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Caterina Pagnini

Il teatro del Cocomero a Firenze, 1701-1748

Storia dello spettacolo. Collana diretta da Siro Ferrone. Saggi 24

Firenze, Le Lettere, 2017, 272 pp., euro 26,00
ISBN 9788893660013

Pubblichiamo di seguito l’“Introduzione” dell’autrice al volume.

Il presente volume si inserisce nell’ambito delle indagini sulla nascita e lo sviluppo delle attività spettacolari nelle accademie, che dalla fine del Cinquecento cominciano a proliferare presso le maggiori corti italiane all’ombra della protezione delle famiglie regnanti. La storia dell’accademia degli Infuocati e della sua attività impresariale presso il teatro del Cocomero, per l’arco cronologico identificato (1701-1748), viene ricostruita a partire da un inquadramento generale della realtà spettacolare fiorentina della fine del Seicento e dalla ricostruzione del panorama accademico della Firenze della seconda metà del secolo, con particolare riguardo al panorama dei teatri pubblici coevi e con riferimento alla cornice culturale che fa da sfondo alla nascita della «conversazione» e al suo successivo sviluppo e consolidamento.

In questo particolare contesto storico-sociale si inserisce la dinamica e complessa vicenda del teatro del Cocomero, la cui definitiva fondazione come ente pubblico teatrale (1701) deve necessariamente far riferimento all’alternanza delle accademie che vi agirono nei primi anni (dalla metà del Seicento fino al trasloco degli Infuocati del 1669), a partire dalla prima istituzione locataria del teatro, l’accademia degli Immobili, protetta dal cardinale Giovan Carlo de’ Medici. Nel 1649, infatti, la nobile famiglia Ughi aveva affittato alla «conversazione» alcuni locali del suo palazzo di via del Cocomero; gli accademici vi si stanziarono dal 1650 al 1654, pagando, con l’aiuto del principe Medici, sia l’affitto che un primo adattamento dello stanzone. Nel 1654, dopo il trasferimento degli Immobili al teatro della Pergola (gli accademici continuano comunque ad usufruire dello stanzone del Cocomero come sala secondaria per messinscene e banchetti), in via del Cocomero subentrano i Sorgenti, anch’essi protetti da Giovan Carlo, e vi rimangono fino al 1664 quando, morto il cardinale protettore, abbandonano definitivamente il Cocomero. Come ha ricostruito Daniela Sarà attraverso lo spoglio di fonti primarie inedite,[1] da questo momento lo stanzone delle commedie vede una fase di alterne gestioni, prima da parte dei Fortunati (aprile-luglio 1664), poi dei Cimentati (luglio 1664-novembre 1667), infine dagli Abbozzati (novembre 1667-maggio 1669), protetti dal principe Leopoldo, fratello del granduca Ferdinando II.

Nel 1669 la locazione degli edifici di via del Cocomero e la gestione dell’attività teatrale sono definitivamente rilevati dall’accademia degli Infuocati, un consesso formatosi già nel 1652, come associazione a scopo ricreativo, e attivo a livello spettacolare al teatro della Volta degli Spini nel quartiere di Santa Trinita già dal 1664.[2] Con il definitivo trasloco nella nuova sede di proprietà della famiglia Ughi, l’accademia degli Infuocati, allora sull’orlo di un tracollo finanziario conseguente alla sperimentazione della gestione spettacolare diretta, viene rifondata e risollevata economicamente grazie all’intervento del granprincipe Ferdinando, figlio del granduca Cosimo III. L’intervento formale nel 1701 le conferisce finalmente la protezione ufficiale, con la quale il teatro del Cocomero diventa vero e proprio “ente pubblico” teatrale riconosciuto dal governo granducale, con una gestione spettacolare sempre più impresariale; una realtà che con la sua proposta dinamica, variegata e intensa – commedie in prosa di comici e drammi in musica – sopravanzerà di gran lunga la produzione e l’attività del teatro della Pergola. Il più istituzionale dei teatri fiorentini, infatti, comincerà a rallentare la sua produzione per poi cessarla alla fine del ’600, fino alla riapertura del 1718.

