Il cinema negli anni Trenta è frutto del lungo e accurato lavoro di ricerca di Fabio Andreazza sul percorso professionale di Ettore M. Margadonna, dallimpegno nella critica e saggistica cinematografica, alla redazione di soggetti e sceneggiature.
Nellattività giornalistica, Margadonna assiste alla fase magmatica di formazione della critica cinematografia italiana, partecipandovi attivamente esponendo le proprie idee su questioni fondamentali come «transizione dal muto al sonoro, divismo, autorialità, generi, recitazione, politica industriale, ecc»[1].
Il volume di cui qui ci occupiamo, allude non tanto – o meglio non solo – al cinema prodotto negli anni Trenta, quanto piuttosto a quello che in quel decennio viene pensato e analizzato da Margadonna attraverso la sua attività di saggista e giornalista. Ne consegue una raccolta concentrata principalmente sugli scritti apparsi su «Comoedia» (1930-34), molti dei quali confluiranno in seguito in Cinema ieri e oggi (1932), prima storia del cinema pubblicata in Italia. A questi, su un versante più divulgativo si affiancano gli articoli redatti per il rotocalco popolare «Cinema Illustrazione» e, dopo il “divorzio” da Rizzoli, i testi apparsi sul settimanale «LEco del Mondo» caratterizzati dalla marcata connotazione politica (pur antifascista, Margadonna si iscrive al sindacato fascista dei giornalisti, assumendo posizioni allineate al regime) e dallinteresse per lo sviluppo della produzione cinematografica nazionale, espresso nella posizione protezionistica dellautore. Lattenzione per il pubblico popolare rimarrà una costante nella sua produzione critica, dalla quale emerge la concezione del cinema come unarte essenzialmente popolare, che possiede al tempo stesso i connotati dellindustria e la cifra dellArte.
Il cinema come “rapsodo del nostro tempo” e il concetto crociano del regista come unico autore del film saranno due tra i principali leitmotiv della sua “poetica” cinematografica, mentre il passaggio al sonoro costituirà loccasione per celebrare i fasti del muto, individuando negli anni Venti il decennio di massima maturità espressiva del nuovo mezzo.
Dopo sporadici interventi – un soggetto nel 1935; la sceneggiatura de Il feroce Saladino nel 1937; nonché un paio di prose (1927) e un racconto a tema cinematografico – nel 1938 la militanza critica di Margadonna cede definitivamente il passo allattività di sceneggiatore, nella quale Pane, amore e fantasia (Luigi Comencini, 1953) oltre ad essere tra i risultati più noti, incarna la sintesi metonimica del suo pensiero cinematografico, fondato sul concetto di cinema come specola della contemporaneità, che dal quotidiano e dalla dimensione minuta del borgo natio e delle tradizioni popolari trae la sua linfa vitale.
Oltre che da una breve nota introduttiva di Gian Piero Brunetta, la raccolta è aperta dallampio saggio Cinema arte popolare, puntuale analisi storico-critica di Fabio Andreazza, che fornisce gli strumenti per la lettura degli scritti di Margadonna ivi riprodotti: una raccolta di trenta saggi (quasi tutti apparsi su «Comoedia»); una più breve antologia di articoli pubblicati su altre testate; infine due racconti dedicati a Charlie Chaplin e Gloria Swanson.
Chiude circolarmente il prezioso volume, che colma un vistoso vuoto nella storiografia del cinema italiano, larticolo di Gian Piero Brunetta, Ettore Margadonna, critico e storico del cinema (1989).
di Elisa Uffreduzzi
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