Lultimo
numero di «8 ½» si apre con un amaro
Editoriale
di Gianni Canova
sullattentato terroristico alla redazione della rivista francese
«Charlie Hebdo». Secondo Canova,
questo attacco racchiude un residuo dellantico pregiudizio
iconoclasta che ha squarciato il mondo e separato Oriente e
Occidente. Di qui la necessità di fare i conti con il potere delle
immagini e di essere «iconofili in tempi iconoclasti» (p.
1).
Proprio al fumetto è
dedicata la sezione Scenari, ricca di contributi, sondaggi e
interviste sulla popolarità dei comics italiani e sul loro
rapporto controverso con la settima arte. Emblematico, per Gabriele
Acerbo, il caso di Diabolik, il personaggio italiano a tuttoggi
più celebre, il quale, a parte la significativa eccezione della
trasposizione operata da Mario Bava nel 1967, non è mai stato
realmente preso in considerazione dai produttori cinematografici
(solo recentemente si è registrato un interesse, in tal senso, da
parte della pay-tv Sky Italia).
Di particolare acume
lanalisi Rocco Moccagat, che nel suo Breve (contro)
storia dei rapporti tra cinema e fumetto italiani si chiede
perché, nonostante abbiano molte cose in comune (sul piano sia
linguistico che industriale), in Italia cinema e fumetto abbiano
sempre vissuto esistenze parallele. Da segnalare, in questo scenario,
loperazione imbastita da Indigo, Salvatores e Panini attorno a Il
ragazzo invisibile, progetto cross-mediale che prevede
luscita, insieme allomonimo film di Gabriele Salvatores,
di un libro e di un fumetto.
La sezione Innovazioni
è interamente dedicata alla fiction italiana e alle sue
recenti evoluzioni. Anche qui numerose sono le interviste a
sceneggiatori, editors e produttori (tra cui lo sceneggiatore
di Romanzo criminale Daniele Cesarano e lautore de I
cerchi nellacqua Umberto Marino). Particolarmente
illuminante lintervento di Giancarlo De Cataldo, che nel
suo Questione di coraggio analizza le strutture produttive e
narrative della nuova serialità italiana, e il ruolo della
sensibilità degli autori nella codifica e nellevoluzione del
proprio lessico.
Anna Rotili
interviene nella sezione Discussioni con il suo Quote sì,
quote no, resoconto dettagliato sulla questione dei diritti tv in
Italia. Lautrice cerca di fare il punto sul vespaio di
polemiche innescato dalla decisione, da parte dellautorità
garante delle telecomunicazioni Agcom, di attuare un regime separato,
in deroga alla legge vigente, per alcuni networks televisivi
stranieri (in particolare Disney, Fox e Discovery). Segue, nella
sezione Fatti, un esaustivo excursus storico sulle
quote obbligatorie di investimento e programmazione delle emittenti
televisive italiane, a cura di DG Cinema e Anica.
Nella rubrica Cinema
Espanso, dedicata al rapporto tra il cinema e le altre arti,
troviamo, tra i tanti, due articoli dedicati a François Truffaut.
Ne Il collezionista di Quaderni Luca Ferrando Battistà
fa un resoconto della mostra dedicata dalla Cinémathèque Française
al maestro della nouvelle vague, concentrandosi in particolare
sulla sua mania per il collezionismo. Si tratta, precisa Battistà,
di un misto tra lossessione nei confronti dei misteri della
creazione artistica e il piacere feticistico per la carta, condiviso
peraltro da molti dei personaggi truffautiani. Nelle pagine seguenti,
il regista Nicola Calocero presenta invece la sua coraggiosa
trasposizione teatrale del celebre libro-intervista Truffaut
intervista Hitchcock. Lo spettacolo, prodotto dalla Fondazione
Musica per Roma, ha debuttato lo scorso 25 novembre al Teatro Studio
Gianni Borgna dellAuditorium Parco della Musica.
Il Focus di questo
numero è dedicato alla Polonia, paese che ha appena ricevuto lOscar
al miglior film straniero per Ida di Pavel Pawlikowski.
Tale pellicola potrebbe rappresentare un valido volano per il cinema
polacco tutto, come sostiene Nicole Bianchi, curatrice di
questo “speciale” in collaborazione con la responsabile progetti
cinema dellIstituto Polacco di Roma Marta Sputowska. Da
sempre fucina di talenti universalmente apprezzati (Krzysztof
Kieślowski, Andrzej Wajda, Roman Polański,
Krzysztof Zanussi, Stanisław Bareja), il cinema
polacco si dimostra capace di sfatare i pregiudizi che lo
accompagnano (grigio, lento, elitario), spaziando tra i generi e tra
i registri narrativi più diversi. Centro nevralgico di questa
svolta, come osserva Łukasz Maciejewski, potrebbe essere la
Scuola Cinematografica di Łódź, riconosciuta dalla rivista «The
Hollywood Reporter» come la seconda migliore al mondo, dopo la
londinese National Film and Television School. Il dossier indaga,
infine, il ruolo chiave del Polish Film Institute, e si chiude con
unintervista a Rebecca Lenkiewicz, co-sceneggiatrice di
Ida, e con una descrizione dei due principali festival
nazionali, il Gdynia Film Festival e il Warsaw Film Festival.
Da segnalare
lintroduzione, allinterno della rivista, di una sezione
Anniversari, dedicata ai film italiani che compiono
cinquantanni. Si inizia con Signore & Signori di Pietro
Germi, analizzato da Stefano Stefanutto Rosa, il quale,
evidenziando gli aspetti più autobiografici dellopera, cerca di
descrivere il contesto produttivo e la (tiepida) accoglienza della
critica italiana alla pellicola. Segue una corposa intervista a
Francesco Massaro, allepoca assistente alla regia di Germi,
che sottolinea soprattutto come il talento del regista genovese
prescinda dalle star di volta in volta imposte dallestablishment,
essendo già diventato il suo nome un vero e proprio marchio di
fabbrica della commedia allitaliana.
Per finire, seguono,
nella sezione Ricordi, due doverosi requiem a Virna
Lisi e Francesco Rosi, entrambi recentemente scomparsi.
Alla prima, che proprio interpretando il ruolo di cassiera sexy
in Signore & Signori ha riportato uno dei suoi primi
grandi successi, è dedicato un articolo di Orio Caldiron,
che si concentra sui suoi esordi. Il compito di omaggiare il regista
de Le Mani sulla città, invece, è affidato a Roberto
Andò, che raccontando il suo incontro con Rosi ne sottolinea il
rigoroso magistero, erede di Visconti. Dalla filmografia del
maestro siciliano, coerente e unica nel panorama internazionale,
emerge una concezione del cinema (o meglio, del cinematografo)
come traccia di una realtà, come arte che sancisce e celebra
lautorevolezza del reale: sta qui, secondo Andò, leredità di
Germi.
di Raffaele Pavoni
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