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Eduardo: modelli, compagni di strada e successori

A cura di Francesco Cotticelli

Napoli, Napoli e la Campania, Clean, 2015, pp. 224, 20 euro
ISBN 978-88-8497-535-5 9788884975355

“Un Eduardo, per fortuna, basta a vivificare un secolo.
E non solo uno…”

(Elsa Morante, L’amata. Lettere di e a Elsa Morante, a cura di Daniele Morante, Torino, Einaudi, 2012, pp. 420-421; riportato da E. Porciani in questo volume, p. 138)


Riattivare i classici è dovere dello studioso, a maggior ragione se il classico è nostro contemporaneo. Opera di “riattivazione”, e non di commemorazione, è stata l’intensiva “tre giorni” napoletana Eduardo: Precursori, modelli, compagni di strada e successori (25-27 settembre 2014, Biblioteca Nazionale di Napoli), di cui questo volume, curato da Francesco Cotticelli, consuntivamente trascrive il fruttuoso dialogare.

Eduardo: modelli, compagni di strada e successori è una pubblicazione scientifica ma è anche uno zibaldone di monologhi eduardiani, di assoli su Eduardo De Filippo che, a distanza di trent’anni dalla morte del Grande Attore made in Italy, fa il punto sulla sua eredità (drammaturgia, archivio), in Italia e nel mondo (Francia, America Latina, Spagna, Inghilterra), sulle relazioni che il maestro aveva creato in vita (Grassi, attori e attrici di compagnia, scenografi), sui rimandi intertestuali tra la sua drammaturgia, il romanzo e il cinema del Novecento (Morante, Pasolini, Wilder), sulla fortuna scenica (Servillo, Luca De Filippo, Santagata, Cirillo).

Il volume apre da un concetto di fondo: quello della classicità di Eduardo e dell’influenza centrifuga che proprio questa condizione ha generato e genera. Dicono Pieri e Scannapieco: «Come ogni vero classico, Eduardo non si limita a inventare, o influenzare i suoi precursori, la propria tradizione di riferimento; piuttosto li ascolta, ne indossa inevitabilmente gli abiti e altrettanto inevitabilmente se ne spoglia: li transita verso nuovi orizzonti nel mare della storia, consapevole della precarietà del viaggio. E, come ogni vero classico, ha posto in ascolto anche i suoi “successori”» (p. 15). Tra i citati precursori la maschera di Petito, Pulcinella, Viviani, Scarpetta, ma anche Altavilla, Basile e gli autori napoletani del Seicento. Tra i “successori”, appartenenti anche a linguaggi differenti, un lungo elenco che presenteremo brevemente.

Siro Ferrone, ad esempio, lega la precoce classicità di Eduardo, e la sua influenza contemporanea, a una modalità di lunga durata legata a uno specifico atteggiamento nei confronti della propria produzione drammaturgica. Di carattere consuntivo, come – solo per fare qualche nome illustre – quella di Molière, Goldoni e Riccoboni, la drammaturgia eduardiana, prontamente fissata sulla pagina a stampa, ha potuto tutelare sé stessa, risolvendosi in un movimento di salvaguardia della tradizione (i precursori di cui sopra). Dice infatti Ferrone che «è propria dei figli d’arte quella schietta coscienza culturale che spinge a tutelare in modo più solido che nella trasmissione orale il patrimonio artistico di famiglia» (p. 18).

Consolini si riaggancia alla specificità della drammaturgia d’attore, nel caso di Eduardo arricchita dal virtuosismo popolare ed elitario, che crea un’intensa «stratificazione di diversi registri linguistici» (p. 169), per introdurre la questione della non comprensione dell’opera eduardiana in Francia. Il maestro napoletano appare poco al di là delle Alpi ed è mal studiato e frainteso da quella tendenza della cultura francese «di leggere le manifestazioni teatrali di casa nostra attraverso il prisma dell’adeguazione o meno al presunto e mitico modello originario della sacrosanta Commedia dell’Arte» (p. 168).

Piermario Vescovo si tuffa, invece, dentro il mare dei filoni drammatici, e tra tutti, decide di seguire a larghe bracciate quello della magia. Partendo «dall’ultimo nastro di Eduardo» (p. 150), rappresentato dalla registrazione della Tempesta, tradotta in napoletano seicentesco, individua un magic circle che dal prestigiatore Sik Sik a Otto Marvuglia della Grande magia, passando per Luca Cupiello morente e l’allucinazione del presepio, arriva al mago Prospero. Da alcune interviste individuiamo un Eduardo nostalgico che registra la sua ultima performance rammentando la fascinazione che provava negli anni d’esordio di fronte alla magia del teatro popolare, ricucendo così ciclicamente quel “cerchio magico” lungo una vita. In un percorso tanto vicino all’illusione si inserisce l’incontro e il dialogo con Pier Pasolini Pasolini e il suo ultimo progetto realizzato postumo Le avventure di Re Magio randagio, per il quale aveva previsto un Eduardo-Epifanio, pericolosamente vicino a Luca Cupiello artigiano-sognatore di un meraviglioso presepio.

Se Vescovo si sofferma sul dialogo Eduardo-Pasolini, Bentoglio chiarisce le origini di un’amicizia con Paolo Grassi, dunque con il Piccolo Teatro di Milano. Da parte sua Elena Porciani tesse un richiamo tra Filumena Marturano e Elsa Morante, donne che non sanno piangere, rintracciando alcune lettere che Eduardo ed Elsa, “ragazzini” amanti del teatro, si scambiarono. Cotticelli, dal canto suo, dedica pagine attente alla figura e al ruolo di Titina De Filippo (non trascurando altre primedonne eduardiane), in particolare per la scrittura (consuntiva) di Filumena Marturano, testo profondamente segnato dall’interpretazione dell’attrice.

Veniamo poi a Eduardo Oggi di scena. Il contributo di Anna Barsotti ricostruisce la fortuna scenica di Le voci di dentro e propone un’analisi attenta della fortunatissima messinscena di Toni Servillo, del 2013, in rapporto alle diverse, ma interessanti soluzioni proposte da Alfonso Santagata nella sua versione del 2004. Il discorso di Barsotti è introdotto dalla descrizione della pièce di Eduardo, della messinscena che l’attore-autore firmò nel 1948 e della versione televisiva del 1978. Non a caso aveva detto Eduardo: «Secondo me Le voci di dentro avrà molta vitalità in avvenire» (in V. Pandolfi, Intervista a quattr’occhi con Eduardo De Filippo, «Sipario», 119, 1956). Aveva ragione!

In un mondo in cui “si sono imbrogliate le lingue”, la drammaturgia eduardiana si fa classica e attualissima, per non dire di denuncia, stimolando la drammaturgia a noi più vicina (di cui qui parla D’Amora) e, fortunatamente, con sempre maggiore assiduità, anche le sale teatrali – con tanta più urgenza oggi che piangiamo la scomparsa di Luca, figlio di Eduardo e baluardo, a suo modo efficace, di quella tradizione.


di Chiara Schepis


La copertina

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