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Theaterheute, Nr. 10, Oktober 2016


64 pp., euro 14,00
ISSN 0040 5507

Apre questo numero della rivista la consueta rassegna di Aufführungen, lo spazio riservato alle recensioni delle produzioni teatrali di maggiore interesse realizzate nei paesi di lingua tedesca. L’attenzione si concentra sulla scena berlinese: alla Schaubühne Milo Ran ha allestito Empire, novità che completa Europe-Trilogie. Nel testo si intrecciano frammenti visionari dell’Europa contemporanea e citazioni biografiche dello stesso autore-regista che si avvale della presenza di qualificati attori quali Ramo Ali, Rami Khalaf, Maia Morgenstern, Akilas Karazisis.

Il Maxim Gorki Theater ha ospitato il debutto di Denial, ideazione di Yael Ronen strutturata sulla base di una sequenza di quadri dedicati alla memoria del protagonista nelle fasi cruciali della sua esistenza. Il linguaggio racconta un mondo travagliato e complesso con frequenti situazioni comiche assunte con maestria dagli interpreti, tra i quali si riconoscono Oscar Olivo, Dimitrij Schaad, Maryam Zaree e Orit Nahmias.

La stagione dello Schauspiel di Francoforte si è inaugurata con Iphigenie di Ersan Mondtag. Si tratta di un adattamento in chiave moderna di Ifigenia in Tauris di Goethe con Björn Meyer e Sylvana Seddig incisivi e applauditi protagonisti. Segue Königin Lear, rifacimento al femminile del corrispettivo King Lear di Shakespeare e calato nel contesto di una famiglia moderna. Il testo del belga Tom Lanoye si può leggere in versione integrale nella sezione Das Stück di questo numero. La regia asciutta e minimale porta la firma di Kay Voges mentre il ruolo del titolo è assunto da Josefin Platt affiancata da Viktor Tremmel, Lukas Rüppel, Carina Zichner, Verena Bukal.

Anche le produzioni viennesi spiccano per qualità come Das Narrenschiff, rielaborazione drammaturgica dell’omonimo romanzo di Anne Porter (1962) da parte di Roland Kobert e trasferito sul palcoscenico del Volkstheater da Dušan David Pařízek. Jan Thümer, Gábor Biedermann, Lukas Holzhausen, Syneb Saleh e Rainer Galke sono gli attori principali.

Il prestigioso Burgtheater ha alzato il sipario della nuova stagione con la rappresentazione del beckettiano Endspiel che Dieter Dorn affronta nel rispetto totale della fedeltà al testo e lo consegna all’estro espressivo di Nicholas Ofczarek, Michael Maertens, Barbara Petrisch e Joachim Bissmeier.

Alla rassegna Festivals la rivista berlinese dedica ampio spazio. Ben documentata è la manifestazione Ruhrtriennale, dal cartellone della quale spicca la messinscena di Die Fremden di Johnas Simons che corrisponde alla riduzione teatrale del romanzo di Camus Der Fall Meursault – eine Gegendarstellung secondo il lavoro drammaturgico di Kamel Daoud. Tra i tanti altri spettacoli meritano doverosa segnalazione Alceste di Christoph Willibald Gluck (regia ancora di Simons), l’installazione Nicht schlafen di Alain Platel e Steven Prengels.

Il teatro d’avanguardia è stato l’elemento trainante della berlinese Foreign Affairs. Nel cartellone figuravano infatti nomi di spicco come Frank Van Laecke con En avant, marche!; Forced Entertainment con From the Dark, per la durata di ventotto ore; e Jan Lauwers con The Blind Poet e il collettivo Nature Theater of Oklahoma.

Si prosegue con il festival di Avignone, annuale ritrovo per artisti di spessore internazionale che si è puntualmente rinnovato anche in questa edizione caratterizzata da una singolarità: la presenza di spettacoli lunghissimi quasi ad alimentare una sfida per il primato della durata, alla quale partecipano Ariane Mnouchkine con Ephémères (otto ore), Peter Brook (Mahabharata, per la durata di undici ore), Antoine Viter con le dodici ore di Der seidene Schuh seguito da Thomas Jolly e le sue diciotto ore per Heinrich VI e da Olivier Py e La Servante dalla lunghezza record di ventiquattro ore. Spiccano altri spettacoli di notevole rilievo artistico come Die Brüder Karamasow nell’adattamento dell’omonimo romanzo di Dostoevskij da parte di Jean Bellorini e l’interpretazione di Marc Plas e Geoffroy Rondeau; 2666 dalle pagine di Roberto Bolańo secondo la riscrittura di Julien Gosselin e Die Verdammten da Luchino Visconti con Christophe Montenez e Éric Génovèse ben diretti dalla regia di Ivo Van Hove.

András Siebold, direttore del festival di Amburgo ha accorpato una serie di interessanti proposte che trattano il tema del confine usando i molteplici linguaggi dello spettacolo. In Auguri di Olivier Dubois e in Monument 0.1: Valda & Gus di Eszter Salamon domina la danza; I know it when I see it del regista israeliano Jason Danino Holt e del musicista Thies Mynther è un musical dedicato all’industria pornografica. Fiore all’occhiello della rassegna è costituito dal circense The Greatest Show on Earth con Philippe Quesne, Meg Stuart, Eisa Jocson.

Conclude questo viaggio all’interno dei festivals la cronaca di Wiesbaden Biennale organizzata da Maria Magdalena Ludewig e Martin Hammer. Primeggiano la performance provocatoria di Dries Verhoeven ambientata in una chiesa e Tiago Rodrigues con By Heart.

In Theatergeschichte si legge un estratto dal libro di Deborah Victor-Engländer dedicato a Alfred Kerr – Die Biographie (Reinbek, Rowohlt, 2016). Il libro ripercorre la carriera del grande e influente critico teatrale attivo prevalentemente a Berlino e costretto all’esilio in età nazista.


di Massimo Bertoldi


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