drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Tadeusz Kantor

Écrits (2). De «Wielopole Wielopole» à la dernière répétition.
Traduit par Marie-Thérèse Vido-Rzewuska
Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2015, pp. 442, 23,00 euro


ISBN 978-2-84681-450-8

Prosegue e si conclude, col secondo volume, la raccolta degli Scritti di Tadeusz Kantor, annunciata nell’anno del centenario dalla nascita dell’autore. Se il primo volume (v. drammaturgia.fupress.net) era dedicato agli esordi e allo sviluppo della ricerca figurativa e teatrale dell’artista nato a Wielopole, ai momenti fondanti del suo lavoro creativo, Écrits (2) ne testimonia e documenta il cammino originale, a partire proprio dallo spettacolo-cardine, Wielopole Wielopole (1980), seguito all’affermazione internazionale della Classe morta (1977). Cronologicamente, però, l’autore riprende testi precedenti, capaci di spiegare e consolidare scoperte ritenute basilari. «Dans le texte intitulé Le Lieu théâtral, il reprend ainsi des textes plus anciens et les éclaire sous un jour nouveau en soulignant les réflexions qui inspiraient ses créations successives» (p. 8).

Logicamente, Kantor procede dai moventi e dagli esiti della Classe morta per tornare a concetti fondamentali, quali il rapporto fra testo e rappresentazione, e a comparare le conquiste recenti – riconosciute e acclamate dalla critica – con le esigenze al limite che lo spingono ad allargare continuamente l’orizzonte della propria ricerca. Così riconosce: «La Classe morte devient sous nos yeux un spectacle-document» (p. 15). La sua scrittura usa un linguaggio poetico e allusivo. In coincidenza con le rare occasioni storicamente circostanziate, Kantor richiama con insistenza il 1944, data dell’uscita dalla guerra e gli anni Sessanta, segnati da neo-avanguardie vivaci e velleitarie.

Contestualmente emerge il suo metodo di lavoro, caratterizzato dal confronto con l’opera ispiratrice e dall’applicazione immediata del suo effetto al lavoro con gli attori nello spazio scenico. Agli esordi, ad esempio, è sollecitato dai drammi di Ignacy S. Witkievicz, da cui parte per sviluppare le sue «azioni» (cricotages o emballages, tableaux o objets) in autonomia e a contrasto con la drammaturgia testuale. La stesura della propria partition è posticipata rispetto allo spettacolo. Il disagio causato dalla formalizzazione scritta del testo è confermato dalla redazione rinviata del suo capolavoro, La Classe morte, realizzata soltanto per un’edizione francese nel 1983 (p. 15). Quale frutto di tale procedimento compositivo, si offrono sequenze di Où sont les neiges d’antan? e una partition più completa dell’opera, distribuita in tredici paragrafi (o «movimenti») d’un soggetto abbozzato (pp. 23-33) che diventerà l’evento creato a Roma nel 1979. Similmente, il dossier dedicato a Wielopole Wielopole costituisce il materiale più cospicuo (pp. 63-135). Esso appare prima nei brevi titoli di sequenze ripartite in Cinque Atti; poi in lunga e articolata sceneggiatura, dettagliata in «azioni» e «intenzioni».

L’ospitalità goduta da Kantor e dal suo Cricot a Firenze (1979-1980) si riflette particolarmente nel testo Essai florentin. La poetica degli spettacoli s’affida intanto alla ripresa di nuclei tipici, nelle variazioni e varianti folte di ossimori, nel bisogno di esaltare sensazioni e nozioni oppositive. Gli elementi creativi denunciano l’insistenza ossessiva su personaggi archetipici, mitizzati dalla memoria personale; tratti dalla famiglia e dal gruppo sociale: Padre, Madre, Nonni, Zii, Prete, Soldato, appaiono figure costitutive di un mondo perduto, inseguito nel capitolo Quand le monde de l’enfance resurgit. Di difficile fruizione per il pubblico dei suoi spettacoli, che ne resta disorientato e affascinato, quelle presenze affiancate dallo stesso autore, sorgono da una stilizzazione della materia memoriale del «poeta della scena».

