interesse anche per la ricorrenza di
motivi topici, sperimentazioni narrative ed echi intertestuali. Ne è un esempio
il recupero delliconografia di Fantômas nella vicenda di travestimenti e
capovolgimenti di trama in Dans les mansardes de Paris (1916).
Gianni Canova individua negli anni Trenta un «momento-chiave
nelle procedure formali, stilistiche e narrative» (p. 31) di questo gusto,
nonostante molti studiosi considerino successiva la sua affermazione nel
contesto cinematografico italiano. In quel decennio si manifestò un crescente
interesse per il giallo che, a partire dalla celebre collana edita da Mondadori
con la copertina di quel colore, contagiò gli altri media. Un fertile terreno
di sperimentazione e di reinterpretazione in chiave “nostrana” dei caratteri
tipici della narrativa internazionale e dei canoni del cinema americano coevo,
secondo una tendenza alla “normalizzazione” propria del fascismo.
David Bruni, partendo dal caso di Giallo (Mario
Camerini, 1934), prende in esame alcuni film italiani realizzati nei primi
quindici anni del periodo sonoro per indagare le contaminazioni tra generi e
motivi narrativi, nonché i punti di contatto e di confronto con le produzioni
provenienti dagli Stati Uniti che rappresentarono in quel contesto un
importante modello di riferimento culturale e sociale cui lItalia guardava ora
con ammirazione ora con biasimo.
Fabio Camilletti approfondisce il ricorrente motivo del «paranormale»
nel giallo cine-televisivo italiano, inquadrandolo nel più ampio panorama della
cultura popolare animata a partire dagli anni Sessanta da un certo interesse
per lignoto e per i temi legati allocculto, come dimostrano specifiche
pubblicazioni diventate in breve tempo best-sellers. La parapsicologia è una
«possibilità narrativa» (p. 74), come dimostra il cult Profondo rosso
(Dario Argento, 1975).
Emiliano Morreale si concentra sulle modalità rappresentative dei meccanismi
impenetrabili del potere: dalla narrativa di Sciascia al cinema italiano degli
anni Settanta, quando il giallo si tinge di venature politiche. Da Rosi a Petri
fino alle produzioni per il cinema e la televisione di Damiani, attraverso la
struttura dellinchiesta e del thriller si offre una lettura della
complessità del panorama politico coevo, una realtà opaca le cui “regole del
gioco” rimangono nascoste.
Fabrizio Natalini dedica unanalisi comparativa al testo scritto e
filmico di Un maledetto imbroglio (Pietro Germi, 1959) a partire dal
copione e da altri documenti rinvenuti presso lArchivio Centrale dello Stato
di Roma. Liberamente ispirato a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
di Carlo Emilio Gadda (1957), ladattamento cinematografico.
Sulla scia di recenti studi fondati
sulla metodologia delle neuroscienze (cfr.
V. Gallese-M. Guerra, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze,
Milano, Raffaello Cortina, 2015), Massimo
Locatelli parla del particolare utilizzo dello zoom nei gialli italiani
degli anni Sessanta. Se per gli psicologi della percezione tale strumento ha a
che fare con lattenzione, in questo genere filmico si dimostra un mezzo
stilistico che esprime una «agitazione» (p. 107) emotiva in grado di aumentare
la portata sensoriale delle scene di maggior pathos.
Andreas Ehrenreich, servendosi di fonti riguardanti la distribuzione
e la promozione del genere, mira a sconfessare il luogo comune che vede nel giallo
una produzione “in minore”, relegata alle sale di terza visione. Analizzando La
dama rossa uccide sette volte (Emilio P. Miraglia, 1972), lo studioso
evidenzia la popolarità dei thrillers italiani anche nel primo circuito:
questo in virtù di strategie di sfruttamento che oltrepassano i confini
nazionali e grazie a investimenti pubblicitari ad ampio raggio, tipici della
diffusione del western allitaliana soprattutto nel decennio precedente.
LAppendice ospita il Dossier
Giannini che, attraverso specifiche analisi di documenti e materiali
darchivio, talvolta inediti, mira a ricostruire alcuni momenti topici della multiforme
carriera dello sceneggiatore Guglielmo Giannini. Victoria Duckett ne approfondisce gli echi intermediali e i motivi
ripresi dal cinema americano; Elena
Mosconi studia il passaggio di Anonima fratelli Roylott (Raffaello
Matarazzo, 1936) dalla commedia alla trasposizione cinematografica fino alla
pubblicazione per Mondadori (1954); Raffaele
De Berti focalizza lattenzione sul film Grattacieli (1943) diretto
dallo stesso Giannini. Una delle prime commedie poliziesche italiane che
riflette nella struttura narrativa e nei motivi la ripresa dei modelli
statunitensi, manifestando anche una certa «preoccupazione morale» (p. 141) per
il divario tra campagna e città moderna.
Chiude il corposo volume la riproposta di un
articolo di Franco Mendico edito da
«Bianco e nero» nel marzo 1952 (Il “brivido”). Si inaugura così un nuovo spazio dedicato alla ripubblicazione di
contributi darchivio per celebrare il compleanno della rivista.
di Eleonora Sforzi
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