Il secondo numero del periodico edito da il Mulino si apre con un
contributo di Martina Gandolfi (sezione Forme, stili,
figure) su Lyda Borelli nelle arti tra Ottocento e
Novecento. La scoperta di un catalogo iconografico di materiali inediti
relativi alla diva del cinema muto, contenente uno straordinario numero di
caricature, illustrazioni e ritratti, consente di capire meglio le ragioni
della popolarità dellattrice e la sua influenza nella cultura, nellarte e nel
cinema. Nella sezione Archivio, Luca Mazzei indaga i
rapporti tra letteratura e cinema nel primo Novecento, analizzando cinque
racconti di fantasia accomunati dalla presenza di un personaggio-spettatore
che, svenuto per lo shock provocatogli dalle immagini in movimento, si
risveglia allinterno del film che sta guardando. Uno stratagemma meta
letterario che innesca una prospettiva raramente utilizzata dalla storiografia
cinematografica, che apre nuove riflessioni sullaffermazione della settima
arte e di nuove forme di spettatorialità. Francesco Bono indaga un periodo poco noto del cinema nostrano, quello degli anni
Trenta, nel contesto delle frequenti cooperazioni tra Italia e Austria frutto
degli sforzi della neonata Direzione Generale per la Cinematografia (DGC) per
far riguadagnare una reputazione internazionale al cinema italiano dopo la
crisi degli anni Venti. Il cosiddetto “asse Roma-Vienna” coincide con una
stagione breve (1934-1936) ma centrale nella storia del cinema sotto legida
del fascismo, coinvolgendo registi come Carmine Gallone, Augusto
Genina e Goffredo Alessandrini. Lorenza di Francesco si occupa de La cavia (1962),
sceneggiatura mai realizzata di Cesare Zavattini. Mettendo a
confronto i materiali del progetto (conservati nellarchivio Zavattini alla
biblioteca Panizzi di Reggio Emilia) con il successivo lavoro zavattiniano (Il
boom di Vittorio De Sica, 1963), si tracciano le
coordinate di quel “cinema della crudeltà” di cui La Cavia doveva
costituire il primo esperimento. Nella sezione Camera, Caterina Martino prende
in esame la fotografia “concettuale” italiana degli anni Sessanta e Settanta.
Lopera dei fotografi Franco Vaccari, Luigi Ghirri e Ugo
Mulas sembra stabilire un dialogo con quella degli americani Sol
LeWitt, Joseph Kosuth, Vito Acconci, sotto il segno
di unironia innovativa figlia dei “ready-made” duchampiani. Nella rubrica Racconto contemporaneo, Stefano Adamo propone
unanalisi dei film di mafia italiani a partire dalle modalità con cui le
vittime vengono consegnate alla memoria collettiva. Secondo tale prospettiva,
la figura di Placido Rizzotto nellomonimo film di Pasquale
Scimeca (2000) e quella di Peppino Impastato ne I
cento passi di Marco Tullio Giordana (2000) avrebbero
avuto il merito di sensibilizzare il grande pubblico alle istanze del movimento
culturale anti-mafia degli anni Novanta. Infine Roy Menarini evidenzia come alcune recenti media
productions, di ambito sia televisivo che letterario, abbiano trasformato
la storia giudiziaria italiana in una «New Italian Epic» (p. 266), aprendo a
nuove possibili interpretazioni dei cambiamenti in atto nella società italiana
contemporanea.
Raffaele Pavoni
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