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Giovanni Morelli

Animali immaginari


Faenza, Fratelli Lega Editori, 2015, 62 pp., s.i.p.
ISBN 978-88-7594-118-5

«La bestia immaginaria è una forma importantissima di realtà provvisoria»: è questo l’incipit di Animali immaginari, un prezioso libro dovuto alla fervida creatività di Giovanni Morelli; il volume è accompagnato da una postfazione di Nico Stringa, dal titolo Giovanni Morelli e la “realtà provvisoria”: appunti sugli anni giovanili, a proposito degli Animali immaginari, utilissima per illuminare alcuni tratti misteriosi della personalità dell’autore e i retroscena di una pubblicazione fantasiosa e, insieme, misteriosa.

La raccolta morelliana enuclea un campionario di ventisei improbabili mostri, agendo in maniera contraria rispetto al Manuale di zoologia fantastica (1957) di Jorge Lous Borges, apparso in Italia nella traduzione di Franco Lucentini per Einaudi nel 1962. Diversamente dallo spirito che anima la collezione poetico-mitologica dello scrittore argentino, Morelli s’affretta a dichiarare che le sue sono invenzioni descritte in modo paradossale e illustrate dai disegni dello stesso autore. Nel dichiarare le «generalità» del suo progetto, insiste sul valore della «fantasia» che, fin da quando esiste l’umanità, ha «visto, odiato, amato, temuto, descritto, disegnato, animali inesistenti» (p. 7).

Tale esercizio immaginativo ha i suoi eccellenti «antenati»: da Ulisse e Sant’Antonio nel deserto, al viaggio nell’aldilà di Dante Alighieri, allo scontro fra il drago e l’Arcangelo per la salvezza di una principessa, fino «a William Blake, Henri Michaux, Hyeronimus Bosch e a tutti i convinti visionari di tradizione europea, dal delizioso basilisco al tragico minotauro, dalle grandi formiche verdi d’Atlantide nei racconti dei vecchi Finlandesi agli Angeli dei sogni delle fanciulle romantiche» (ibidem). Ogni volta si avverte il desiderio di prefigurare un animale «unico», a un tempo eterno e solitario, grandioso e microscopico, rapido e immobile nel movimento, orribile a vedersi e sorprendente, visibile e astratto, colorato e diafano; insomma, è una forma della «transitorietà eterna» della natura «negli aspetti che l’uomo teme maggiormente, cioè il mistero, la potenza e l’eternità» (p. 9). A questo punto, però, Morelli definisce la propria svolta compositiva, scegliendo di collocare la sua galleria di visioni dalla parte del mondo animale, seguendo la trama dell’evoluzione delle specie viventi, entrando nella sfera di bestie inesistenti eppure propense a sognare, sezionando anatomicamente la loro ambigua apparenza sospinta verso una spiritualizzazione non spirituale. «I loro nomi finiscono per essere brutalmente greci, con qualche rarissima eccezione orientale e scandinava. I loro proprietari li sfruttano per continuare ad avere un poco di paura» (p. 11).

Un disegno di Giovanni Morelli.
Un disegno di Giovanni Morelli

La genesi del volume di testo e disegni, inscindibili l’uno dagli altri come in un manuale di anatomia (di quell’Anatomia per artisti, curato da Morelli a partire dal 1966 ed edito dalla casa Lega di Faenza, cui si deve collegare la stesura di Animali immaginari), si può datare per l’appunto all’inizio degli anni Sessanta; conta, pertanto, la formazione giovanile di una personalità versatile, che oltre la natia Faenza frequenta i circoli artistico-culturali di Bologna e, poi, dal 1965, di Venezia. Dal libro emergono non solo i riflessi degli studi di medicina, ma anche la passione per il disegno e la pittura, accanto alla tentazione musicale. L’immaginario del giovane Morelli mette insieme tanti linguaggi, gioca sull’allusività, esprime le sue convinzioni politiche, predispone un sistema di pensiero intricato e tendente alla circolarità, che coniuga, senza esaurirlo, il confronto tra  lo slancio surreale dell’invenzione e l’irruzione indiscreta della quotidianità.

C’è anche il desiderio di giocare sul registro dell’ironia grafico-narrativa: visto che la bestia fantastica non esiste, non può esistere, allora – scrive Morelli – «dobbiamo spesso riconoscere la banalità e la volgarità illustrativa» (p. 9). Mentre inventa, lo scrittore-disegnatore procede alla destrutturazione della propria fantasia, perché nelle sue elucubrazioni palpitano elementi primordiali, descritti con plausibile distacco, come se si trovassero sul tavolo delle autopsie, sotto gli occhi dell’artista-scienziato, osservatore di una realtà instabile e transitoria. 


di Carmelo Alberti


La copertina

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a cura di Paolo Pinamonti
 
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