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Imago
Studi di cinema e media

A cura di Stefania Parigi e Giacomo Ravesi

Anno V, n. 9, 2014, pp. 278, € 20
ISSN 2038-5536

Il numero nove di «Imago», curato da Stefania Parigi e Giacomo Ravesi, raccoglie numerosi saggi a firma di alcuni dei più importanti studiosi di cinema e media. Filo conduttore, l’analisi del paesaggio come elemento imprescindibile dell’attuale filmografia.

Nella sezione Topologie, Martin Lefeuvre riflette Sul paesaggio nel cinema narrativo passando in rassegna «alcuni dei termini principali e delle condizioni di possibilità per svolgere tipi d’analisi del paesaggio cinematografico» (p. 25).

In Dentro il paesaggio: natura e artefatto, Antonio Costa fa il punto sulla “rappresentazione” degli elementi naturali di aria, terra, acqua e fuoco nel cinema. Attraverso exempla, quali i movimenti dell’aria in Il diamante bianco (2005) di Werner Herzog o la componente acquatica di numerosi film francesi, Costa dimostra come nel cinema contemporaneo l’accostamento di immagini evocative dei quattro elementi, con l’aiuto dei sempre più invasivi effetti speciali, provochi stimolazioni sensoriali che sembrano «aver progressivamente perso legami con la realtà esterna e che si pongono come pura attrazione» (p. 57). 

Nella sezione Geografie, Flavio De Bernardinis, partendo dal genere phantom rides del cinema delle origini, si concentra sulla filmografia americana. Dalle immagini delle locomotive che sfrecciano sui binari a quelle prodotte dalle logiche “immersive” della postmodernità, la tecnologia sembra aver influenzato in modo decisivo la rappresentazione del paesaggio.

Alberto Pezzotta prende in esame il paesaggio nel cinema cinese mettendo in evidenza l’uso di un linguaggio tipicamente occidentale nella filmografia della Repubblica Popolare Cinese, di Hong Kong e di Taiwan e riflettendo su come tale linguaggio sia stato di volta in volta declinato in quei differenti contesti culturali.

Alcuni film italiani sono al centro del saggio di Vito Zagarrio che approfondisce il ruolo del paesaggio nel nostro cinema tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio. Il contributo di Leonardo di Franceschi delinea invece alcune modalità di configurazione del paesaggio nel cinema africano.

La sezione Attraversamenti mette sul piatto alcune questioni inerenti alla forma documentaria, alla tecnologia digitale, alle arti sperimentali e alle architetture urbane. A tal proposito, il saggio di Marco Bertozzi (Anacronismi e paesaggi documentari) esamina tre film recenti – My Winnipeg (2007) di Guy Maddin, Grizzly Man (2005) di Werner Herzog e 5 Cameras Broken (2011) di Emad Burnat e Guy Davidi –, analizzando le derive e le trasformazioni dell’oggetto documentario che nel nuovo millennio si appresta a mutare fisionomia e ad abbattere gli steccati tra realtà e finzione.

In questa sezione desta particolare interesse il saggio di Giacomo Ravesi, La metropoli tra arti e media, dedicato all’intermedialità. Secondo Ravesi, in virtù della ibridazione tra linguaggi e dispositivi artistici e mediali, la metropoli rappresenta il paesaggio più emblematico della nostra contemporaneità. Tra maxiproiezioni, schermi e cartellonistica pubblicitaria, «sono ormai la città (e le immagini) i nostri “paesaggi naturali”» (p. 158). 

La sezione Figure è dedicata ad alcuni aspetti peculiari del paesaggio, legati alla rappresentazione della memoria, al culto dei morti, agli spazi della guerra, alle catastrofi naturali, ai percorsi di frontiera o, semplicemente, alla valenza simbolica di luoghi ripresi e consacrati dal cinema. Attraverso l’analisi di tre film –  Japón (2002) di Carlos Reygadas, Entre chien et loup (2006) di Jeon Soo-il e Liverpool (2008) di Lisandro Alonso –, Jaques Aumont (in L’origine del crimine: i luoghi della memoria) cerca di esplorare il concetto di paesaggio nel cinema, inteso come spazio inserito nel tempo, e il modo con cui nascono le immagini dei luoghi della memoria evocanti – di volta in volta –  la Storia, i ricordi e il passato.

In uno dei contributi più interessanti di tale sezione (Decomposizioni dell’assenza: il paesaggio sepolcrale), Mattia Cinquegrani investiga le declinazioni di un topos del cinema horror, il cimitero, nell’ambito di altri generi filmici. La distesa di tombe, ad esempio, diventa luogo di confine e di passaggio nel documentario di Gianfranco Rosi Sacro GRA (2013), mentre in Holy Motors di Leos Carax (2012) si trasforma in set fotografico. 

Infine, i differenti percorsi di alcuni registi sono al centro della sezione Autori. Giorgio Tinazzi si concentra sul percorso del greco Theo Angeloupoulos che fa del paesaggio una costante dei suoi film legati al viaggio. Rinaldo Censi fa una panoramica sugli spazi tra finzione e realtà di Straub e Huillet. Lo sguardo verso orizzonti infiniti, parabola della filmografia dell’iraniano Abbas Kiarostami, è oggetto del saggio di David Bruni. Chiude questa breve carrellata il pezzo di Maria Faccio dedicato al giovane regista italiano Michelangelo Frammartino.

Completa il numero di «Imago» una bibliografia essenziale aggiornata con le voci dei più recenti studi sul paesaggio cinematografico.


di Nicola Stefani


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