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Cahiers Jean Vilar. Conversations, Nr. 120-120bis, 2015


pp. 64+64, euro 7,50
ISSN 0294-3417

Personalità eccellenti della cultura teatrale francese, direttori di Teatri Nazionali, docenti e giornalisti, collaborano a questo nuovo numero della rivista della Maison Vilar avignonese.

Nell’Editoriale, Jacques Théphany propone il recupero di alcuni contributi tratti dagli incontri estivi legati al Festival di Avignone, nella tradizione inaugurata da Vilar nel 1964 con i Rencontres, dedicati a molteplici questioni. In particolare, il fascicolo offre un primo rendiconto degli interventi presentati nell’estate 2015.

Un triplice omaggio tocca in apertura a Roland Monod (1929-2015), attore di cinema e di teatro e metteur en scène dagli anni Cinquanta. Già Presidente dell’Association Jean Vilar e Ispettore generale delle Scuole di Teatro francesi, lo ricorda Yves Ferry, suo allievo al Théâtre National de Strasbourg. Sono accenti commossi e grati per il dono d’esperienza e di amicizia (p. 5). Jacques Lassalle ne considera il talento e l’attività teatrale sul filo dei loro incontri, partiti dalla frequentazione comune di Bernard Dort e dalla collaborazione con quest’ultimo all’Istituto di Studi Teatrali della Sorbonne Nouvelle negli anni Settanta. Lassalle mette in valore inoltre il lavoro di Monod presso il Théátre Quotidien de Marseille, fino a quando il legame si stringe nel passaggio alla Presidenza della stessa Associazione. L’ex Amministratore della Comédie-Française lo ricorda, infine, nelle ultime interpretazioni: «Je le découvrais un acteur selon mon cœur, quelque part entre Bresson et Oliveira, sobre jusqu’à l’épure, plus soucieux d’être que de paraître, ancré au cœur du texte, inlassable quêteur d’ame» (p. 8). 

Un secondo omaggio è dedicato a Peter Handke da Michel Corvin, il quale propone una «lezione» sul drammaturgo tedesco: «Il a reinventé le théâtre, en tant que poète et prohète, en raison de ses inventions dramaturgiques ; en raison de son invention satirique: sans méchanceté excessive, Handke est un authentique humoriste» (p. 15). Lo studioso passa poi in rassegna testi e spettacoli di Handke celebri in Francia, da Les gens déraisonnables sont en voie de disparition (1979) a Par les villages (1983) e a Toujours la tempête (2012). In occasione dell’uscita del suo saggio La lecture innombrable des textes du théâtre contemporain (Éd. Théâtrales 2015), lo stesso Corvin insiste sui criteri di lettura della drammaturgia attuale, per lui così ardua e appassionante. Lo dimostra nella conversazione Apprendre à lire [le théâtre]?, dove passa da Botho Strauss a David Harrower e a Rafael Spregelburd, fino a Valère Novarina. Di questi ultimi notevole conoscitore, Corvin afferma: «Il est partisan de la non-compréhension. […] Novarina veut nous envahir par les choses dites, les choses dites doivent nous pénétrer. Et cela c’est le caractère matériel de l’écriture» (p. 27).

Fedeli al ricordo dei grandi artisti che hanno illustrato la scena francese, altre voci intervengono per riflettere sulle loro opere. È il caso dell’attore Marc Citti, formatosi alla Scuola di Nanterre-Amandiers con Patrice Chéreau. Avendo raccolto in volume (Les Enfants de Chéreau, Actes Sud-Papiers 2015) le sue esperienze relative all’arte dell’attore, viene intervistato da Claire David. Ne  scaturisce una riflessione sulle differenze pedagogiche fra la scuola atipica di Nanterre e quella canonica del Conservatoire. Emerge il riconoscimento dell’artista scomparso nel 2013, sicché, commisurata a virtù umane semplici e autentiche, la sua unicità geniale è sottratta al mito che la circondava al tempo del pur sorprendente esordio giovanile.

