A un anno appena
dellinsediamento del nuovo direttore del Festival, Olivier Py, si propone un bilancio sullintera storia
dellistituzione avignonese. La materia è ripartita in sei periodi
corrispondenti ad altrettante direzioni del Festival, dal fondatore alla coppia
che ha passato il testimone a Py: otto persone in tutto, per sette gestioni, con
lultima appena iniziata.
Jacques Téphany introduce alla riflessione sul Festival, improntandola
allequilibrio, alla fiducia e alla speranza. Rivolgendosi al visitatore (della
città e del Festival) e al lettore (della pubblicazione), ricorda lo spirito
forte e duraturo infuso da Vilar alla
sua creatura e ne rinnova i motivi dadesione convinta, mentre trae auspici per
lavvenire. Si interroga sulla validità della rassegna, dallidentità sempre fluttuante,
condizionata sia dalla città che la ospita, sia dalla tipica dimensione nazionale,
sia dalla vocazione allargata e conclude: «Si le théâtre est et demeure une
activité minoritarie en quantité, il est symptomatique de létat dune société.
En son temps, Vilar est parvenu à éléver son public. Il a donné à un
moment de la conscience française le goût du bonheur par le théâtre. [...]
Il ne faut pas cesser de rappeler que le Festival est au monde plus quaux
Avignonnais» (p. 1).
Il fascicolo, uscendo prima dello
svolgimento della manifestazione estiva, invita inoltre alla mostra
retrospettiva – allestita presso la Maison Vilar – delle sessantotto edizioni
precedenti con una documentazione davvero ricca e nel complesso inedita, data
la ricontestualizzazione e il confronto di tante e così disparate esperienze. Vi
appare un storia della Città Teatrale lunga settantanni, in cui al primitivo sogno
estemporaneo seguono progetti sottoposti a verifiche e a costanti tensioni conflittuali.
Il primo periodo – più studiato e
divulgato – della conduzione di Vilar (dallorigine al 1971) è ripreso per
sommi capi. I richiami sono allidea di Teatro Nazionale Popolare, alle prime,
esaltanti realizzazioni e allo spirito davventura che guidava la Compagnia e il
suo Patron, gravato duna
responsabilità gestionale inusitata, nellattuare il decentramento e nel valorizzare
la Corte dei papi quale centro degli spettacoli. Momento comprensivo della
contestazione degli anni Sessanta, che Vilar subì personalmente e personalmente
superò, fedele al suo ideale. Poi è interessante comparare i passaggi evolutivi
distinguendoli, coi rispettivi responsabili, nelle caratteristiche variabili che
hanno reso importante, discutibile e comunque vivo e produttivo il luogo
dincontro di tante civiltà dello spettacolo. Di Paul Puaux si sottolinea la difficoltà nel rilanciare leredità del
fondatore e lapertura di nuovi spazi (accoglienti il festival-off), la convocazione della danza e la
scoperta di nuove personalità. Il motto che accompagna il suo congedo è: «Apprends,
enseigne, et pars».
Subentrando Bernard Faivre DArcier, si nota la crescita degli apporti
internazionali. Cambia la firma nella grafica della comunicazione degli eventi:
le tre chiavi campite da Marcel Jacno su manifesti e bandiere
sono rimpiazzate da immagini di artisti designati ogni anno. I creatori
indimenticabili sono Maurice Béjart,
Pina Bausch e Ariane Mnouchkine. Il motivo di tensione è sentito nel rischio di «pariginizzazione»
delle scelte e del gusto, sotto la presidenza Mitterand con Jack Lang
ministro della cultura. La questione allora principale vede opporsi lesigenza
dellaction culturelle (gestita dalla
politica) contro il pouvoir aux créateurs,
reclamato dagli artisti. Nelle rappresentazioni, il Théâtre du Soleil, ispirando
il suo Richard II di Shakespeare allEstremo Oriente (1982),
rivendica per il teatro la funzione di un esteso dibattito politico e per
Avignone «un lieu où saffirme la conscience citoyenne des artistes et de leur
public» (p. 37). Il direttore intitola Le
Vivant et lArtificiel il tema dellestate del 1984, nella quale viene
adattato il dispositivo scenico e la platea principale è ridotta da tremiladuecento
a meno di duemila posti.
Con svolta anche politica (di
destra), oltre che culturale, subentra Alain
Crombeque, abile nel perseguire uninnegabile continuità delluniversalità
vilariana, con esiti dalle sorprese positive, fra le quali il Mahabharata di Peter Brook (1985) e la rappresentazione integrale di Le Soulier de satin di Claudel e Vitez (1987). Crombeque risente della scomparsa dei suoi
sostenitori, mentre è chiamato ad affrontare il problema degli intermittents dello spettacolo, in cerca
duno statuto sicuro alla loro professione. Il momento comprende anche la
rivalsa della città nei confronti della sofferta ingerenza parigina, espressa
dallistanza «Le Festival aux Avignonnais».
Scaduto il mandato di Crombeque, ritorna
nel 1992 Faivre DArcier, che ottiene lincremento degli spettatori. Il suo
progetto distintivo e ambizioso è costituire un Centre National du Théâtre,
idea che non trova suffragi e investimenti congrui, e si dissolve quando il direttore
verifica «les renoncements repétés de ses interlocuteurs politiques» (p.
54).
È lunga la gestione della coppia
di condirettori, Hortense Archambault
e Vincent Baudriller, i quali
introducono a saliente correttivo del dosaggio di estetica e attenzione
sociale, un «artiste associé», responsabile di scelte artistiche specifiche per
ogni stagione. La fluttuazione di consensi e riserve continua, ma fra le conquiste,
i due possono annoverare in conclusione lapertura del nuovo spazio della
FabricA (luglio 2013), previsto quale spazio per le prove (di dimensioni
analoghe a quelle della corte dei papi) e residenza degli artisti invitati.
La vague del teatro «postmoderno» comportava intanto lattenuazione
della valenza verbale della drammaturgia e indubbiamente apriva la via alla
corporeità, nelle sue espressioni violente e disturbanti. La novità era cercata in certi sensazionali (e momentanei)
superamenti: «Le corps douleureux repousse les limites du Verbe, une image vaut
dix mille mots, les amateurs égalent les professionnels» (p. 66). Il
tempo assegnato a Olivier Py non può essere conteggiato per cronologia e
pertanto il fascicolo rinvia a un necessario aggiornamento. Levento
documentato, complesso in organizzazione, scelte, attese e compromessi, deve
per natura lasciare lacune, imporre scarti, entusiasmare e scontentare insieme.
Nel commiato programmatico, Continuons,
la redazione presenta ancora un capolavoro di mediazione e di eclettica
composizione dei contrari. Alla riconfermata abilità francese di valorizzare le
proprie imprese, criticandole, chapeau!
di Gianni Poli
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