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Bianco e nero, a. LXXVIII, n. 585, maggio-agosto 2016
Rivista quadrimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia

A cura di Luca Malavasi

123 pp., euro 22,00
ISSN 0394-008X

Il secondo numero monografico del 2016 è incentrato su una rinnovata perlustrazione dell’Italia degli anni Ottanta, indagando un periodo della storia del cinema nazionale spesso studiato secondo prospettive “orientate” o debitrici di stereotipi stratificati. Consapevole di avvicinarsi ad anni «difficili da raccontare» (p. 13), anche per la prossimità al nostro presente, il curatore Luca Malavasi nell’Introduzione sottolinea la necessità di riscoprire quel decennio così particolare alla luce delle molteplici interrelazioni tra la produzione culturale visiva e audiovisiva.

I numerosi contributi qui raccolti mirano a indagare per exempla le esperienze cinematografiche e televisive di quegli anni, evidenziandone i punti di contatto con il più ampio contesto sociale e artistico mediante un approccio intermediale e intertestuale.

L’interesse per i nuovi orizzonti dei film studies, sempre più spesso orientati verso analisi trasversali, si accompagna a un’attenzione per le strategie divulgative, come traspare dalla nuova veste bilingue della rivista, dove ciascun saggio è presentato anche in traduzione inglese.

Gabriele Rigola, a partire da una celebre sequenza del film Il ragazzo di campagna (Castellano e Pipolo, 1984), riflette sulla rappresentazione dell’immaginario sociale degli anni Ottanta mediante un esame delle nuove modalità in cui si definiscono lo stardom e l’attorialità. In questa e in altre commedie del decennio Renato Pozzetto incarna personaggi emblematici di una mascolinità “ambigua” e oscillante, sintetizzando anche la predilezione del cinema coevo per figure fortemente caratterizzate in senso fisico. Rigola considera la corporeità e la gestualità dei più noti interpreti comici del periodo come una «chiave interpretativa» (p. 20) del più ampio contesto sociale: gli attori, infatti, mettono in scena personaggi-tipo in grado di smascherare pulsioni e stereotipi, esprimendo allo stesso tempo un rapporto spesso contraddittorio con gli oggetti e più in generale con la cultura del consumo.

La rappresentazione della corporeità muove anche le riflessioni di Giovanna Maina e Federico Zecca, i quali, citando quella che Bauman definisce l’«ossessiva preoccupazione» [La società individualizzata, Bologna, il Mulino, 2001, p. 253] per il corpo tipica della tarda modernità, si focalizzano sulle modalità con cui esso viene configurato nella commedia italiana degli anni Ottanta. La frequente esposizione della fisicità attoriale, soprattutto femminile, instaura possibili connessioni con la messa in scena dei generi sessuali, sottoposti ad alterazioni e ibridazioni rispetto ai canoni.

Alcuni film del periodo sono riconducibili sotto l’aspetto visivo a contesti sociali e culturali tipici dell’esperienza giovanile. Lo dimostra Rossella Catanese considerando Pirata! Cult Movie (Paolo Ciaffi Ricagno, 1984) un «esempio di rimediazione cinematografica» (p. 53) in virtù del dialogo che il film instaura con diverse forme di linguaggi visivi (videoclip, computer grafica e fumetti) e audiovisivi (soprattutto la musica rock e lo stile punk). Sulla stessa scia di riflessioni Valerio De Simone individua in Sposerò Simon Le Bon (Carlo Cotti, 1986) «una delle pellicole che meglio riesce a incarnare l’essenza socioculturale di una parte della gioventù italiana negli anni Ottanta» (p. 61). Il film, rappresentativo delle mode dell’epoca e del genere del teen movie allora in auge, ha per protagoniste due adolescenti che manifestano una ricerca di emancipazione e di autoaffermazione anche attraverso la cura del corpo e della propria immagine.

Giuseppe Previtali propone di riconsiderare la rappresentazione di corporeità «sessualmente altre» (p. 75) nel controverso filone dei mondo movies, là dove in alcune produzioni degli anni Ottanta l’insistenza su immagini oscene si lega al desiderio di impressionare gli spettatori tipico del film d’exploitation.

Sul versante televisivo, Sara Martin e Jacopo Tomatis si soffermano sulla promozione di personaggi e programmi ancora vivi nell’immaginario nazionale. Martin riflette sul ruolo del costumista Luca Sabatelli (nipote della celebre Maria De Matteis) nella costruzione di figure iconiche quali Raffaella Carrà mediante la cura del loro look. Tomatis analizza le nuove modalità di presentazione del Festival di Sanremo inaugurate nel 1980, ovvero da quando la sua emittente principale non è più la radio, ma la televisione, la cui impostazione determina l’egemonia dell’aspetto visivo e spettacolare su quello musicale.

Nella sezione Inchieste, Riccardo Fassone compie una ricognizione della produzione e della fruizione di videogiochi, in un contesto di sviluppo tecnico e professionale spesso guidato da autonome iniziative dei giovani. Matteo Pollone fa un excursus dello stato del fumetto italiano negli anni Ottanta, caratterizzato da una significativa diffusione e differenziazione, oltre che da una presa di coscienza in prima e in terza persona ad opera di affermati autori e di illustri studiosi (su tutti Umberto Eco). Il caso dell’editore Sergio Bonelli è esemplificativo della massiccia entrata dell’immaginario cinematografico nelle sceneggiature dei fumetti e nelle scelte di “messa in quadro”: una forma di osmosi unilaterale.

Ivan Molitermi mette in rilievo un altro paradosso: benché negli anni Ottanta il numero degli spettatori diminuisca, il versante teorico-critico si potenzia attraverso una significativa crescita degli spazi editoriali e un aggiornamento delle prospettive di studio.

Chiudono il volume due rubriche dedicate ai temi dell’archivio e della formazione. Nella prima Luca Pallanch intervista Flavia Morabito in merito ai cosiddetti “film dell’articolo 28”, realizzati con il sostegno della legge 1213 del 1965, che proprio dagli anni Ottanta vengono affidati in gestione al Centro Sperimentale di Cinematografia. Dialogando con Alfredo Baldi, Sila Berruti approfondisce la portata del rinnovamento didattico – ma anche editoriale, che ha coinvolto la stessa «Bianco e Nero» – avviato in quel decennio da Giovanni Grazzini, succeduto a Rossellini nel ruolo di direttore del CSC.

In sintesi questo numero dimostra un vivace interesse per una lettura trasversale dei media, attuata attraverso il riferimento al contesto della cultura visuale, in grado di favorire nuove riflessioni, ponendosi in ogni caso, secondo le parole dello stesso Malavasi, «dalla parte delle immagini» (p. 14).


di Eleonora Sforzi


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