Nello sforzo di rendere presente il passato, il creatore riporta al presente ciò che sembra (e nella storia è) finito, «morto». La «ripetizione» del gesto dunque s’impone, quasi l’eternità andasse ripetuta, riattualizzata. Gli accostamenti di immagini e temi, attinti da un al di là incongruo e onirico, risultano affini a certi soggetti surrealisti elaborati da Antonin Artaud e Raymond Queneau. Pare attiva anche una componente ideologica, oltre che formale, ripresa da un Witold Gombrowicz occulto. L’intellettuale di Wielopole condivide polemicamente l’antipatia per il nazionalismo artistico diffuso in Polonia con lo scrittore di Maloszyce. Entrambi si compiacciono di recuperare valori dalle zone più infime dell’immaginazione: Kantor li trova «entre la poubelle et l’Éternité» (pp. 176-177). In analogia alla proposta di Gombrowicz di glorificare l’«immaturità» nei suoi protagonisti, è la fragilità insuperabile, votata al nulla della morte, a nobilitarsi in Kantor.

Nell’insieme degli Scritti, Kantor non mira a risolvere l’enigma dell’arte, come gli si presentava dall’inizio e come gli si prospettava nella vita assidua e faticosa: «Une trop grande explication de l’œuvre d’art en diminue le secret, c’est-à-dire la force d’action», sostiene per lo spettacolo su Wielopole (p. 150). Il libro neppure ambisce a teoria sistematica e gli spunti più originali e interessanti – per lo storico e il teatrante – forse s’incontrano nelle pagine sintetiche di esperienze venate di utopia.

Così, in Réflexions sur les chemins parcourus, una «storia» secolare del Teatro è attraversata secondo una sensibilità lampeggiante, dove i movimenti e gli stilemi di riferimento (poche, le citazioni dei maestri, passati o presenti), come La Baraque de foire (di Blok, cara a Mejerchol’d) e il costruttivismo, portano alla problematica composta da illusione e finzione (pp. 169-171). L’impegno appare nel sostituire in scena l’illusione naturalista tradizionale con un urto violento: «Après un certain temps, ce remplacement de l’Illusion par le choc brutal avec la rugosité du matériau de la vie est devenu une demarche reconnue» (p. 190). Fenomeno di cui consiglia poi di diffidare, per il rischio d’una nuova perniciosa convenzione.

La radicalità necessaria dell’intervento è tuttavia ribadita: «C’est cette opération mortellement risquée qui se sert de la distance, privée de toute logique dans la vie, entre ces deux mondes. C’est cette opération qui est l’essence de l’action théâtrale» (p. 217). Quanto alla concezione dell’attore, il regista lo connota quale «oggetto», essenziale nell’ambito di un luogo creato fuori dal teatro. «Mais cette réalité ne s’exprimais plus par le LIEU qui dictait ses lois à tous les éléments du théâtre. L’OBJET est devenu ce médium. Autonome, concentré sur lui-même. L’OBJET D’ART. […] Je l’ai appelé BIO-OBJET» (p. 191).        

Quale vera svolta primaria, l’artista rifiuta l’edificio teatrale consacrato dalla storia, nella «contestation du lieu artistique» applicata dagli anni Quaranta. Aspirando alla «réalité matérielle du lieu», invoca il passaggio da «l’autre monde au monde d’ici» (p. 187). Un superamento e un’invenzione (a partire dagli happenings) del luogo mitico e sostitutivo (chambre, classe d’école, lit matriciel) capace di condensare un supplemento di realtà verace, raccontare la «fable du lieu» (p. 187). Con una sorta di schizofrenia auto imposta (per analizzarsi e giudicarsi?) persegue lo sdoppiamento di sé (p. 242) imponendosi silenzioso in scena accanto ai suoi attori.

Spesso in forma di elenco o in formule paradossali, si costruisce per l’artista eretico (pp. 179-180) l’impossibile sistema dei valori alternativi alla rappresentazione. Le sue opposizioni insolubili sorgono tutte sotto l’incombere della morte, divenuta personaggio eminente e incarnata anche dall’autore. La rivolta radicale e simbolica all’annientamento definitivo si trova nella vitalità con cui Kantor risponde in successione con le prove nelle forme rinnovate. La nozione di prova (répétition) guida sempre l’artista fino all’allestimento di Aujourd’hui c’est mon anniversaire, durante le prove del quale morirà. Nel libro, la sua partition in sette atti, ne rende testamentario il tragico epilogo.


di Gianni Poli


La copertina

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013