Partiamo dal testo e dallobiettivo che il Living insegue anche con il celebre spettacolo che questo libro prende in esame: “Codificare latto performativo della ‘maschera tragica di Antigone in un nuovo modello iconico interartistico: una figura danzante che ‘fa parola con tutto il corpo”.
Se ad ogni oggetto corrisponde uno specifico strumento danalisi ‘Antigone di Sofocle-Brecht per il Living Theatre di Eva Marinai è un libro che si fa carico di indagare un nuovo modello iconico interartistico; è imprescindibile allora elencare come prima caratteristica atta a descrivere questo testo la sua pluridisciplinarità. Seguendo la trama di un ricamo arabescato, dalla complessa densità, la lettura del testo permette un viaggio allindietro nello scenario artistico e culturale del secondo dopoguerra, attraverso una prospettiva critica dal profilo internazionale e interdisciplinare.
Lungi dal limitarsi alla sola analisi dello spettacolo del titolo, lautore ricrea ‘The Living Theatre World attraverso una contestualizzazione calibrata per mezzo di quella distanza critica che oggi comincia a rendere il discorso meno soggetto alle temperie della contemporaneità. Vengono quindi delineati atteggiamenti, forme, modelli e infine produzioni sceniche del gruppo inserendole nella cornice del loro particolarissimo retroterra culturale. Ecco dunque insinuarsi, senza comporre quadri a sé stanti ma irrorando la traccia di fondo, i riferimenti al coté artistico nel quale si forma Julian Beck e attraverso cui matura la sua posizione ideologica, oppure il debito di Judith Malina nei confronti di Erwin Piscator. Attraverso i viaggi e gli scambi della compagnia vengono poi evidenziate, grazie ad un lavoro attento di ricostruzione ‘archeologica, le suggestioni visive, sonore, sociali nelle quali il Living Theatre si è imbattuto e che sono in qualche misura entrate a far parte del particolare codice espressivo del gruppo.
Ma cominciamo dallinizio. Il libro inizia come comincia un racconto: “È durante il viaggio ad Atene del 1961 che Julian Beck e Judith Malina si imbattono nellAntigonemodell 1948 di Bertolt Brecht”. Ecco dunque gli ingredienti che rendono questo giallo particolarmente affascinante: il Living Theatre, il mito di Antigone, Bertolt Brecht.
Nei primi capitoli lattenzione è rivolta ad un attento scandaglio delloperazione di riscrittura portata avanti dalla Malina. Drammaturga atipica, Judith Malina si fa carico della necessità di rendere fruibile Antigone ai suoi contemporanei in quanto exemplum che attraverso la chiave espressiva adatta al proprio teatro politico può nei fatti imporsi come ulteriore momento di riflessione (dopo Frankenstein e The Brig) “sul tema del mostruoso insito nelluomo”. Attraverso questo nocciolo tematico, che lintero gruppo percepisce come urgenza da gridare (ed ecco Artaud), il problema della riscrittura travalica la necessità filologica di non contraddire la poetica brechtiana, quella dellinterpretazione del mito nella Storia e ancora la poetica sofoclea. La chiave è il mostruoso, sia esso rintracciato nella Grecia antica, nel nazismo tedesco o nellimperialismo americano. Lobiettivo è chiaro: trovare un mezzo che possa esprimere lorrore di un mondo retto dallodio delluomo contro laltro uomo. Su questa base il problema per il Living non è di carattere interpretativo ma di matrice pratica: come veicolare questo orrore oggi? Come raggiungere oggi la coscienza collettiva?