Nel 1737 la morte di Gian Gastone, l’ultimo Granduca di casa Medici, determina l’estinzione della dinastia e il passaggio del Granducato di Toscana nelle mani di Francesco Stefano di Lorena; di lì a poco, con il matrimonio fra il duca lorenese e l’arciduchessa Maria Teresa d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo VI, la capitale fiorentina e tutte le province del regno sono assimilate di fatto al governo centrale di Vienna. Il passaggio alla nuova dinastia straniera si presenta traumatico, soprattutto per la città di Firenze, anche perché Francesco Stefano, uomo di grandi qualità intellettuali, diplomatiche e politiche, sarà per i suoi sudditi un Granduca “invisibile”. Non risiedendo mai nei suoi territori, impegnato nelle ben più complicate questioni imperiali, soprattutto dopo l’elezione al soglio della consorte nel 1745, il sovrano decide infatti di delegare il governo del Granducato a un Consiglio di Reggenza, presieduto prima da Marc de Beauvau, principe di Craon, e poi dal conte Emmanuel de Richecourt.

L’accademia degli Infuocati, che nonostante i legittimi timori si vedrà subito riconfermata nella dignità di ente statale con la protezione accordata dal granduca Francesco Stefano, continuerà la sua attività di gestione teatrale sotto il rigido controllo del Consiglio di Reggenza; una situazione che all’inizio non mancherà di provocare contrasti e fraintendimenti ma che presto porterà i suoi frutti, sia economici che logistici, grazie alla pragmatica politica di riassetto generale e particolare del governo lorenese. Seppur limitante rispetto all’ampio raggio di movimento concesso dalla più condiscendente protezione medicea, il programma di riordinamento lorenese servirà ad accompagnare negli anni il teatro del Cocomero nella costruzione di una sua precisa identità, secondo un processo graduale ma “inesorabile” nella direzione di un suo definitivo inquadramento all’interno della produzione teatrale cittadina. Un progetto dettagliatamente perseguito, passo per passo, dall’amministrazione della Reggenza e culminato nella promulgazione del nuovo regolamento sui teatri pubblici del 1748, sintesi delle precedenti leggi lorenesi sulla concorrenza teatrale e discrimine finale per l’ambito di competenza dei due teatri pubblici principali della città.

Tale promulgazione ha rappresentato un’appropriata e utile demarcazione dell’arco temporale della nostra indagine, in quanto momento critico e significativo per la storia dell’accademia degli Infuocati e conseguentemente per quella del teatro del Cocomero da essa gestito.[3] In conseguenza dell’atto ufficiale lorenese, infatti, il teatro della Pergola (degli accademici Immobili) viene consacrato a tempio dell’opera in musica, con il diritto di prelazione per la maggior parte delle stagioni annuali, mentre il teatro del Cocomero (degli accademici Infuocati) lo affianca nella variegata produzione di spettacoli in prosa, di intermezzi musicali e (limitatamente ad alcune stagioni) anche opere in musica. Sono programmate anche feste da ballo, di evidente ispirazione viennese e sempre più in voga dalla seconda metà del Settecento in poi.

La singolarità dell’esperienza impresariale degli Infuocati va spiegata con le specifiche condizioni della vita spettacolare a Firenze nel corso del secolo precedente. L’intensificarsi degli spettacoli promossi dal mondo accademico, infatti, aveva rappresentato uno dei punti di forza e dei fattori propulsivi della vita artistica e culturale nel capoluogo toscano: basti pensare al ruolo svolto dall’accademia dei Bardi e dagli Alterati nella nascita del melodramma e alle vicissitudini dell’accademia dei Concordi (poi divenuta degli Immobili) al tempo della fondazione del teatro del Cocomero (1650) e del teatro della Pergola (1656). Un inedito sistema di rapporti tra committenza signorile, mercatura teatrale e società civile, destinato a svilupparsi ulteriormente nel Settecento grazie al successo del nuovo genere dell’opera in musica, che ebbe il suo battesimo ufficiale proprio alla corte medicea.

