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The Elizabethan Garden at Kenilworth Castle

A cura di Anna Keay e John Watkins

Swindon, English Heritage, 2013, pp. 212, £40
ISBN 978-1-84802-034-4

Nella storia dell'umanità ci sono state epoche che hanno brillato di una luce particolarmente intensa e si sono depositate nell'immaginario collettivo lasciandovi tracce indelebili, anche se alla fine dei conti non tutti le conoscono in modo approfondito. L'epoca dei Tudor è uno di quei momenti che continua ad affascinare schiere di studiosi più o meno informati. Se è vero che nel mito è quasi inevitabile trovare mescolate realtà e fantasia lo è anche il fatto che bisogna lavorare sempre più alla salvaguardia della memoria storica. Per questo motivo non possiamo che accogliere con plauso l’importante e bella pubblicazione curata da Anna Keay e John Watkins e patrocinata da English Heritage. E per più di un motivo.

L’uscita di The Elizabethan Garden at Kenilworth Castle è l’ultimo capitolo di una avventura iniziata e subito interrotta nel 1975 ma ripresa per fortuna nel 2004 e che ci pare importante quanto quella degli spazi e della storia che racconta – e forse anche di più: la ricostruzione del meraviglioso giardino di Kenilworth, primo esempio di Italianate Garden inglese, voluta espressamente da Robert Dudley. Quest’ultimo ricevette in dono il castello da Elisabetta I nel 1564 insieme al titolo di Earl of Leicester. In occasione dei preparativi per accogliere il progress reale del 1575, il più importante della storia elisabettiana, Dudley fece ammodernare completamente il giardino, per avere una spazio degno della presenza della Virgin Queen e in cui ospitare quelli che sarebbero passati alla storia come i più straordinari intrattenimenti in onore di Sua Maestà.

Sebbene i Princely Pleasures di Kenilworth fossero stati organizzati nel solco della tradizione arturiana e della Grecia classica, in accordo al gusto inglese del tempo, dai documenti d’archivio emerge sempre più una massiccia presenza di elementi di italianità. Federico Zuccaro giunse a Kenilworth per dipingere i due ritratti a grandezza naturale di Dudley e di Elisabetta, che vennero affissi nella galleria principale del palazzo. I fuochi d’artificio furono curati da un anonimo italiano, di cui veniamo a conoscenza grazie a una lettera di Henry Killigrew e al progetto scritto dall’artista stesso. Infine, ma non certo per importanza, un non meglio definito Italian Tumbler si esibì la sera del 16 luglio, come ci racconta Robert Langham.

La ristrutturazione e la riapertura del giardino di Kenilworth non è ovviamente l’unico impegno che nel tempo si è accollato English Heritage ma è certamente quello più ambizioso, oltre che il più recente, come riconosce anche lo Chief Executive Simon Thurley. E un po’ come allora, anche oggi una serie di competenze diversificate e tutte altamente specializzate sono state impiegate nei lavori, dalla fase progettuale a quella fattuale. Tutto è stato studiato fin nei minimi particolari e riportato in vita così come doveva essere nel 1575, anche attraverso la consultazione di una mole ingente di documenti letterari e iconografici. Una lunga lettera di Robert Langham, «the ‘earliest and longest description of an Elizabethan pleasure garden’» (Roy Strong, cit., p. 59), ha fornito le coordinate generali, dato che ben otto pagine su ottantasette descrivono in modo accurato gli spazi del giardino. E finalmente dopo anni di continue e fantasiose smentite sulla paternità della lettera, Elizabeth Goldring chiarisce ogni dubbio su quella e sulla attendibilità delle informazioni lì contenute, confermate peraltro da una serie di fonti esterne.

Visual Sources è introdotto da un resoconto su The Archaeology of the Garden. Soltanto una analisi comparata di questo tipo ha permesso di mettere in luce che l’immagine del giardino tramandata negli ultimi quattro secoli dalle fonti iconografiche è sbagliata: i due errori più gravi riguardano la posizione decentrata della fontana e l’assenza della grande voliera. Questi due ultimi arredi sono ricordati nella cronaca di Langham come quelli che più attirarono l’attenzione degli invitati suscitandone un immenso stupore.

Questo insieme a molto altro è ampiamente trattato nel volume e il testo è arricchito da una quantità enorme di riferimenti iconografici di allora e di oggi. La struttura interna rispecchia la ripartizione dell’immenso e organico lavoro compiuto dal team di esperti. Nella prima sezione il giardino è inserito nel contesto storico della cultura inglese del tempo, analizzato nelle sue componenti architettoniche (prima e dopo i lavori eseguiti da Leicester) ed esaminato per ciò che fu: il luogo pensato per ospitare i Princely Pleasure del 1575. La seconda parte è dedicata all’analisi capillare delle fonti e alla messa in evidenza del modo in cui sono state utilizzate nel processo ricostruttivo. Il terzo gruppo di saggi prende in considerazione la Re-creation ed occupa lo spazio maggiore all’interno del volume, come è giusto che sia. Qui non si scoprono solo le fasi della ricostruzione vera e propria, ma anche i presupposti che l’hanno guidata, le difficoltà incontrate fin dal 1975, anno della prima ricognizione archeologica in loco, e il loro definitivo e felice superamento nel 2004, quando al contrario di ciò che si pensava trant’anni addietro, si scoprì che «evidence of Elizabethan features, which had eluded the excavators in the 1970s, indeed remain» (pp. 88-9). Oltre che alla fontana e alla voliera, di cui abbiamo già detto, ampia attenzione è data a The Elizabethan Flower Garden in cui si esamina una ricca serie di fonti iconografiche e letterarie in uno studio minuzioso orientato a ritrovare quei fiori che davano infinite varietà di colore al giardino ed emanavano i loro intensi profumi in quell’estate del 1575 e continuano a farlo oggi.

Quanto fin qui detto fornisce solo una minima evidenza della dimensione di questa impresa e della determinazione degli addetti ai lavori di ridonare all’umanità uno dei suoi gioielli preziosi. Non meno lodevole è la perfetta giustapposizione dei contributi all’ interno del volume, che crea un intertesto di riferimento continuo in cui ogni articolo contribuisce ad arricchire tutti gli altri. Cosicchè il lettore si trova davanti a un’esperienza meravigliosamente interattiva rafforzata dalla onnipresenza di splendide immagine in altissima definizione ed è catapultato in un mondo affascinante, quello dell’Inghilterra Elisabettiana in uno dei momenti di massimo splendore. 

di Diego Passera


la copertina

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