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Elena Marcheschi

Videoestetiche dell’emergenza. L’immagine della crisi nella sperimentazione audiovisiva


Torino, Kaplan, 2015, 160 pp., euro 15,00
ISBN 9788899559007

Volgendo lo sguardo verso le Videoestetiche dell’emergenza, l’autrice prosegue la propria indagine alla ricerca di nuove derive emerse dalla sperimentazione videoartistica. Uno sguardo curioso, quello di Elena Marcheschi, allenato nelle rassegne, nei festival internazionali di cinema, di video, nelle mostre di arte contemporanea, ma soprattutto nella «palestra formativa» (p. 19) milanese di Invideo – Mostra internazionale di video e cinema oltre, con cui collabora dal 2005. Cura insieme a Maurizio Ambrosini e Giovanna Maina il volume I film in tasca. Videofonino, cinema e televisione (Pisa, Felici Editore, 2009) in cui, grazie agli interventi dei tre curatori e a quelli di Valentina Re, Federico Zecca, Luca Barra, Massimo Scaglioni, Livia Giunti, Maurizio Gaudiosi, Alessandro Amaducci, vengono indagati i cambiamenti connessi alle possibilità offerte dal nuovo mezzo di registrare e, attraverso il solito schermo, visualizzare i filmati. Nel 2012 dà alla stampa il suo primo contributo monografico: Sguardi eccentrici. Il fantastico nella arti elettroniche, edito da ETS all’interno della collana “Scritture della visione”.

A distanza di tre anni una nuova finestra sulla videoarte contemporanea mostra l’eco di uno stato di inquietudine che sta definendo l’estetica del ventunesimo secolo: Videoestetiche dell’emergenza. L’immagine della crisi nella sperimentazione audiovisiva edito da Kaplan. È proprio alla sperimentazione audiovisiva che l’autrice riconosce il merito di svelarsi «sempre sensibile ai contesti, anticipatrice di emergenze, rilevatrice di criticità, acuta osservatrice e traduttrice dei fenomeni» (p. 10). Con il suo contributo Marcheschi vuole richiamare l’attenzione su una produzione artistica forse ancora marginale, se osservata in termini di fruizione da parte del grande pubblico, ma capace di rivelare nelle proprie sperimentazioni il respiro del tempo, l’evoluzione dei linguaggi della contemporaneità sensibili all’interscambio tra la produzione cinematografica e i nuovi media. L’autrice si interroga dunque su una specifica dimensione, quella intermediale, in cui le immagini e i mezzi di comunicazione convergono, dando luogo a un’inedita modalità di narrazione per la quale appare necessario non solo un nuovo sguardo interpretativo, ma un totale ripensamento delle metodologie di analisi. Marcheschi sceglie di raccontare queste sperimentazioni descrivendole attentamente, quasi frame by frame, tanto da farcele esperire attraverso il suo racconto, facendo sì che le parole si trasformino in immagini in movimento.

Le prime che prendono forma davanti ai nostri occhi sono quelle dell’aereo che impatta contro la Torre Nord del World Trade Center di New York. Dopo appena venti minuti un secondo Boeing 767 si schianta sulla Torre Sud. Miliardi di spettatori increduli, incollati davanti ai televisori, accompagnano con il proprio sguardo il volo nel vuoto di carte e di vite. Un caso di «eccezionale sovraesposizione mediatica» (Jürgen Habermas in Giovanna Borradori, Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas e Jaques Derrida, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 32) che, secondo il filosofo tedesco Jürgen Habermas, ha trasformato la folla degli spettatori in una «platea di testimoni oculari impietriti» (ibidem) costretti non solo ad assistere alla distruzione di due icone della potenza mondiale statunitense, ma anche a partecipare alla lenta agonia e alla crudele sorte di migliaia di vittime.

«Non è successo che la realtà sia entrata nella nostra immagine» – argomenta Marcheschi attraverso le parole del filosofo sloveno Slavoj Žižek – «ma che l’immagine sia entrata e abbia sconvolto la realtà» (Welcome to the Desert of the Real: Five Essays on September 11, London-New York, Verso, 2002, tr. it. Benvenuti nel deserto del reale. Cinque saggi sull’11 settembre e date simili, Roma, Meltemi, 2002, p. 20).

Marcheschi raccorda gli esiti di una sperimentazione audiovisiva contemporanea, sia monocanale che videoinstallativa, variegata anche nei temi trattati. Raccoglie cioè quaranta opere di artisti che non necessariamente si sono interrogati sull’evento specifico, ma i cui contributi possono essere classificati in questo clima di allarme post 11 settembre. L’analisi non è sequenziale, ma tutto funziona come una mappa mentale strutturata su un nucleo costituito dalle immagini del collasso delle Twin Towers, e dal quale scaturiscono i quattro capitoli o «nuclei tematici» (p. 15): il primo Geografie dei conflitti dedicato alle guerre (pp. 21-50); il secondo Emergenza pianeta Terra: incidenti nucleari, calamità naturali e psicosi collettive dove disastri accaduti o prefigurati convivono in una costante condizione di allarme (pp. 51-74); il terzo Società globale, effetti collaterali connessi ai flussi migratori e allo stravolgimento degli spazi urbani (pp. 75-103); il quarto e ultimo raccoglie contributi audiovisivi sul tema della Contro/informazione e contro/politica (pp. 105-129).

Le citate opere audiovisive mostrano scenari che si aprono dentro lo schermo e che riflettono come in uno specchio la condizione più umana, più intima. Lontana dalle istanze narrative e dalla dimensione finzionale filmica, qui la comprensione diventa meno immediata e le immagini non si susseguono per offrire risposte, ma per aprire interrogativi, abissi tesi a scrutare e smuovere la coscienza critica dello spettatore. «Entrare in quella dimensione dove “le immagini ci abbracciano” [G. Didi-Huberman, L’image ouverte, p. 1] implica prendere coscienza attraverso un’etica dello sguardo, di ciò che ci circonda e, tra evidenza e immaginazione, arrivare a vedere e a comprendere meglio il tutto: noi stessi, il mondo, la storia» (p. 18).


di Elisa Bianchi


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