A partire dal secondo e terzo decennio del Seicento, a Firenze il clima di generale difficoltà che aveva indirizzato l’attenzione del governo di Cosimo II verso problematiche politiche più contingenti, nonché la forte impronta di realismo che caratterizzerà gran parte delle scelte del successore di Ferdinando I, aveva determinato la progressiva riduzione della cadenza degli spettacoli di corte e il graduale allentamento del controllo granducale sulla spettacolarità cittadina, permettendo alle associazioni, alle compagnie e alle accademie di divenire luogo privilegiato di sperimentazioni spettacolari dai risultati drammaturgici e tecnici di notevole livello. Fu, quello, il tempo di una feconda commistione di esperienze pratiche e speculazioni teoriche, dilettantismo e professionismo attorico, aulici livelli artistici e “basse” competenze artigianali, consensi ricevuti e clamorosi fallimenti: elementi ascrivibili a un fenomeno che veniva sempre più ad associarsi alla vita culturale delle più importanti corti italiane, arricchendone la produzione artistica e spettacolare.

Durante la reggenza congiunta di Maria Maddalena d’Austria e Cristina di Lorena (1621-1628), alla morte di Cosimo II, le numerose accademie fiorentine (fra le più vitali gli Incostanti di Jacopo Cicognini, gli Infiammati, gli Storditi, i Rugginosi, la Confraternita dell’Arcangelo Raffaello) dovettero sostenersi in un clima culturale piuttosto “slegato” dall’interessamento e dal controllo mirato della casa regnante. Il successivo regno di Ferdinando II, pur prevalentemente assorbito dal governo politico del Granducato, vide l’ulteriore rafforzarsi della valenza spettacolare dell’associazionismo cittadino, divenuto di fatto la «terza forza nella sinergia dello spettacolo fiorentino […] accanto al teatro di corte e a quello professionale».[4] La politica granducale si riappropria, così, di una delle più dinamiche realtà sociali del regno in forma più moderna, mitigando la sua azione di controllo con la concezione di ampi spazi di autonomia alle forze produttive degli eventi spettacolari. Principali referenti, “consapevoli impresari” e intermediari di questo complesso sistema di interrelazione fra i diversi livelli della produzione artistica cittadina e delle maestranze coinvolte, furono i membri cadetti della famiglia medicea: a partire da don Giovanni di Cosimo I,[5] per continuare con don Lorenzo e Carlo di Ferdinando I, fino ad arrivare a Giovan Carlo, Mattias e Leopoldo di Cosimo II, Francesco Maria di Ferdinando II, Ferdinando di Cosimo III e al principe Gian Gastone di Cosimo III, ultimo Granduca di Toscana.

Con un processo iniziato già dai primi decenni del secolo XVII, le accademie e i vari sodalizi fiorentini avevano cominciato a prendere possesso dei preesistenti teatrini privati della città che, dislocati piuttosto omogeneamente nel tessuto urbano, erano in condizione di soddisfare le esigenze dei diversi pubblici; ben presto, infatti, in un primo periodo di programmazione rigorosamente a inviti, i consessi più prestigiosi, investendo in proprio e con l’aiuto decisivo del principe protettore, erano riusciti ad affrancarsene e a trasferirsi in nuovi spazi spettacolari appositamente edificati. Alla fine del Seicento, Firenze si trovò così dotata di tre edifici teatrali principali: il teatro di via del Cocomero, quello della Pergola (che ospitano, più o meno stabilmente, le accademie cittadine più prestigiose e spettacolarmente attive: quella degli Infuocati e quella degli Immobili), e il teatro di Corso de’ Tintori.[6]

Nell’arco cronologico che va dalla fine del ’500 fino a quasi tutto il ’700 si determina un fecondo humus per la vita performativa in Firenze.

