Il numero 578 della
rivista quadrimestrale «Bianco&Nero» è dedicato al fenomeno delle Film
Commission, ovvero quegli enti (per lo più a carattere regionale) che
sostengono la realizzazione di film e di serie tv in un determinato territorio,
promuovendo realtà (paesaggistiche) periferiche.
Al dialogo fra film e
territorio è dedicata la prima parte della rivista, intitolata I magnifici
set. I primi due interventi, rispettivamente a cura di Andrea Rocco (direttore
della Genova-Liguria Film Commission) e Marco Cucco, tracciano le
coordinate storiche delle Film Commission.
In Tutto cominciò a
Moab, Utah, Rocco racconta
la genesi di tali enti, dalla nascita dei primi uffici daccoglienza per le troupes
cinematografiche statunitensi a Moab (Utah) e a Big Bear
(California) fino alla fondazione, nel 1975, della Afci (Associazione
Internazionale Film Commission). Inoltre, il saggio affronta le questioni
legate agli enti nel nostro paese: la loro caotica costituzione, spesso per iniziativa
individuale; la successiva istituzionalizzazione; la definitiva affermazione
sancita dal primo convegno nazionale tenutosi alla Casa del Cinema di Roma nel
giugno del 2009.
Il contributo di Cucco (Regioni
alla ribalta: vizi e virtù di un incipiente federalismo cinematografico)
affronta il problema del rapporto fra Film Commission, Regioni e Stato,
a cominciare dalla Riforma del Titolo V della Costituzione, entrata in vigore
nellottobre del 2000. Secondo tale provvedimento, spetta alle Regioni legiferare
nel dettaglio in materia di spettacolo e attività culturali, determinando da un
lato una diminuzione dei finanziamenti statali per le opere audiovisive, dallaltro
un aumento degli investimenti da parte delle Regioni stesse.
Il saggio di Vito
Zagarrio, LAtlantide delle emozioni. Modi di produzione, modi di
rappresentazione del territorio, apre invece la sezione dinterventi a
carattere critico-estetico. Traendo spunto da due recenti film, La luna
sopra Torino (Davide Ferrario, 2013) e In grazia di Dio (Edoardo
Winspeare, 2013), e dal loro rapporto con il luogo in cui sono stati
rispettivamente girati (Torino nel primo caso, il Salento nel secondo),
Zagarrio riflette sulla capacità del cinema di valorizzare il paesaggio, ma
anche su come il paesaggio possa contribuire alla realizzazione di un film.
Paesaggi della crisi (e
crisi del paesaggio)
di Luca Malavasi sposta invece lattenzione sullimpatto della crisi
economica sul cinema contemporaneo e, in particolare, sul paesaggio
cinematografico. Secondo Malavasi, nei film che “mettono in scena” la crisi
viene esibita e portata agli estremi la contrapposizione fra centro e periferia.
Il paesaggio periferico, sempre più “usato” dal cinema italiano negli ultimi
anni, è rappresentato attraverso un collage di luoghi spersonalizzati.
Ricco di interesse è il
saggio di Antioco Floris dedicato alla Nouvelle Vague del cinema sardo. Lisola
che non cera. Cinema sardo vecchio e nuovo dal folklore alla modernità
racconta la storia della Sardegna come set cinematografico. Dapprima “sfruttata” da registi
“stranieri” e raccontata solo come paesaggio rurale e arcaico, la Sardegna è
stata successivamente “conquistata” e valorizzata da registi autoctoni come Gianfranco
Cabiddu (Il figlio di Bakunin, 1997), i quali hanno saputo offrire
una rinnovata immagine della regione, riuscendo a coglierla soprattutto nel suo
rapporto,
spesso contraddittorio,
con la modernità.
I saggi di Lucca
Barra e Paola Valentini spostano invece lattenzione sulla
televisione. LItalia in vetrina. Spazi e modelli produttivi della soap
opera televisiva di Barra analizza alcune delle soap italiane più
famose: Un posto al sole (Rai, dal 1996), ambientata a Napoli; Vivere
(Mediaset, 1999-2008), a Como; Centovetrine (Mediaset, dal 2001), a
Torino; Agrodolce (Rai, 2008-2009), in Sicilia. Nel saggio vengono messi
in evidenza i fattori economico/produttivi che hanno determinano la scelta dei
set. Nel caso di Un posto al sole, ad esempio, la scelta di Napoli è
stata dettata dalla volontà della Rai di rivitalizzare la propria sede partenopea;
nel caso di Agrodolce è stata la Sicilia stessa a offrirsi di
co-finanziare la soap.
Paola Valentini (Sbirri
e boss purché di provincia) analizza le fictions poliziesche
italiane degli ultimi anni. In controtendenza rispetto al cinema noir e
alla contemporanee serie poliziesche prodotte in Europa, le fictions
italiane sembrano preferire allo spazio urbano quello provinciale, conseguenza
di un processo di valorizzazione del territorio voluto dalle Film commission.
Inoltre, nelle opere italiane il paesaggio non diventa mai ambiente (a
differenza della maggior parte dei serials americani), ma fa da sfondo allo
sviluppo della narrazione.
Conclude questa prima
parte un contributo di Monica DallAsta, Giacomo Grassi e Lucia
Malerba sul “ruolo periferico” di alcune realtà cinematografiche, La
sala fai da te e i film li scelgono gli spettatori. In particolare, al centro della riflessione sono tre sale
cinematografiche che, a seguito della crisi, hanno cercato di intraprendere una
via alternativa di distribuzione del prodotto audiovisivo: il CineMacello di
Milano, il Kino di Roma e lAssociazione Kinodromo di Bologna. Queste ultime
hanno fatto della sala cinematografica non solo un luogo di fruizione di opere
“dimenticate” dalla distribuzione, ma soprattutto uno
spazio di
confronto, nel quale lo spettatore diviene parte attiva di un progetto
culturale atto a promuovere il cinema indipendente e la cultura legata alla
settima arte.
La seconda parte del
volume si apre con un articolo di Domenico Monetti (Bagliori nel
buio. I restauri della Cineteca Nazionale) sulle pellicole restaurate dalla
Cineteca Nazionale in programma alla rassegna bolognese Il Cinema Ritrovato e al Festival del Cinema di Venezia. La sezione
I mestieri del CSC contiene invece unintervista al regista Daniele
Luchetti a cura di Nicola Lusuardi (Allenatevi come marines e
forse diventerete registi) e un articolo (Cross Channel Film Lab) che raccoglie le testimonianze dei
partecipanti a un gruppo di lavoro franco-britannico per lo sviluppo di
progetti cinematografici innovativi in 3D.
Chiude il volume, come
di consueto, la rubrica Laltra serialià, a cura di Ce.R.T.A (Centro di
ricerca sulla televisione e gli audiovisivi, Università Cattolica di Milano). In Visto da Israele
Miri Talmon riflette sulle modalità di adattamento negli Stati Uniti
delle serie tv israeliane Betipul e Hatoofilm, rispettivamente
allorigine delle serie In Treatment e Homeland.
di Diego Battistini
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