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Studi goldoniani, XII, 4 n.s., 2015
Quaderni annuali di storia del teatro e della letteratura veneziana nel Settecento

175 pp., euro 50,00
ISSN 2280-4838

Nel saggio che apre il nuovo numero della rivista Anna Sansa mette sotto la lente un testo di Goldoni poco conosciuto al grande pubblico, Il feudatario o Il Marchese di Monte Fosco. Eppure, dall’epoca della sua stesura fino al pieno Ottocento, la commedia fu una delle più rappresentate a Venezia e all’estero, tanto nella versione originale che in rifacimenti, sia in prosa che in musica. La studiosa si interroga quindi sull’attualità del testo, insolitamente ambientato fuori dalla Laguna non tanto in termini geografici (cosa a cui il commediografo non era nuovo; si pensi alla Locandiera o alla Trilogia della villeggiatura), quanto in quelli politici e sociali. Ma se il feudo risulta una realtà idealmente distante dalla vita della Repubblica marinara, è altrettanto vero che la questione giuridica relativa alla regolamentazione dei territori di terraferma fu per Venezia, fin quasi alla sua caduta sul finire del XVIII secolo, un tema di scottante attualità. E il Goldoni giurista, che in terraferma aveva mosso i suoi primi passi da scrittore di teatro, lo sapeva bene. Nel Feudatario (1752) egli condanna la resa della Repubblica alla nuova aristocrazia veneziana, la quale abbandonando i suoi doveri politici ed economici che avevano fatto grande la Serenissima, si è mollemente rinchiusa entro i confini dei nuovi possedimenti terrieri.

Gli studi di Marialuisa Ferrazzi sulle fortune dei comici italiani in Russia si arricchiscono di un approfondimento su Pietro Pertici. La presenza del comico e cantante fiorentino è attestata alla corte della zarina Anna Ioannovna dal 18 maggio 1734 almeno fino al febbraio 1738, in concomitanza col soggiorno pietroburghese della famiglia Sacco (fino al 1735) e di altri attori e cantanti di alto calibro perlopiù provenienti dall’ambiente veneziano. Dai documenti risulta certa la sua partecipazione a numerosi intermezzi e ad almeno un’opera seria, La forza dell’amore e dell’odio, rappresentata a corte il 29 gennaio 1736, giorno del compleanno dell’imperatrice. La studiosa mette poi in luce l’importanza, per la carriera soprattutto comica di Pertici, della vicinanza con attori come i Sacco, Carlo Bertinazzi o Zanetta Casanova, e ribadisce la centralità del suo ruolo nella diffusione e nell’affermazione del repertorio goldoniano, principalmente in area fiorentina, dai primi anni della riforma fin dopo la partenza del commediografo per Parigi.

Anna Laura Bellina descrive in sintesi le funzioni del programma informatico Synopsis, applicato ai libretti di Pietro Metastasio e Goldoni sui siti web www.progettometastasio.it e www.carlogoldoni.it e capace di collazionare automaticamente le varianti d’autore e di scena con un’affidabilità del 99,5%. Da un breve confronto tra la produzione dei due librettisti risulta ancora più evidente la disparità dei loro ruoli: artefice di una produzione seria più limitata ma raffinata il poeta cesareo, fucina di libretti in prevalenza comici e pertanto anche metricamente più vari l’avvocato veneziano.

Il contributo firmato da Anna Scannapieco si concentra sulla fortuna italiana del Père de famille di Diderot. Dalle prime edizioni livornesi (in traduzione e in lingua originale) agli adattamenti di Pertici e della compagnia Sacco, passando per le reiterate esclusioni del testo dalle maggiori raccolte settecentesche di drammaturgia francese, fino alla tournée italiana dei comédiens français, la studiosa pone in evidenza la fitta rete di rimaneggiamenti, tagli, inversioni a cui la commedia fu sottoposta. Il quadro che ne risulta smaschera l’efficacia scenica di un testo che il suo autore sostenne sempre senza riserve, ma che teatranti e pubblico accolsero solo dopo averlo filtrato attraverso specifiche rielaborazioni, o tramite l’Arte di attori eccellenti, come il Petronio Zanarini della compagnia del teatro San Samuele di Venezia.