Il complesso intreccio di relazioni semi-professionistiche e professionistiche strettamente legato alla rappresentanza ufficiale di Stato, non ha conosciuto, negli anni trascorsi, un’adeguata indagine, soprattutto per la mancanza di una sufficiente e ordinata piattaforma documentale. Oltre alle innegabili difficoltà materiali della ricerca va considerato che il periodo preso in esame coincide con gli ultimi anni del potere mediceo a Firenze: un momento storico particolarmente delicato per il sistema politico del Granducato, fino ad oggi considerato come espressione emblematica del decadimento della stirpe regnante. Di qui, il progressivo oscuramento delle figure degli ultimi Medici, giudicate dalla storiografia non assimilabili alle grandi personalità dei predecessori. Accanto a Granduchi “decaduti”, come Cosimo III e Gian Gastone, particolarmente penalizzate risultano le figure degli ultimi principi medicei, in special modo i cadetti. Già da qualche tempo questa tendenza critica è stata rettificata secondo una più corretta prospettiva storiografica. Per quanto pertiene alla storia dello spettacolo i recenti studi di Sara Mamone e del suo gruppo di ricerca, condotti sulla base di un’attenta rilettura critica delle fonti primarie, hanno indicato una revisione dei giudizi intorno ai principi medicei Giovan Carlo, Mattias e Leopoldo, ai cardinali Carlo e Francesco Maria e del granprincipe Ferdinando, nonché al riesame delle figure delle Granduchesse: tutti personaggi di primaria importanza all’interno del sistema spettacolare-impresariale della politica dinastica.[7]

È proprio sotto la protezione medicea, infatti, che l’accademia degli Infuocati conosce il periodo di maggiore prosperità, soprattutto per quanto riguarda la libertà concessa dal governo granducale nella gestione del gioco d’azzardo, principale fonte di guadagno, ufficialmente solo tollerata ma di fatto caldeggiata dai principi protettori. Questa politica permette all’accademia notevoli introiti che le assicurano una tranquilla sopravvivenza, dandole discreto potere nei confronti degli impresari e delle compagnie di comici che di volta in volta richiedono l’uso del teatro del Cocomero. Non è un caso che proprio sotto il governo mediceo gli Infuocati, forti di una situazione finanziaria florida, decidono di intraprendere l’unica esperienza di gestione spettacolare diretta (relativamente al periodo preso in esame), quella per il carnevale 1730-1731. Tale gestione coinvolge «in solido» tutti gli accademici in collaborazione con l’impresario Antonio Guerretti: i libri contabili della «conversazione» riportano con accuratezza i dettagli delle singole spese. Negli anni i protettori medicei, in special modo il granprincipe Ferdinando, avevano sempre caldeggiato un diretto coinvolgimento degli accademici nella gestione dello stanzone; ma gli Infuocati avevano stentato sempre ad intraprendere quel passo, memori di trascorse esperienze che – benché antecedenti al trasferimento in via del Cocomero e quindi realizzate in un momento in cui non godevano ancora della protezione della famiglia regnante – avevano portato il sodalizio al tracollo finanziario.[8]

L’analisi dei documenti accademici e il regesto dei materiali a stampa relativi agli allestimenti di opere in musica realizzati al teatro del Cocomero per tutto il periodo del governo mediceo, fino al 1737, hanno messo in luce l’indiscussa centralità del teatro del Cocomero degli accademici Infuocati nell’ambito della proposta spettacolare cittadina, centralità che ne fa una delle maggiori realtà produttive nel panorama teatrale di stampo pubblico-impresariale anche a livello dei circuiti italiani. Il teatro della Pergola gestito dagli accademici Immobili – riaperto dopo un lungo periodo di inattività soltanto nel 1718 grazie all’interessamento del principe Gian Gastone, che poi ne era diventato protettore – comincerà lentamente a riprendere il suo spazio all’interno dell’offerta cittadina, mai eguagliando però per dinamicità e soprattutto per diversificazione degli spettacoli proposti il teatro degli Infuocati.

