Possono
il fonografo, la radio o il semplice carillon aver influenzato la scrittura
operistica di
Puccini? Ponendosi sulla scia dei sound
studies, che riconoscono il proprio campo di indagine nellinterazione tra
suono, tecnologie e cultura, con Puccinis
Soundscapes: Realism and Modernity in Italian Opera, – vincitore della
seconda edizione del Premio Rotary Giacomo Puccini Ricerca – Arman Schwartz propone una lettura inedita
di alcuni dei lavori più significativi del compositore lucchese. Lassunto di partenza è
che Puccini, come altri musicisti della generazione vissuta a cavallo tra Otto
e Novecento, abbia assistito a un periodo di profonda trasformazione
tecnologica della società, che avrebbe avuto un impatto non solo sulle forme di
produzione musicale, ma sulla composizione musicale stessa. È dunque il suono
così come lo si ascolta nelle opere di Puccini, con tutte le sue implicazioni
materiali, sociali ed estetiche, ad essere oggetto dellindagine di Schwartz: la
sua analisi, in relazione allo sviluppo delle tecniche
di registrazione e
riproduzione, porta lo studioso a nuovi esiti interpretativi sul realismo
musicale e sul rapporto del compositore con la politica e la modernità.
Il
discorso sul realismo e sull“oggettivismo sonoro” in Puccini e nei compositori
della Giovane Scuola affonda le sue radici nellesperienza artistica di Arrigo Boito, a cui viene dedicato il
primo capitolo. Nellanalizzare il rapporto che intercorre tra musica e
linguaggio nella produzione poetica e musicale di Boito, lo studioso individua
alcune costanti che rimandano a una particolare concezione del suono. Linteresse
per la fonazione, per il puro suono verbale, e più in generale il trattamento
del materiale sonoro nella direzione di una destrutturazione del linguaggio, fanno
sì che con Boito si affermi una “nuova acustica” in seno allopera italiana. Il
“materialismo acustico” del poeta-compositore anticipa
alcune delle preoccupazioni centrali del modernismo e costituisce il primo
modello italiano a cui gli autori della Giovane Scuola guarderanno per
sviluppare le istanze del verismo musicale.
In
che modo Puccini affronta la questione del suono in rapporto alle esigenze del
realismo, Schwartz lo spiega a partire da Tosca.
È qui che il compositore fa ricorso con sistematicità
a una serie di espedienti – come il canto fuoriscena, i
personaggi-performers, le campane – utilizzati
poi da altri compositori della Giovane Scuola per ottemperare
alle esigenze del
realismo, rendendo così più forte proprio quel nesso con il verismo letterario,
per lungo tempo messo in dubbio dagli studiosi. A definire meglio il realismo
pucciniano concorre per lappunto leffetto che i mezzi di riproduzione, e in particolare
il fonografo, hanno avuto sul suono. In Tosca
le campane, che intendono restituire
il paesaggio sonoro
di Roma, sono impiegate da Puccini con finalità ed
effetti analoghi ai
meccanismi di registrazione del suono del fonografo. «Come i fonografi conservano
voci da tempo scomparse – spiega lo studioso – anche le campane contengono
suoni di un passato distante, riproducendo esattamente lo stesso rumore di anni
prima» (p. 69).
Se
le prime opere di Puccini aspirano a un“oggettività fonografica”, i suoi
ultimi lavori manifestano un approccio alla realtà differente. Nella Trilogia si fa strada una “poetica della
distanza”: qui Puccini crea una seconda realtà acustica che vive fuori dalla
scena e che in Suor Angelica, opera a
cui Schwartz dedica maggiore attenzione, rievoca la sfera del trascendente. Le
modalità di comunicazione di Suor Angelica e Zia Principessa con laldilà,
secondo lo studioso, rimandano alle pratiche dello spiritualismo che si
affermano nei primi anni del Novecento e non ultimo a un “immaginario
radiofonico”.
A
Gianni Schicchi e a Turandot sono dedicati gli ultimi due
capitoli, in cui al discorso sul realismo si affianca quello politico. Schwartz
non condivide lopinione, sostenuta da Alexandra Wilson,
secondo cui Puccini avrebbe
avuto un atteggiamento passivo nei
confronti dellesperienza della prima guerra mondiale e del Fascismo. In Gianni Schicchi il modello dantesco,
mediato dalla scrittura librettistica di Giovacchino
Forzano – noto per il suo spiccato nazionalismo che sfociò poi
nelladesione al fascismo – assume il significato di un richiamo ai valori
della patria (con particolare riferimento alla questione irredentista) e si
salda al discorso sulla nazione che in quegli anni acquisiva toni viepiù protofascisti.
Lindagine sul nesso tra politica e suono in Turandot, invece, fa emergere non tanto unadesione esplicita di
Puccini allideologia del fascismo, quanto piuttosto il riflesso
di quelle stesse aspirazioni
moderniste che attraversavano la società italiana di quegli
anni.
La
meccanicizzazione dellespressione artistica, sempre affiancata al richiamo del
passato, propria dellestetica fascista (Schwartz porta come esempi
lesperienza del Carro di Tespi Lirico e il 18BL
tenutosi a Firenze nellaprile del 1924), costituisce
di fatto lessenza
prima di Turandot. Puccini crea un universo sonoro
fatto di meccanicità, ma anche di tradizione, avvalendosi questa volta delle
sonorità prodotte da un carillon cinese. Questo perché, spiega Schwartz a
conclusione del suo studio, «il carillon può essere considerato una
combinazione degli aspetti del fonografo e della radio. Da una parte offre una
promessa di oggettività, di immediato accesso ai suoni svaniti da tempo.
Dallaltra introduce “come per incantesimo” voci geograficamente remote in uno
spazio domestico. Contemporaneamente impersonale e magico, il carillon sembra
una tecnologia capace di riconciliare le pretese dellopera verista con la
poetica della distanza esplorata da Puccini nelle ultime sue opere» (p. 139).
di Elena Oliva
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