L’omaggio seguente è rivolto da Georges Lavaudant agli attori che lo hanno accompagnato in tante creazioni quale direttore di teatri importanti. I momenti salienti si fissano sulla messa in scena di Richard III di Shakespeare ad Avignone nel 1984. Il successivo discorso animato da Jean-Marie Apostolidès verte sugli elementi scenici che avvalorano il testo e la recitazione di quello spettacolo, in particolare mediante l’analisi dell’importanza assunta dalla colonna sonora (bande-son) e dalle immagini. Tornano alla mente Le Balcon alla Comédie-Française e Phèdre allestita in India.

Éric Ruf, amministratore della Comédie, interviene qui come direttore dei «Cahiers», presentando al convegno del 4 luglio 2015 Gouverner c’est incarner il proprio pensiero in La profondeur et la légèreté… Il bilancio dell’ultimo festival di Avignone, tracciato in conferenza stampa, tocca al direttore Olivier Py, che oltre le cifre ricorre alle speranze e alle forze di Utopia: «Une ville en état d’utopie, cela a beaucoup résonné cette année avec une idée du désespoir politique, de la révolution impossibile» (p. 58). E in prospettiva, annuncia uno spettacolo di Luchino Visconti, Les Damnés, allestito il prossimo anno dalla Comédie-Française.

L’allegata brochure riproduce la raccolta delle Lettere inviate da Jean Vilar alla moglie, Andrée Schlegel, lungo trent’anni. L’attenzione è sempre puntata alla maturazione della propria arte, già concepita come missione alta, come impegno totalizzante, fra letteratura, recitazione e  rappresentazione. L’affetto per l’amata lo rafforza, a lei ricorre per trarre coraggio e perseveranza: «Ce travail, l’art du théâtre, exige un’attention extraordinaire, une diversité de qualités telles que l’homme mur seul peut arriver à un bon résultat» (2 novembre 1941). Collabora allora con André Clavé, nella Compagnie de la Roulotte. «J’ai terriblement peur de me casser la figure avec Stindberg. Tu vois, je ne voulais pas parler de théâtre dans cette lettre [...]. Comment veux-tu que je te sépare de ce que j’aime?» (luglio 1943).

A Parigi, Vilar è in difficoltà per rappresentare Caligula di Camus, perché quest’ultimo intende sospendergli i diritti (gennaio 1945). Nel 1950, l’attore, già noto, è in tournée in Scandinavia, dove recita i classici francesi e resta commosso dall’accoglienza del pubblico. Nell’agosto 1951 scrive dall’ufficio di direttore del TNP a Chaillot. Poi scrive da Edimburgo, nel settembre 1953, dopo il successo di Don Juan. Scrive ancora da Parigi (agosto 1954), sulla necessità delle tournées, per lucro e per morale: «Comment refuser à ce théâtre monté à bout de bras, à ce théâtre (qui est aussi mon moyen d’être libre), l’audience internationale?» (p. 41). Da Montevideo (settembre 1957) medita sull’amarezza del mestiere, gustata nella solitudine: «Le comédien travaille dans le vide. Ce qu’il fait ce soir, ce soir à minuit sera défait» (p. 53). Nell’ottobre del 1958, a Montréal, legge «ce cher Saint Simon qui devient pour moi comme un vice» (p. 55). Ma senza rammarico: verranno giorni in cui l’ironia scherzerà con la fatica artistica e organizzativa.

Questo Epistolario, biografia episodica e schematica, è una specie di racconto a contrappunto, rarefatto ma concentrato, da accostare alla sua Chronique romanesque (1971). L’ultimo scritto, del novembre 1969, finisce con la minaccia spiritosa: «Si tu vas voir une pièce d’Anouilh, je divorce. Prends garde!».


di Gianni Poli


La copertina

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