Il fondo Teatro Niccolini-Accademia degli Infuocati, punto focale di riferimento per la nostra ricerca, è conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Firenze e contiene un patrimonio documentale particolarmente ricco per quantità e qualità, raccogliendo tutte le fonti relative all’amministrazione dell’accademia e alle stagioni teatrali del Cocomero, alle ristrutturazioni dell’edificio teatrale nonché alle varie pratiche sottoposte alla cancelleria medicea e lorenese. La ricerca documentaria si è pertanto concentrata sull’analisi capillare del fondo, per la maggior parte inedito, affiancandola alla consultazione parallela di fonti di prima mano.[9] A questo riguardo si è ritenuta essenziale la testimonianza dei Diari di Giovan Battista Fagiuoli (attore, drammaturgo e funzionario vescovile a stretto contatto con i Medici), indispensabile per un riscontro con i dati emersi dai libri accademici per quanto riguarda la programmazione teatrale dello stanzone di via del Cocomero. Parallelamente allo spoglio archivistico si è proceduto al regesto del repertorio del teatro del Cocomero per il periodo preso in esame, tramite la consultazione e la trascrizione del materiale a stampa relativo ai libretti delle rappresentazioni in musica (per la maggior parte conservati nel Fondo Gasperi presso il Museo internazionale e Biblioteca della musica di Bologna, oltre che nella Biblioteca Marucelliana e nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze). Considerando la vastissima offerta spettacolare che l’accademia degli Infuocati propose durante la sua gestione del teatro di via del Cocomero per il periodo preso in esame – drammi, burlette, intermezzi in musica e rappresentazioni in prosa dei comici dell’arte – e che è stata dettagliatamente ricostruita attraverso lo spoglio dei documenti archivistici comparati con le fonti a stampa, si è ritenuto opportuno organizzare tutto il repertorio in una Cronologia degli spettacoli a integrazione del lavoro critico. Tale appendice è stata concepita in modo da ordinare cronologicamente tutti i titoli e le tipologie spettacolari ripercorse per ogni stagione, con riferimento, ove possibile, alle identità degli interpreti e degli autori dei libretti e delle partiture musicali. Si sono evidenziati altresì i nomi degli impresari organizzatori o delle compagnie di comici, mirando a integrare la trattazione con un quadro di informazioni che aiuti a far chiarezza sulla vastità produttiva del teatro del Cocomero.

Si intende quindi presentare con questo lavoro un tassello nella più vasta e cronologicamente assai durevole vicenda del teatro, auspicando che questa ricerca contribuisca a sollecitare indagini successive.



[1] Per la ricostruzione della genesi del teatro del Cocomero e dell’alternarsi delle varie accademie fino alla rifondazione del 1701 si rimanda a D. SARÀ, Le carte Ughi e il primo cinquantennio di attività del Teatro del Cocomero a Firenze (1650-1701), Università degli Studi di Firenze, tesi di dottorato in Storia dello Spettacolo, tutor S. Mamone, 2006, II.1, II.2.e II.3.

[2] L’accurata indagine di Daniela Sarà (Le carte Ughi, cit.) ha rappresentato il punto di partenza per la presente trattazione, essendo appunto focalizzata sull’arco di tempo che va dal 1650 al 1701, riguardo le successive gestioni dello stanzone di via del Cocomero attraverso l’analisi del fondo della famiglia Ughi proprietaria degli immobili. Nell’importante apporto decretato dal suo lavoro, Sarà ha, fra l’altro, ridimensionato l’attività teatrale degli Immobili al Cocomero nel periodo della loro gestione (dal 1650 al 1654), riferendola all’esclusivo allestimento di commedie all’improvviso e non di opere in musica, ed escludendo, quindi, un loro qualsivoglia coinvolgimento in sperimentazioni del tipo impresariale-veneziano. Cfr. ibid., passim ma in particolare II.1, II.4 e relativa Appendice documentaria. Sul fondo documentario relativo all’accademia degli Immobili si veda L’Accademia degli Immobili “Proprietari del Teatro di Via della Pergola in Firenze”, inventario a cura di M. ALBERTI, A. BARTOLONI e I. MARCELLI, Roma, Edifir, 2010.

[3] Per l’indagine sul proseguimento dell’attività dell’accademia fino al 1800 si rimanda all’esauriente trattazione di G. VILLA, «Qua numina voce moveret?». Spettacolo e società al Regio Teatro del Cocomero in epoca lorenese (1748-1799), Università degli Studi di Firenze, tesi di dottorato in Storia dello Spettacolo, tutor S. Mamone, 2012.

[4] S. MAMONE, Dèi, semidei, uomini. Lo spettacolo a Firenze tra neoplatonismo e realtà borghese (XV-XVII secolo), Roma, Bulzoni, 2003, p. XIII.

[5] Cfr. S. FERRONE, Attori, mercanti, corsari. La Commedia dell’Arte in Europa fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 2011 (I ed. 1993), IV.