“È necessario cominciare dalla fine - ci avverte lautore in medias res - per capire qual è il legame tra la corporeità dellattore e la scrittura scenica”, la questione rimane salda sulla ricerca di un nuovo codice espressivo e il suggerimento della Marinai non a caso propone di guardare allinsieme, “dalla fine”, ovvero di considerare il percorso ma da una prospettiva diversa, aggiornata rispetto a quello che era stato il punto di vista di critici e studiosi che hanno osservato inevitabilmente da vicino i fatti. La ‘fine, dovendo fare un discorso interno alla vita scenica dello spettacolo, è costituita dallultima rappresentazione dellAntigone nel 1970 (anche se poi la pièce verrà ripresa) e da un aneddoto registrato nel “diario di bordo” della compagnia dalla stessa Malina: un ragazzo disperato sale sul palco e crede di potersi inserire nella rappresentazione. Questo gesto, tragico perché dallesito negativo, da un lato chiarisce alla compagnia limpossibilità di poter far rimanere il pubblico al suo posto dopo lo strappo di Paradise Now, dallaltro evidenzia la differenza tra attore e spettatore, tra teatro e vita, messaggio forse malinteso dalla critica coeva fuorviata da un codice nuovo, inedito, tendente allautenticità ma pur sempre intriso di una carica estetica straordinaria e strutturata su più livelli.
Questo studio mette in luce, vivisezionandola, la struttura del codice espressivo del Living, proponendo dei risultati che travalicano il caso-Antigone ma di cui il caso specifico si fa esemplare campo di studio. Tale possibilità è fornita allautore da due preziosi documenti reperiti attraverso uno sforzo di vivace ricerca: il video integrale dello spettacolo registrato al teatro Petruzzelli di Bari nel 1980, ma soprattutto le registrazioni radiofoniche dellAntigone, effettuate da Gerardo Guerrieri durante alcune repliche romane del Living nel 1967. Se il video dello spettacolo permette unattenta analisi del codice mimico-gestuale e scenico-coreografico, è la registrazione radiofonica a consentire una concentrazione finora inedita sul “corpo sonoro” del Living Theatre inteso nella sua accezione musicale ma anche verbale.
Attraverso il video, “azione per azione”, viene analizzato il linguaggio corporeo del gruppo; sono molti i fotogrammi ad essere bloccati in icone, dati indiziali per ricostruire le suggestioni da cui nascono. La ricerca iconografica sui riferimenti del Living spazia da immagini del mondo reale (fotografie) alla poetica avanguardistica di cui Beck si è nutrito, includendo anche fonti artistiche preistoriche e ancestrali. Lidentificazione di questo background, parallelamente allo sguardo dinsieme sulla scena, permette un discorso critico sulle coreografie che denunciano un interesse e una conoscenza profonda dei meccanismi della danza, soprattutto orientale, aspetto questo ancora poco studiato.
La registrazione, dal canto suo, consente un ascolto nuovo che, supportato da competenze musicologiche precipue, ha arricchito il libro dellindagine del coté musicale a cui il Living fa riferimento e ha permesso di isolare “suono per suono” quelluniverso evocativo cha ha reso lo spettacolo godibile anche attraverso il solo senso delludito. Si tratta di una vera e propria “analisi dello spettacolo condotta, per così dire, sulla colonna sonora”. Da sottolineare è senza dubbio il fatto di aver portato avanti, anche in questo caso, unanalisi parallela sulla musica-suono e sul linguaggio verbale. È stato chiarito, per esempio, il fatto che quello che sembrava un basso continuo di fondo è in realtà costituito dai 1.304 versi del Modelbook brechtiano, di cui il Living riproponeva, attraverso “versi-ponte”, le didascalie tradotte però nella lingua del paese in cui lo spettacolo veniva messo in scena. Sul versante musicale vengono rintracciati e ricostruiti i riferimenti frutto della cultura e dei viaggi del gruppo: dal coro antico greco allorganum medievale, dalla preghiera spiritual al gospel, fino alle sonorità tribali: “una musicalità povera, scarna, ma fortemente emozionale, un bagno nelle origini del suono”. Il suono riconquista così quella centralità che il Living gli aveva riservato suggellando, non a caso, attraverso un suono il finale mitologizzante di Antigone: il fragoroso applauso del pubblico (suono autoprodotto) che traduce laggressione degli spettatori-argivi sugli attori-tebani, muti.
Sono questi solo alcuni spunti di riflessione suggeriti da ‘Antigone di Sofocle-Brecht per il Living Theatre, un libro interessante che riassume unoperazione di ricerca di cui si sente oggi necessità per capire fino in fondo limpatto che il teatro di questo mitico gruppo ha avuto sul contraddittorio panorama del nostro rinnovamento teatrale dal secondo dopoguerra ad oggi.
di Chiara Schepis
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