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Carlo Goldoni

Don Giovanni Tenorio o sia Il Dissoluto

A cura di Rossella Palmieri

Avellino, Sinestesie, 2016, 212 pp., euro 12,00
ISBN 978-88-99541-22-4

Merita una giusta (anche se tardiva) segnalazione questa edizione goldoniana, accompagnata da una bella Introduzione, oltre che da un congruo numero di note di commento stilate da una studiosa che già altre volte si era applicata con proficui risultati alla letteratura come al teatro di Antico regime. In particolare si ricordano i suoi studi sulla drammaturgia barocca. Si vedano le edizioni delle opere di Giovan Battista Andreini, di cui è recente una giusta rivalutazione storica: La Maddalena lasciva e penitente (Bari, Palomar, 2006), La Ferinda (Taranto, Lisi, 2008), nonché la raccolta delle Opere teoriche stampate presso la casa editrice Le Lettere (Firenze 2013). Alla segnalazione di questo lavoro ci sia consentito accompagnare l’auspicio di un rilancio della bella collezione delle opere goldoniane dovuta all’intelligenza e all’impegno di Cesare De Michelis per la casa editrice Marsilio di Venezia.

L’attuale edizione del Don Giovanni Tenorio è basata sul tomo VII della stampa proposta per la prima volta a Firenze dagli «Eredi Paperini» nel 1754, con undici successive edizioni fino al 1792, quando fu ristampata dall’editore veneziano Antonio Zatta, nel tomo XXVI delle Opere teatrali del Sig. Avvocato Carlo Goldoni, insieme a Il Tasso, L’amante di se medesimo, Il disinganno in corte.

Nella Nota al testo del presente libro (pp. 65-78) la curatrice del volume dà conto delle diverse stampe del Don Giovanni, segnalando le varianti editoriali e testuali. Per quanto riguarda l’apparizione scenica si ricorda invece che la prima rappresentazione assoluta di questa «commedia di cinque atti in versi» avvenne durante il carnevale veneziano del 1736. Bisognerà attendere il 28 ottobre 1787 per assistere a Praga alla prima rappresentazione del Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, ma è bene ricordare che quella storia del «dissoluto punito» aveva già raccolto molti consensi tanto fra i drammaturghi quanto fra gli spettatori in teatri di ogni genere e grado. Su questa tradizione si veda almeno il fondamentale lavoro di Giovanni Macchia, Vita, avventure e morte di Don Giovanni, Roma-Bari, Laterza, 1966 (più volte ristampato, prima dall’editore Einaudi e poi da Adelphi, 1991 e 1995).

Quell’impianto drammaturgico determinò insomma una sorta di fanatismo. Goldoni, attentissimo a percepire gli umori e le attese del pubblico, non si fece sfuggire l’occasione, anche se verosimilmente lo scrittore veneziano attinse soprattutto alla diffusa tradizione italiana. Occorre infatti ricordare che, fin dal Seicento, nelle diverse regioni italiane, numerose compagnie dell’Arte, assai propense ad approfittare dei soggetti di successo, avevano sfruttato nei loro canovacci il tema del seduttore punito nelle fiamme dell’Inferno.

Sulla scia di quella tradizione diffusa tra gli attori di mestiere Goldoni fiutò il proprio successo. Lo cercò e lo ottenne, tanto che alla “prima” rappresentazione della sua commedia nel carnevale del 1736 fecero seguito numerose repliche «senza interruzione, fino al martedì grasso», come lo scrittore stesso ricorderà nei suoi Mémoires (I, XXXIX). Quasi venti anni dopo quello spettacolo ebbe la sua resurrezione in forma di libro. Una resurrezione oggi replicata.



di Siro Ferrone


La copertina

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