[6] Si veda infra, PARTE PRIMA, I.1.

[7] Sul ruolo fondamentale svolto dalla protezione e dal mecenatismo degli eredi di Cosimo II, in particolare Giovan Carlo e Mattias, si faccia riferimento a S. MAMONE, Most Serene Brothers-Princes-Impresarios: Theatre in Florence between the Management and Protection of Mattias, Giovan Carlo and Leopoldo de’ Medici: l'“affaire” Sardelli, in «Journal of Seventeenth-Century Music», IX, 2003, 1, on line; ID., Serenissimi fratelli principi impresari. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei. Carteggi di Giovan Carlo de’ Medici e di Desiderio Montemagni suo segretario (1628-1664), Firenze, Le Lettere, 2003; e ID., Mattias de’ Medici serenissimo mecenate dei virtuosi. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei. Carteggio di Mattias de’ Medici (1629-1667), Firenze, Le Lettere, 2013. Si vedano, inoltre, gli studi scaturiti dal progetto di ricerca promosso da Sara Mamone: per Mattias A. MARETTI, Dal teatro del principe alla scena dei virtuosi: indicazioni sul mecenatismo di Mattias de’ Medici (1629-1666), in «Medioevo e Rinascimento», VI / n.s. III, 1992, pp. 195-210; per Leopoldo A. ALESSANDRI, Il carteggio di Leopoldo de' Medici come fonte per la Storia dello Spettacolo, Università degli Studi di Firenze, tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, rel. S. Mamone, a.a. 1999-2000; sulla figura del cardinale Francesco Maria cfr. F. FANTAPPIÈ, «Un garbato fratello et un garbato zio». Teatri, cantanti, protettori nell’epistolario di Francesco Maria Medici (1680-1711), tesi di dottorato in Storia dello Spettacolo, Università di Firenze, rel. prof. S. Mamone, 2004; per il mecenatismo del granprincipe Ferdinando e della consorte Violante Beatrice di Baviera cfr. L. SPINELLI, Il principe in fuga. Mecenatismo, collezionismo e impresariato teatrale dell’ultimo Granprincipe Ferdinando de’ Medici, Università degli Studi di Firenze, tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, rel. S. Mamone, 2001-2002; ID., «Chissa è ’na vera principessa»: Violante Beatrice di Baviera nel tramonto della spettacolarità medicea (1689-1731), Università degli Studi di Firenze, tesi di dottorato in Storia dello spettacolo, tutor S. Mamone, 2008 e ID., Il principe in fuga e la principessa straniera. Vita e teatro alla corte di Ferdinando de' Medici e Violante di Baviera (1675-1731), Firenze, Le Lettere, 2010. Un precedente caso di “impresariato” mediceo è ascrivibile al cardinale Carlo, figlio di Ferdinando I, ben analizzato e delineato nello studio di B. VANNINI, Carlo de’ Medici (1596-1666): “Novello Ulisse nel giardino di Alcinoo”. Il carteggio di un cardinale per la Storia dello Spettacolo, Università degli Studi di Firenze, tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, rel. S. Mamone, a.a. 2002-2003. Per il mecenatismo mediceo in campo collezionistico si veda Collezionismo mediceo e storia artistica, a cura di P. BAROCCHI e G. GAETA BERTELÀ, Firenze, SPES, 2002-2011, 4 voll.

[8] Dagli archivi dell’accademia risulta che inizialmente gli Infuocati avevano pensato a una produzione diretta solo per l’autunno-carnevale 1723. Questa prima dell’esperienza della stagione carnevalesca del 1730-1731, organizzata, come si vedrà, con un notevole coinvolgimento di risorse per l’allestimento di ben cinque opere in musica fra drammi e burlette. Cfr. infra, PARTE SECONDA, II.2.

[9] Per la trascrizione pressoché integrale dei documenti del fondo utili a ricostruire l’attività del teatro del Cocomero e dell’accademia degli Infuocati si rimanda a C. PAGNINI, Gli Infuocati di Firenze: un’accademia tra i Medici e i Lorena, Università degli Studi di Firenze, tesi di dottorato in Storia dello spettacolo, tutor S. Mamone, 2007.



di Caterina Pagnini


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