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Pensée, pratiques et répresentations de la discipline à l'âge moderne

A cura di Sarah Di Bella

Paris, Classiques Garnier, 2012
ISBN 978-2-8124-0811-3

Storici del teatro e del pensiero politico hanno condiviso con pensatori e sociologi l’interesse per il rapporto fra disciplina e rappresentazione, a partire dai primi studi di Max Weber (1864-1920) e di Norbert Elias (1897-1990). Negli anni Settanta è Michel Foucault (1926-1984) a rilanciare l’attenzione per le pratiche disciplinari; sua è infatti la teorizzazione che vede nel modello del panopticon ideato da Jeremy Bentham (1748-1832) il paradigma della società moderna (scuole ospedali prigioni).

La constatazione della sottomissione dei linguaggi rappresentativi a nuove costrizioni conduce a considerare la questione della normalizzazione e del controllo dei saperi artistici. La disciplina è una pratica legata alla trasmissione di codici, maniere, tecniche che rivelano mobilità etica: di natura virtuosa perchè legata al processo di civilizzazione, ovvero viziosa se repressiva.

Il volume, curato da Sarah Di Bella per le Edizioni Garnier, inserisce nel quadro del processo disciplinare i tre aspetti costitutivi delle società moderne (politico sociale tecnico) per una rappresentazione del potere e dei corpi nelle arti figurative, performative e letterarie.

La disciplina è persuasiva quando genera volontà d’adesione presso un gran numero di persone ; una moderna società a vocazione disciplinare tende a controllare ogni effrazione dalla linea del bene comune e della ragion di Stato (Pierangelo Schiera). 

Ma quanto è significativo il legame fra disciplina e melanconia, intesa come disordine dello spirito? In una stampa anonima del 1560 viene  rappresentato un girotondo di scimmie, satiri, demoni, streghe in preda al piacere estatico della musica. Sarah Di Bella legge Le Branle des Folles come allegoria della modernità, immagine di imprigionamento e di follia nello spazio sociale istituito dallo sguardo collettivo.

Nel XVII secolo la disciplina è la risposta agli sconvolgimenti del tempo: ossessione della morte, sete d’assoluto, angoscia del vuoto. In tutti i domìni il classicismo francese detta le regole in modo autoritario e gerarchico. Britannicus di Racine e Tartuffe di Molière sono esempi della sorveglianza esistente a Corte, come mettono in rilievo le messinscene di Roger Planchon e di Jean Marie Villégier (Georges Banu). Molière nella parodia de Le bourgeois gentilhomme (II-1) ci ricorda che il vero aristocratico esprime maitrise de soi anche con l’esercizio del corpo : nella caccia, nella danza e nel jeu de paume. Il fine è raggiungere quel naturel, risultato di un lento lavoro che pesa ogni gesto e valuta ogni dettaglio (Emmanuel Bury). 

Nel XVIII secolo il gioco della disciplina prende una dimensione tutta particolare nell’ambito delle logge massoniche anche femminili, che furono osservatorio privilegiato di sociabilité (Pierre-Yves Beaurepaire). Ma è nel teatro che il potere politico legato ai nuovi autori e teorici postula urgente un controllo dal punto di vista estetico e sociale. Il pubblico indisciplinato nel parterre e nei palchi vive il teatro come caotico e sessualmente perturbante. Tuttavia emerge da parte degli attori un desiderio di prestigio sociale a fronte della secolare infamia. Il teatro acquista legittimità ed utilità chiaramente riconosciute quando gli attori cessano d’essere istrioni e rinunciano a servire se stessi per aderire a un personaggio che un autore ha costruito per loro. Gli spettatori sono proiettati nel presente virtuale della finzione a seguire non gli attori ma i personaggi, non la performance ma la rappresentazione. Tutti gli sguardi sono finalmente convogliati sul gioco scenico; chi è guardato è separato da chi guarda, a sua volta visto ed ascoltato in un gran momento di sorveglianza generale; finché non s’abbandona silenzioso allo spettacolo attraverso il pratico consenso della sua immaginazione. Il drammaturgo, componendo il jeu per suscitare attenzione, dona a vedere ciò che lo spettatore è venuto a cercare ovvero il suo proprio sguardo inconsapevole messo in scena (Christian Biet).

Il lento addestramento del pubblico e dell’attore promesso da Luigi Riccoboni (1676-1753) unitamente all’avvento del teatro letterario ed al rispetto della drammaturgia autoriale di Voltaire (1694-1778) e d’Aubignac (1604-1676), hanno la meglio sugli spettacoli erratici e le assemblee rumorose. Tuttavia il teatro panoptico e silenzioso resta ambiguo, come se la disciplina non avesse vinto completamente l’indisciplina dei teatri, sempre alla mercé degli accidenti dello spettacolo.


di Michela Zaccaria


La copertina

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