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8 ½
Numeri, visioni e prospettive del cinema italiano

A cura di Gianni Canova, Giancarlo Di Gregorio

Anno III, n. 19, marzo 2015, pp. 96, € 5,50
ISSN 2281-5597

L’ultimo numero di «8 ½» si apre con un amaro Editoriale di Gianni Canova sull’attentato terroristico alla redazione della rivista francese «Charlie Hebdo». Secondo Canova, questo attacco racchiude un residuo dell’antico pregiudizio iconoclasta che ha squarciato il mondo e separato Oriente e Occidente. Di qui la necessità di fare i conti con il potere delle immagini e di essere «iconofili in tempi iconoclasti» (p. 1).

Proprio al fumetto è dedicata la sezione Scenari, ricca di contributi, sondaggi e interviste sulla popolarità dei comics italiani e sul loro rapporto controverso con la settima arte. Emblematico, per Gabriele Acerbo, il caso di Diabolik, il personaggio italiano a tutt’oggi più celebre, il quale, a parte la significativa eccezione della trasposizione operata da Mario Bava nel 1967, non è mai stato realmente preso in considerazione dai produttori cinematografici (solo recentemente si è registrato un interesse, in tal senso, da parte della pay-tv Sky Italia).

Di particolare acume l’analisi Rocco Moccagat, che nel suo Breve (contro) storia dei rapporti tra cinema e fumetto italiani si chiede perché, nonostante abbiano molte cose in comune (sul piano sia linguistico che industriale), in Italia cinema e fumetto abbiano sempre vissuto esistenze parallele. Da segnalare, in questo scenario, l’operazione imbastita da Indigo, Salvatores e Panini attorno a Il ragazzo invisibile, progetto cross-mediale che prevede l’uscita, insieme all’omonimo film di Gabriele Salvatores, di un libro e di un fumetto.

La sezione Innovazioni è interamente dedicata alla fiction italiana e alle sue recenti evoluzioni. Anche qui numerose sono le interviste a sceneggiatori, editors e produttori (tra cui lo sceneggiatore di Romanzo criminale Daniele Cesarano e l’autore de I cerchi nell’acqua Umberto Marino). Particolarmente illuminante l’intervento di Giancarlo De Cataldo, che nel suo Questione di coraggio analizza le strutture produttive e narrative della nuova serialità italiana, e il ruolo della sensibilità degli autori nella codifica e nell’evoluzione del proprio lessico.

Anna Rotili interviene nella sezione Discussioni con il suo Quote sì, quote no, resoconto dettagliato sulla questione dei diritti tv in Italia. L’autrice cerca di fare il punto sul vespaio di polemiche innescato dalla decisione, da parte dell’autorità garante delle telecomunicazioni Agcom, di attuare un regime separato, in deroga alla legge vigente, per alcuni networks televisivi stranieri (in particolare Disney, Fox e Discovery). Segue, nella sezione Fatti, un esaustivo excursus storico sulle quote obbligatorie di investimento e programmazione delle emittenti televisive italiane, a cura di DG Cinema e Anica.

Nella rubrica Cinema Espanso, dedicata al rapporto tra il cinema e le altre arti, troviamo, tra i tanti, due articoli dedicati a François Truffaut. Ne Il collezionista di Quaderni Luca Ferrando Battistà fa un resoconto della mostra dedicata dalla Cinémathèque Française al maestro della nouvelle vague, concentrandosi in particolare sulla sua mania per il collezionismo. Si tratta, precisa Battistà, di un misto tra l’ossessione nei confronti dei misteri della creazione artistica e il piacere feticistico per la carta, condiviso peraltro da molti dei personaggi truffautiani. Nelle pagine seguenti, il regista Nicola Calocero presenta invece la sua coraggiosa trasposizione teatrale del celebre libro-intervista Truffaut intervista Hitchcock. Lo spettacolo, prodotto dalla Fondazione Musica per Roma, ha debuttato lo scorso 25 novembre al Teatro Studio Gianni Borgna dell’Auditorium Parco della Musica.

Il Focus di questo numero è dedicato alla Polonia, paese che ha appena ricevuto l’Oscar al miglior film straniero per Ida di Pavel Pawlikowski. Tale pellicola potrebbe rappresentare un valido volano per il cinema polacco tutto, come sostiene Nicole Bianchi, curatrice di questo “speciale” in collaborazione con la responsabile progetti cinema dell’Istituto Polacco di Roma Marta Sputowska. Da sempre fucina di talenti universalmente apprezzati (Krzysztof  Kieślowski, Andrzej Wajda, Roman Polański, Krzysztof Zanussi, Stanisław Bareja), il cinema polacco si dimostra capace di sfatare i pregiudizi che lo accompagnano (grigio, lento, elitario), spaziando tra i generi e tra i registri narrativi più diversi. Centro nevralgico di questa svolta, come osserva Łukasz Maciejewski, potrebbe essere la Scuola Cinematografica di Łódź, riconosciuta dalla rivista «The Hollywood Reporter» come la seconda migliore al mondo, dopo la londinese National Film and Television School. Il dossier indaga, infine, il ruolo chiave del Polish Film Institute, e si chiude con un’intervista a Rebecca Lenkiewicz, co-sceneggiatrice di Ida, e con una descrizione dei due principali festival nazionali, il Gdynia Film Festival e il Warsaw Film Festival.

Da segnalare l’introduzione, all’interno della rivista, di una sezione Anniversari, dedicata ai film italiani che compiono cinquant’anni. Si inizia con Signore & Signori di Pietro Germi, analizzato da Stefano Stefanutto Rosa, il quale, evidenziando gli aspetti più autobiografici dell’opera, cerca di descrivere il contesto produttivo e la (tiepida) accoglienza della critica italiana alla pellicola. Segue una corposa intervista a Francesco Massaro, all’epoca assistente alla regia di Germi, che sottolinea soprattutto come il talento del regista genovese prescinda dalle star di volta in volta imposte dall’establishment, essendo già diventato il suo nome un vero e proprio marchio di fabbrica della commedia all’italiana.

Per finire, seguono, nella sezione Ricordi, due doverosi requiem a Virna Lisi e Francesco Rosi, entrambi recentemente scomparsi. Alla prima, che proprio interpretando il ruolo di cassiera sexy in Signore & Signori ha riportato uno dei suoi primi grandi successi, è dedicato un articolo di Orio Caldiron, che si concentra sui suoi esordi. Il compito di omaggiare il regista de Le Mani sulla città, invece, è affidato a Roberto Andò, che raccontando il suo incontro con Rosi ne sottolinea il rigoroso magistero, erede di Visconti. Dalla filmografia del maestro siciliano, coerente e unica nel panorama internazionale, emerge una concezione del cinema (o meglio, del cinematografo) come traccia di una realtà, come arte che sancisce e celebra l’autorevolezza del reale: sta qui, secondo Andò, l’eredità di Germi.


di Raffaele Pavoni


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