Il
numero nove di «Imago», curato da Stefania
Parigi e Giacomo Ravesi,
raccoglie numerosi saggi a firma di alcuni dei più importanti studiosi di
cinema e media. Filo conduttore, lanalisi del paesaggio come elemento
imprescindibile dellattuale filmografia.
Nella
sezione Topologie, Martin Lefeuvre riflette Sul paesaggio nel cinema narrativo passando
in rassegna «alcuni dei termini principali e delle condizioni di possibilità
per svolgere tipi danalisi del paesaggio cinematografico» (p. 25).
In
Dentro il paesaggio: natura e artefatto,
Antonio Costa fa il punto sulla
“rappresentazione” degli elementi naturali di aria, terra,
acqua e fuoco nel cinema. Attraverso exempla,
quali i movimenti dellaria in Il
diamante bianco (2005) di Werner
Herzog o la componente acquatica di numerosi
film francesi, Costa dimostra come nel cinema contemporaneo laccostamento di
immagini evocative dei quattro elementi, con laiuto dei sempre più invasivi
effetti speciali, provochi stimolazioni sensoriali che sembrano «aver
progressivamente perso legami con la realtà esterna e che si pongono come pura
attrazione» (p. 57).
Nella
sezione Geografie, Flavio
De Bernardinis, partendo dal genere phantom rides del cinema delle
origini, si concentra sulla filmografia americana. Dalle immagini delle
locomotive che sfrecciano sui binari a quelle prodotte dalle logiche “immersive”
della postmodernità, la tecnologia sembra aver influenzato in modo decisivo la
rappresentazione del paesaggio.
Alberto Pezzotta prende in esame il
paesaggio nel cinema cinese mettendo in evidenza luso di un linguaggio
tipicamente occidentale nella filmografia della Repubblica Popolare Cinese, di
Hong Kong e di Taiwan e riflettendo su come tale linguaggio sia stato di volta
in volta declinato in quei differenti contesti culturali.
Alcuni film italiani sono al centro del saggio di Vito Zagarrio che approfondisce il ruolo del paesaggio nel nostro
cinema tra la fine del secolo scorso e linizio del nuovo millennio. Il
contributo di Leonardo di Franceschi
delinea invece alcune modalità di configurazione del paesaggio nel cinema
africano.
La sezione Attraversamenti mette sul piatto
alcune questioni inerenti alla forma documentaria, alla tecnologia digitale,
alle arti sperimentali e alle architetture urbane. A tal proposito, il saggio
di Marco Bertozzi (Anacronismi e
paesaggi documentari) esamina tre film recenti – My Winnipeg (2007)
di Guy Maddin, Grizzly Man
(2005) di Werner Herzog e 5 Cameras Broken (2011) di Emad Burnat e Guy Davidi –, analizzando le derive e le trasformazioni delloggetto
documentario che nel nuovo millennio si appresta a mutare fisionomia e ad
abbattere gli steccati tra realtà e finzione.
In questa sezione desta particolare interesse il
saggio di Giacomo Ravesi, La metropoli tra arti e media, dedicato allintermedialità.
Secondo Ravesi, in virtù della ibridazione tra linguaggi e dispositivi
artistici e mediali, la metropoli rappresenta il paesaggio più emblematico della
nostra contemporaneità. Tra maxiproiezioni, schermi e cartellonistica
pubblicitaria,
«sono ormai la città (e le immagini) i nostri “paesaggi naturali”» (p. 158).
La sezione Figure è dedicata ad alcuni
aspetti peculiari del paesaggio, legati alla rappresentazione della memoria, al culto dei
morti, agli spazi della guerra, alle catastrofi naturali, ai percorsi di
frontiera o, semplicemente, alla valenza simbolica di luoghi ripresi e
consacrati dal cinema. Attraverso lanalisi di tre film – Japón (2002) di Carlos Reygadas, Entre chien et loup (2006) di Jeon Soo-il e Liverpool (2008)
di Lisandro Alonso –, Jaques Aumont (in Lorigine del
crimine: i luoghi della memoria) cerca di esplorare il concetto di
paesaggio nel cinema, inteso come spazio inserito nel tempo, e il modo con cui
nascono le immagini dei luoghi della memoria evocanti – di volta in volta
– la Storia, i ricordi e il passato.
In uno dei contributi più interessanti di tale sezione (Decomposizioni dellassenza: il paesaggio
sepolcrale), Mattia Cinquegrani investiga
le declinazioni di un topos del cinema horror, il cimitero, nellambito
di altri generi filmici. La distesa di tombe, ad esempio, diventa luogo di
confine e di passaggio nel documentario di Gianfranco
Rosi Sacro GRA (2013), mentre in Holy Motors di Leos Carax (2012) si trasforma in set
fotografico.
Infine, i differenti percorsi di alcuni registi sono
al centro della sezione Autori. Giorgio
Tinazzi si concentra sul percorso del greco Theo Angeloupoulos che fa del paesaggio una costante dei suoi film
legati al viaggio. Rinaldo Censi fa
una panoramica sugli spazi tra finzione e realtà di Straub e Huillet. Lo
sguardo verso orizzonti infiniti, parabola della filmografia delliraniano Abbas Kiarostami, è oggetto del saggio
di David Bruni. Chiude questa breve
carrellata il pezzo di Maria Faccio
dedicato al giovane regista italiano Michelangelo
Frammartino.
Completa il numero di «Imago» una bibliografia
essenziale aggiornata con le voci dei più recenti studi sul paesaggio
cinematografico.
di Nicola Stefani
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