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Theatre Research International
in association with the International Federation for Theatre Research

vol. 38, n. 3, October 2013, pp. 276
ISSN 0307-8833

 

L’ultimo numero di «Theatre Research International» si apre con l’editoriale di Charlotte Canning. Gli articoli affrontano il tema della performance in relazione alla vita di tutti giorni, interrogandosi su come l’esperienza personale possa influenzare performers e audience. Nei diversi casi, le situazioni più quotidiane e ordinarie sono prese a modello da alcune categorie di spettacolo (musica, danza, teatro, coreografia etc...) e vengono ripresentate come proposte performative innovative.

 

Joanne Zerdy prende in esame Black Watch, un docudrama prodotto dal National Theatre of Scotland (NTS) che prende il nome dall’omonimo reggimento militare. L’autrice si concentra sul tour statunitense analizzando i motivi del successo e identificando legami politici, culturali e militari tra gli USA e la Scozia.

 

Segue il contributo di Mai Kanzaki e Jennifer Wise che propone un confronto tra il lavoro del regista canadese Robert Lepage e i risultati della giapponese rock garden ispirata alle tecniche Zen. Nella mise en scène dell’artista si può infatti riconoscere l’applicazione di alcuni principi Zen, riscontrabili negli stessi paesaggi e giardini costruiti secondo questo stile. In entrambe le “rappresentazioni” l’audience ha un ruolo attivo: non è semplice “consumatrice” dello spettacolo, ma crea un rapporto tra la propria personalità e l’invenzione offerta.

 

Dennis Oladehinde Eluyefa racconta il personale tentativo di suonare in due chiese inglesi. Motivato dall’esperienza in Nigeria e Ungheria nutre la speranza che gli spettacoli con i tamburi (dùndún e gángan) possano introdurre nuove possibilità di professare la fede. Pur attraverso i fallimenti, la sua esperienza dimostra come spesso la performance emerga tra forze diverse (politiche, storiche, spirituali etc...) e come la vita di tutti i giorni sia luogo di invenzione e critica.

 

Nel contributo successivo, curato da Stefan Aquilina, si analizza la carriera di Konstantin Stanislavski, focalizzando l’attenzione su alcuni anni meno studiati (1932-1933) e in particolare sul lavoro per Artists and Admirers. Secondo l’autore, l’utilizzo di immagini quotidiane da parte di Stanislavski contribuisce alla comprensione dei meccanismi che regolano la scena politica del tempo e che operano dietro al potere.

 

L’ultimo articolo sposta l’attenzione sulla danza. Akiko Yuzurihara prende in analisi Kaguyahime, balletto di Jiří Kylián, adattamento della storia giapponese The Tale of the Bamboo Cutter. Il coreografo manipola e reinventa le tradizionali strutture del balletto classico rendendo la propria una coreografia narrativa-astratta. Essa include anche aree fuori palco e coinvolge gli spettatori, invitati a mescolare mondo reale e fiction.

 

 

di Caterina Nencetti


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