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Georges Pitoëff
Introduction et choix de textes par Odette Aslan

Arles, Actes Sud-Papiers, 2016, 104 pp., euro 13,00
ISBN 978-2-330-06249-1

Gli scritti dell’attore e regista russo Georges Pitoëff (Tiflis 1884-Parigi 1939), qui scelti e presentati da Odette Aslan, vanno dal 1921 al 1939 e sono ripresi sia dalla fonte principale, Notre Théâtre (1949), sia da pubblicazioni sparse occasionali, nonché dall’importante tesi di laurea di Jacqueline de Jomaron (1975). Il volume non pretende sistematicità, ma si propone come raccolta di frammenti significativi d’un pensiero in trasformazione: osservazioni, riflessioni, dichiarazioni, legate alla pratica quotidiana, suscitate dalla «longue et divorante passion» (p. 26) che ha caratterizzato la vita dell’autore, dedicata a «révéler des auteurs et imposer aux yeux des connaisseurs sa maîtrise d’un art élevé jusqu’au sacerdoce» (p. 26).

Dotato dalla giovinezza d’una personalità spiccata, una sensibilità alle arti e una disposizione straordinaria alle lingue, Georges conduce a Parigi la sua prima vera formazione. In patria, lavora soprattutto a San Pietroburgo, al teatro Komissarževskaja (1908), poi alla testa della propria compagnia, Notre Théâtre, fondata nel 1912. Ritorna a Parigi e si stabilisce in Svizzera dove, fra Losanna a Ginevra, allestisce spettacoli in russo, prima di esprimersi in francese. In quell’ambito è apprezzato, ma con rapporti spesso difficili e riconoscimenti contrastati. Le sue imprese risentono costantemente di precarietà finanziarie che lo affliggono lungo tutta la carriera, nobile e travagliata. In Svizzera incontra personalità dell’immigrazione russa, fra cui Igor Stravinskij col quale partecipa alla creazione a Losanna dell’Histoire du soldat (1918). Con straordinarie virtù di analisi e sintesi, padroneggia le componenti dello spettacolo, a partire dall’uso razionale e inventivo dello spazio, con scenografie semplici e funzionali, avendo presenti le ricerche e le ipotesi più avanzate nell’illuminotecnica e nella coreografia e confrontandosi con le teorie di Appia, di Copeau e di Jaques-Dalcroze. Fiero della tradizione espressa dal suo paese, ne rivendica certe priorità rispetto all’esperienza francese (p. 52). Quando nel 1922 si stabilisce a Parigi, è sposato con l’attrice Ludmilla de Smanov, compagna fedele e preziosa in un’avventura professionale e coniugale d’eccezione.

I testi sono accostati per temi, non secondo cronologia: così si leggono episodi e giudizi sul periodo russo, scaglionati dal 1922 al 1936, in frammenti di dichiarazioni o di articoli: «Tous les manifestations venant de Russie et auxquelles Paris a donné sa consécration doivent leur existence à Stanislavski. Nous sommes ses enfants – souvent prodigues et rebelles – mais qui l’adorons toujours» (p. 30). Con «Pour moi, avant tout, il y a l’acteur» (p. 35) si apre la parte dedicata all’interprete, la cui importanza va posta al pari di quella dell’autore. Seguono sei brevissimi brani, a definire l’attore quale «une âme costumée en corps» (ibidem). Le tante osservazioni sul ruolo del metteur en scène: «Sous d’autres traits que nous voyons, la verité que nous ne voyons pas apparaît presque palpable. […] Le metteur  en scène – cet autocrate absolu […]. Le maître absolu dans l’art scénique, c’est le metteur en scène» (pp. 40-41), perorano indubbiamente l’autonomia della sua arte. Le affermazioni più categoriche riguardano la responsabilità, innanzitutto etica, dell’artista di fronte all’opera e al pubblico. Ricorrono belle clausole sensibili alle domande poste dall’opera d’arte classica all’artista contemporaneo. A proposito di Shakespeare: «Montrer par l’interprétation scénique ce qu’il y a de valeur dans l’œuvre représentée pour l’intelligence de nostre époque. […] D’autres œuvres nous parviennent à travers des siècles, et c’est dans leur humanité éternelle que nous trouvons réponse aux questions qui agitent nostre époque» (p. 45). Seguono note sulle regie per Hamlet, per Sainte Jeanne, specificate nelle scenografie, mentre sempre viene prediletto un procedimento figurativo e plastico mirante alla semplicità, poiché «un chef-d’œuvre se suffit à lui-même et on ne le présentera jamais assez dépouillé» (p. 53).

La sua partecipazione al Cartel des quatre (fondato nel 1927 con Jouvet, Baty e Dullin) trova appena un riscontro negli articoli antologizzati e riguarda la partecipazione (sovvenzionata) all’Esposizione universale del 1937. Sul Cartel, viene offerto in allegato al volume l’inserto Le Cartel des quatre di Joël Huthwohl (Direttrice del Dipartimento Arts du Spectacle della Bnf), una breve e precisa traccia sul senso, i problemi e le conquiste del sodalizio singolare, i cui membri furono chiamati, con Copeau, a governare brevemente la Comédie-Française. La viva attenzione di Pitoëff per gli autori contemporanei si concreta nella creazione di opere di Claudel, Gide, Cocteau, Anouilh, Renard, Vildrac e Achard, di sei pièces di Henri-René Lenormand e nell’allestimento di quattro drammi di Pirandello, ammirato fra i grandi del suo tempo: «Je dois reconnaître que l’esprit de la scène l’habitait, qu’il était le théâtre fait homme» (p. 71). Considerato creatore ossessivo e “bulimico”, realizzò più di duecento regie, elencate nel volume, comprensivo anche d’una Nota biografica e d’una Bibliografia selettiva.


di Gianni Poli


La copertina

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