Gli studi di Valeria Tavazzi sul teatro del Settecento conducono a una riflessione sul valore della parodia e del metateatro, fenomeni destinati a incrociarsi e a sovrapporsi sovente nella produzione drammaturgica della prima metà del secolo. Nello specifico, la studiosa pone l’attenzione sulle coincidenze tra la parodia tragica, che prende le mosse dalla discussione sul teatro tragico iniziata già sul finire del secolo XVII, e il libretto d’argomento metateatrale, che porta in scena, sulla scorta di quanto fatto da Benedetto Marcello nel suo Teatro alla moda (1720), i vizi e i clichés del teatro musicale e dei suoi protagonisti. Del resto l’«alto tasso di metateatralità sulle scene» prova l’«abitudine degli spettatori a recepire e gustare una critica che parte innanzitutto dalla consapevolezza (o dallo smascheramento) di norme codificate e ancora attuali nella coscienza dei letterati o nella prassi di comici e cantanti» (p. 101).

Simona Bonomi analizza la vicenda della pubblicazione dei quattro tomi delle commedie di Pietro Chiari rappresentate nei teatri Grimani dalla truppa Imer-Casali-Sacco. I «primi appunti» sui rapporti tra lo scrittore, Michele Grimani e lo stampatore Angelo Pasinelli propongono il riconoscimento di un ruolo centralissimo dell’impresario nelle scelte editoriali delle opere chiariane. Dalla stampa di tre commedie in «edizioni spicciolate» (L’Orfana, Venezia, Fenzo, 1751; L’Orfana riconosciuta, Venezia, Fenzo, 1751; e L’erede fortunato, Venezia, [Pasinelli], 1751; cfr. Laura Riccò, «Parrebbe un romanzo». Polemiche editoriali e linguaggi teatrali ai tempi di Goldoni, Chiari, Gozzi, Roma, Bulzoni, 2000, p. 47), facenti funzione di libretti di sala, fino all’uscita dai torchi del quarto tomo delle commedie nel 1758 si delinea l’autorità e l’intelligenza commerciale di Grimani, impegnato in prima linea, e presto affiancato dall’interessato Pasinelli, a gareggiare con il fronte Bettinelli-Medebach e a confrontarsi con successi e cadute del “rivale” Goldoni. Il saggio offre curiosi spunti di approfondimento sulla figura di Michele Grimani e sulla parabola produttiva di Pietro Chiari al suo servizio, proponendo anche una verifica delle funzioni capocomicali nei teatri San Samuele e San Giovanni Grisostomo.

Chiude la sezione dei saggi lo studio di Lucia Nadin sulla presenza nel teatro veneziano della figura di Giorgio Castriota Scanderberg, l’eroe emblema della resistenza cristiana antiottomana. L’autrice ripercorre la fortuna della storia del principe albanese in teatro, tramite l’analisi di uno scenario e di una tragedia. Il primo, già presente in una raccolta secentesca di «opere regie», replica per lo più il racconto biografico di Marin Barleti (1510), arricchendo la narrazione con effetti spettacolari come la lotta dell’eroe coi leoni, o ponendo l’accento sulle scene dello scontro col gigante o del duello coi guerrieri del sultano. Già cara al Settecento veneziano è invece l’ambientazione turchesca, che rimanda ai quotidiani e controversi rapporti della Serenissima con l’impero ottomano. La tragedia di Trifone Smecchia, il cui manoscritto è stato da poco riportato alla luce, riduce la spettacolarità e insiste invece sull’eroe e principe in tutto e per tutto devoto alla patria, sovrano clemente e pacificatore. È in ultima analisi un esempio curioso e di certo non isolato di come la Commedia dell’Arte abbia saputo cogliere l’efficacia narrativa e spettacolare di vicende destinate a popolare i palcoscenici per secoli e nelle forme più diverse.

Chiudono il fascicolo un contributo di Beatrice Alfonzetti in ricordo di Franca Angelini e la consueta Bibliografia goldoniana, a cura di Sandro Frizziero.


di Lorenzo Galletti


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