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Guy Cassiers

A cura di Edwige Perrot

Arles, Actes Sud-Papiers, 2017, 88 pp., 13,50 euro
ISBN 978-2-330-07382-4

Il libro è composto da una serie di interviste tematiche, sollecitate e raccolte da Edwige Perrot, in vari luoghi e occasioni, dal 2007 (Avignone) al 2016 (Amsterdam). Il discorso riguarda principi, ma soprattutto esperienze di lavoro del regista belga Guy Cassiers, nato ad Anversa nel 1960 e attualmente direttore della Toneelhuis (Maison Théâtre) della sua città.

La curatrice lo presenta all’inizio come un giovane studente di Belle Arti, poco attratto dal teatro, che sente lontano e sclerotizzato dall’abitudine. Mostra subito la tendenza allo scambio con artisti di discipline diverse per progetti di ricerca espressiva comuni. Lo interessano le applicazioni tecniche audiovisive nell’interpretazione dei capolavori letterari, fra i quali sceglie romanzi di Camus, Conrad, Proust, Musil, Rushdie, Woolf per i suoi adattamenti scenici. Dall’inizio, s’interessa al pubblico, del quale intende destare l’attenzione e la coscienza nei rapporti che coinvolgono l’arte e il potere. «Plus globalement, la question du pouvoir, de son exercice, de sa brutalité fait régulièrement l’objet de ses spectacles» (p. 16), sintetizza la Perrot nell’Introduzione.

Con i compagni del periodo formativo, quali Jan Fabre e Jan Versweyveld, Cassiers condividerà il gusto per la bellezza delle forme, secondo un’acuta sensibilità sensoriale e sensuale. L’esordio con la messa in scena di Kaspar di Peter Handke nel 1982 è importante perché gli fa scoprire, come accade al protagonista, un mondo finora sconosciuto. Nella duplice prospettiva dell’immaginazione e della responsabilità artistica, inizia allora a sviluppare una vera coerente poetica dell’impiego dei mezzi multimediali in scena.

Fra ricordi e riflessioni, si sviluppa in forma spontanea e chiara una visione della vita attraverso le scelte artistiche. Rievocati gli incontri vitali, le impressioni e i riflessi sulla vocazione, l’autore Cassiers si sofferma su aspetti creativi, quali quelli con gli attori e con i collaboratori più diretti. Ricorrono alcuni spettacoli ritenuti basilari (dopo una parentesi dedicata a produzioni per ragazzi, a Gand), quali Angels in America di Tony Kushner e I sette peccati capitali di Brecht, del 1995; Anna Karenina, da Tolstoj (1999) e À la recherche du temps perdu, da Proust (2003-2005), nel periodo del passaggio alla direzione del Ro Theater di Rotterdam.  

La motivazione del Premio Europa per il Teatro, ricevuto nel 2009 a Wroclaw, sottolineava: «Cassiers aime les chemins de traverse, se livre avec délices à des travaux de mixage des arts, brouille les frontières et se retrouve dans le dynamisme de ce mouvement entre. […] Dans ce refus de stabilité, cette quête dépourvue de ordre et de hierarchie […]. Le théâtre de Cassiers n’est pas un théâtre de l’égarement, de la perte, mais, bien au contraire, de l’exploration diversifiée. […] La diversité c’est la voie, pas le but» (Programme, Prix Europe 2009, p. 47).

La storia smentirà in parte la sua inclinazione alla mobilità inquieta quando, ormai affermato, egli accetterà nel 2006 la direzione della Toneelhuis di Anversa. Colà, animatore d’un teatro sovvenzionato, si dedicherà a promuoverne il rinnovamento, nel rispetto d’una tradizione di fedeltà e riconoscenza verso la compagnia stabile di attori residenti. Dalle conversazioni appare appena la situazione particolare di Anversa, dove le due culture del Belgio, fiamminga e vallona, stridono nel confronto bilingue fra neerlandese e francese. Per Cassiers, Anversa e la sua regione, sono luoghi di feconda libertà: «C’est d’ailleurs là une des grandes qualités en Flandres aujourd’hui: même si on n’a pas beaucoup d’argent, on a une très grande liberté de création» (p. 48).

Altri temi toccano poi l’uso delle tecniche: come il video venga posto al servizio d’una dramaturgie visuelle con la quale il creatore ottiene la trasformazione dimensionale degli spazi scenici. Il lavoro con e sul testo, nel quale intende «trouver une necessité d’abord personnelle», dà luogo a reazioni dapprima sensoriali, da condividere con i compagni: «Quand je lis, je vois le texte en images» (p. 57). Ancora specifico, il paragrafo La direction d’acteurs dans les dispositifs médiatiques, dove si denunciano i pericoli dell’influenza che il regista può esercitare sull’attore. Tanta sensibilità induce Cassiers a ricercare un equilibrio necessario «entre les aspects pratiques du jeu et les émotions. Et cet équilibre repose sur une intimité et une confiance entre le metteur en scène et l’acteur qui doivent permettre à ce dernier de se donner, de se mettre à nu, d’oser se mettre à nu» (p. 63).

Recentemente, con quattro colleghi altrettanto impegnati, Fabre, Lauwers, Platel e Van Hove, ha promosso un programma quadriennale di accompagnamento e formazione di cinque giovani artisti, destinati a maturare una competenza completa e autonoma nello spettacolo. Ne parla in Le temps du relais e lo sente come un esempio di trasmissione di un sapere da suscitare e consolidare in misura sempre più originale e profonda. Quale supplemento alla produzione dell’ultimo spettacolo, Les Bienveillantes, da Jonathan Littell, propone un video pedagogico e promozionale dedicato al pubblico, in una visuale aperta sul futuro: «batir des ponts» gli appare, sia artisticamente sia civilmente, il compito più necessario.


di Gianni Poli


La copertina

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