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Carlo Gozzi

La Marfisa bizzarra

A cura di Marta Vanore
Introduzione di Piermario Vescovo

Venezia, Marsilio, 2015, 772 pp., euro 38,00
ISBN 978-88-317-2185

A più di un secolo dalla sua ultima pubblicazione nella collana “Scrittori d’Italia”, La Marfisa bizzarra di Carlo Gozzi torna a vedere la luce nel contesto dell’Edizione nazionale delle opere del conte per i tipi del veneziano Marsilio. Il volume è curato da Marta Vanore con apparati ricchi e puntuali ed è impreziosito da una densa Introduzione di Piermario Vescovo. Quest’ultimo si sofferma profittevolmente sul rapporto di Gozzi con il nascente pensiero illuministico: appoggiandosi ai recenti studi di Bartolo Anglani (Che cos’è questa crisi? Divagazioni sul teatro di Goldoni e sui suoi interpreti, Ariccia, Aracne, 2015) e alla riflessione di Francesco Orlando (Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Torino, Einaudi, 1993), lo studioso individua nel poema di Gozzi il progressivo e inarrestabile trionfo del “non funzionale” di orlandiana memoria, esito dell’assimilazione mimetica prodotta dalle nuove idee. La loro diffusione e la sollecita accoglienza presso i diversi piani sociali genera il rifiuto dello scrittore aristocratico, per di più in crisi finanziaria, per la nuova letteratura e la filosofia borghese, le quali da Parigi penetrano in Italia insieme ai nuovi parametri della “moda” cittadina.

Composto in buona parte già nel 1761, quindi negli anni della prima produzione drammaturgica per la compagnia del Truffaldino Antonio Sacco, il poema faceto paracavalleresco fu pubblicato la prima volta da Gozzi per l’editore Colombani nel 1773, con falsa data 1772. Dal teatro la Marfisa eredita in parte la struttura della vicenda, sapientemente schermato dietro l’ottava rima: del resto, come per alcune delle più celebri (contemporanee) fiabe teatrali gozziane, l’“ossatura” del poema è derivata dall’omonimo componimento di Giovan Battista Dragoncino da Fano (1531). Dalle commedie di Carlo Goldoni e dai romanzi di Pietro Chiari Gozzi estrapola le sagome dei personaggi dei quali deride le abitudini e la cultura alla moda, di cui i due autori rivali sono peraltro incriminati fautori. Del teatro, infine, lo scrittore adopera la tecnica del travestimento quando impiega Parigi e l’epopea di Carlo Magno e Marfisa ambientata nell’anno 820 per parlare di Venezia e del suo tempo.

Sotto le spoglie di una metrica accattivante e di versi ben costruiti e divertenti la polemica gozziana si allarga a macchia d’olio su tutti i fronti, condannando la moda di mezzo Settecento come il virus di un’aleggiante crisi di valori. Le “gare teatrali” restano sapientemente sullo sfondo, in filigrana, retroterra caratteriale e intellettuale dei personaggi principali: il comportamento di Marfisa è modellato su quello delle eroine di Chiari-Marco, mentre Filinoro è uno spettatore ed emulo convinto dei personaggi di Goldoni-Matteo. La diffusione dei “libretti filosofici”, che dalla Francia stavano scendendo in Italia, è individuata da Gozzi come uno dei simboli di una moda che permette a tutti di “apparire” (nella doppia accezione di sembrare e mostrarsi) colti e aristocratici: così egli la condanna riducendola in termini narrativi a un simbolico accumulo di materiale eccedente, non necessario e sardonicamente grottesco.

La controversa vicenda di Marfisa e Filinoro si conclude con la morte per decollazione di quest’ultimo, dopo che da aspirante funzionario parigino è finito ciarlatano e uxoricida in Spagna, e con l’abbrutimento di Marfisa, ridotta nell’aspetto e nei modi a un’estrema caricatura di sé stessa. Ma la visione di Gozzi si fa ancor più tagliente nella descrizione del viaggio di ritorno della protagonista dalla Spagna alla Francia: l’autore vi mostra la decadenza della campagna (francese, ma con allusione a quella italiana), dove si è diffuso il morbo della moda proveniente dalla città per cui il superfluo prolifera nella corrotta e grottesca quotidianità contadina. Quello di Gozzi è uno sguardo amaro e divertito sulla Venezia della seconda metà del XVIII secolo, ma l’attualità della Marfisa bizzarra resiste nel tempo e mostra numerose “fotografie” anche dei nostri giorni. 


di Lorenzo Galletti


La copertina

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