Il tramonto del pianeta
asburgico, le istantanee di vita viennese tra la tarda età imperiale e la
catastrofe dellannessione alla Germania, hanno avuto grandi cantori, sommi
cronisti, testimoni eccellenti: e se il disfacimento di tale gigantesca civiltà
trova il suo romanzo più eloquente nella Cripta
dei cappuccini di Joseph Roth, questo «mondo di ieri» resta legato,
in primo luogo, alle eponime pagine autobiografico-saggistiche di Stefan Zweig.
Tuttavia, se Roth e Zweig sono le
punte di diamante nellaffresco di tale dissoluzione, i reporter di questaureo
declino e di questagonia furono ben più numerosi: a lungo rimosso dalla Storia,
il nome di Berta Zuckerkandl resta
un tassello fondamentale per ricostruire quanto accadeva nella vita artistica,
culturale e politica viennese fra il tramontare dellOttocento e gli anni
Trenta del ventesimo secolo. Un nome, va aggiunto, inquadrabile nella storia
del giornalismo: ma caratterizzato da una tale libertà espositiva – pur
restando sempre irreprensibilmente “dentro la notizia” – e da un così
disinvolto sincretismo di linguaggi (si passa, allinterno della medesima
pagina, dalla cronaca allo scambio epistolare, dalla memorialistica alla
conversazione telefonica) da proiettare la Zuckerkandl nella più ampia sfera
della letteratura.
Moglie del celebre anatomista Emil Zuckerkandl e padrona di casa impeccabile al punto di trasformare
il proprio salotto nel crocevia dellintera intellighenzia
austriaca, fu promotrice di decine di battaglie a fianco della Vienna più progressista:
ebbero grande eco i suoi articoli in favore di realtà tuttaltro che
unanimemente accettate, si trattasse della Secessione di Klimt, delle nuove frontiere teatrali aperte da Schnitzler o del colpo di spugna
inferto da Mahler alla routine cristallizzata della Staatsoper.
Né mancò di cimentarsi con funzioni sottilmente politiche: il suo
vagheggiamento per unalleanza tra Austria e Francia, rafforzabile con ponti
culturali (si fece carico di tradurre in tedesco molti testi teatrali francesi)
e tale da limitare la supremazia prussiana, resterà irrealizzato, ma la
Zuckerkandl svolse più duna missione in tal senso, complice la parentela che –
grazie al matrimonio di sua sorella – si era instaurata con la famiglia Clemenceau. E quando londa nazista la
costringerà alla fuga, lebrea Berta troverà nella Francia una seconda patria.
Il lettore italiano si sarà forse
già imbattuto in questa scrittrice: risale a pochi anni fa la traduzione
(editore Raffaello Cortina) del volume Letà
dellinconscio, scritto dal Nobel Eric
Kandel, in cui si narrano le
benemerenze del salotto Zuckerkandl in campo di divulgazione scientifica. Lì,
tuttavia, Berta entrava in scena quale moglie di una celebrità della medicina:
per accedere al suo troppo a lungo dimenticato lascito pubblicistico arriva,
invece, questo libro targato Archinto, con un titolo – La mia Austria – che occhieggia a Karen Blixen, ma tutto
sommato più congruo delloriginale Österreich
intim. Rispetto allassemblaggio dei
materiali approntato per ledizione viennese da Reinhard Federmann, il
curatore italiano Giuseppe Farese (che firma lampia introduzione
e un apparato di note capillare ma non invasivo) preferisce però fermarsi a
prima dellAnschluss: il sottotitolo
del volume austriaco, scegliendo di coprire mezzo secolo, parla di Memorie dal 1892 al 1942, mentre quello
Archinto recita Ricordi 1892-1937.
Come a dire che lannessione dellAustria alla Germania poneva fine a tutto, e
il resto è silenzio: o, almeno, non più che unappendice.
Sotto forma spesso di rapido
bozzetto, ma sempre icastici come fossero personaggi dun romanzo, scorrono i
protagonisti di quei decenni: Schnitzler e Freud
compagni di strada (fu questultimo a dire che lo scopritore della psicanalisi
non era lui, ma il creatore della Signorina
Else), Mahler e il tormentato
connubio intellettual-amoroso con Alma
Schindler, Roth bardo dellepoca di Francesco Giuseppe, i secessionisti
come indomiti giovanotti in stile Bohème,
Hofmannsthal ucciso dalla morte del
figlio, Johann Strauss inteso quale epitome della viennesità più autentica, Alexander Girardi concentrato di
nevrosi dietro la facciata del re delloperetta. E poi limpenetrabile
malinconia di Zweig, Max Reinhardt capace di rivoluzionare la
regia teatrale asservendo la macchina allo spirito (alla sua creazione del
Festival di Salisburgo sono dedicate le pagine più belle del libro), fino a un Toscanini – amatissimo in Austria – tutto
dun pezzo: che ha tagliato i ponti con lItalia fascistizzata, ma pianta in
asso pure il vergognoso politico austriaco di turno.
Ci si congeda dal libro imparando
a diffidare dei luoghi comuni: se lItalia non è solo pizza e mandolino, Vienna
– si raccomanda la Zuckerkandl – non si limita a «ballerini e violinisti».
Semmai (è un concetto su cui questi scritti insistono spesso) è una città che
prima produce geni, e poi li uccide. Funereo Leitmotiv di un libro che crede molto al pessimismo della ragione:
corretto però da un anticonformistico, e squisitamente femminile, ottimismo
dellintelligenza.
di Paolo Patrizi
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