Mimma Valentino
Il Nuovo Teatro in Italia. 1976 – 1985
Titivillus, Corazzano (PI), 2015, pp. 584, euro 22.00
ISBN 978-88-7218-392-2
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«Debbo
confessare che organizzare una rassegna significa anzitutto scrivere un saggio,
organizzare un libro; la considero unattività eminentemente critica, e come
tale va letta e analizzata anche dallo spettatore, dagli spettatori» (G.
Bartolucci, Salerno/Alla memoria?, in
«La scrittura scenica», 1976, n. 12).
Un protagonista emerge sui nomi di
singoli e di formazioni che abitano larchitettura ben bilanciata di questo
studio: Giuseppe Bartolucci. Il volume
di Mimma Valentino è unanalisi
critico-ricognitiva sul Nuovo Teatro in Italia tra il 1976 e il 1985, ma è anche
un libro di memorie, da storicizzare e condividere, ed è un libro “alla memoria”.
Unoperazione che si legittima sulla base dello spessore di “una memoria”
privata (il lavoro di Bartolucci) che ha fatto la storia della critica teatrale
e che ha influenzato il percorso del Nuovo nel nostro passato prossimo.
Questo studio riepiloga la storia delle
riflessioni di un critico alle prese con la contemporaneità. Non solo. Attraverso
il filtro della distanza prospettica, lautrice rintraccia meriti e demeriti,
conquiste e fallimenti, degli itinerari del Nuovo Teatro individuandone snodi e
occorrenze. Il Nuovo Teatro in Italia
1976-1985 propone un discorso critico sulla scena teatrale di quegli anni sempre in dialogo tra la nozione di cronaca e quella
di storia, più volte ribadite da Lorenzo
Mango nella Introduzione.
Un compito piuttosto arduo se si
considera la prolificazione di nuove esperienze artistiche difficilmente riconducibili a correnti ed etichette.
Mimma Valentino problematizza levoluzione della
nozione critica di Nuovo e “modernità”, a unaltezza cronologica in cui è ampiamente
superato il giro di boa della vivacissima sperimentazione degli anni Sessanta e
Settanta irrorata dalla presenza di ideologie attive.
Dalla metà degli anni Settanta in poi,
cessata la carica ideologica del carillon
della contestazione sessantottina, il discorso sulla sperimentazione pare
muovere più da concezioni estetiche, legate allo specifico artistico-teatrale,
che da esigenze di espressione politico-sociali (eccettuando, per discrezione,
le rivendicazioni terzo teatriste). La Valentino sceglie, dunque, di dedicare ciascun
capitolo del suo libro a ognuna di queste nuove tendenze e al loro sviluppo
nellarco cronologico di riferimento sopra registrato.
Si comincia dalle rovine del Teatro
Immagine e del teatro analitico-esistenziale e ci si dirige verso la
Postavanguardia (capitolo I), attraverso i pionieristici debutti di formazioni
come il Carrozzone, La Gaia Scienza o lesperienza di Simone Carrella. Contemporaneamente persiste la Neoavanguardia (capitolo
II), che comprende quegli artisti della generazione precedente che si erano
distinti tra gli anni Sessanta e Settanta con i loro memorabili spettacoli di
rottura: De Berardinis-Peragallo, Carmelo Bene, Cecchi etc. Si fa intanto strada il Terzo Teatro, che vede
formalmente la luce durante lincontro internazionale di Belgrado del 1976,
nellambito del Bitef, e il cui gruppo di punta sarà lOdin Teatret di Eugenio Barba (capitolo III).
Sul finire degli anni Settanta la Nuova
Spettacolarità (capitolo IV) subentra come momento di riflessione su svariati
temi (paesaggio urbano, attore, concetto di modernità), stimolando il graduale
riassorbimento del ruolo della parola e della drammaturgia (capitoli V-VI) in
seno al teatro dei “Nuovissimi” degli anni Ottanta (capitolo VI). Dalle
riflessioni del Teatro Studio di Caserta di Toni Servillo e da quelle di Falso Movimento di Mario Martone – poi confluite nei Teatri Uniti –, lautrice ci accompagna
fino alle fortunate esperienze della Societas Raffello Sanzio, della Valdoca e
delle Albe.
Tuttavia, il quid in più di questo studio è la chiave scelta per la
periodizzazione. Bartolucci la fa da padrone. Il suo discorso critico non solo
è costantemente presente, ma regola il ritmo della narrazione. Gli snodi
cronologici coincidono con “i saggi” e “i libri” dello stesso Bartolucci, ovvero
con le rassegne e gli eventi alla cui ideazione o organizzazione il critico
militante prese parte e che influenzarono il percorso del Nuovo “post Settanta”.
Festival e rassegne (come “Incontro/Nuove tendenze”, Salerno 1973-1976), le iniziative
romane del Beat 72 o più in generale quelle operazioni che permisero al teatro
di invadere gli spazi delle città, o ancora Santarcangelo, fino a Prove dattore (progetto speciale del
teatro di Roma, 1985), vengono letti come “occasioni non sprecate” che contribuirono al lancio di nuove compagnie e di
nuove tendenze e come snodi, appunto, utili allo studioso di oggi per valutare
leffettiva portata dei progetti e delle intenzioni, parametrati alla loro
successiva attuazione e tenuta.
Lultimo capitolo, forse leggermente
ridondante, riepiloga il discorso sul dibattito critico. Il versante
critico-analitico accompagna, come un basso continuo, tutto il volume. Il
capitolo finale recupera allora funzionalità per il fatto di rendere conto
anche dello scontro, molto vivace, che i nuovi linguaggi stimolavano, con riferimento
ai “luoghi fisici” in cui le opposte fazioni trovavano spazio di espressione. Campi
di battaglia, più o meno accoglienti, furono infatti le riviste di settore.
Terzo
atto di un progetto sul contemporaneo, sostenuto dalla scuola napoletana di Mango,
il saggio della Valentino si pone sulla falsariga dei volumi di Daniela Visone, La Nascita del Nuovo Teatro in Italia. 1959-1967 (edito nel 2010) e
di Salvatore Margiotta, Il Nuovo Teatro in Italia 1968-1975 (pubblicato
nel 2013). Un progetto che ha il merito di salvaguardare quel blocco di storia
a noi più vicino che gli studiosi di oggi hanno il dovere di tutelare con
locchio dello storico e, insieme, del cronista.
di Chiara Schepis
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